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Non sempre la bontà è dove crediamo che più abbondi

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Bellezza sia davanti a me.

Bellezza sia sopra di me.

Bellezza sia sotto di me.

Bellezza sia intorno a me.

 

 

Canto rituale Navaho 

 

                                                                                                                                                                                                                                            

Da bambina mi piaceva andare lì dove la gente si disfaceva d’ogni cosa.
Oggi le chiamano discariche, e la parola fa venire in mente quegli immensi luoghi orribili pieni di degrado tristemente abbandonati dovunque.

Allora, e forse è solo frutto della mia immaginazione, le piccole discariche dove mi piaceva recarmi ad esplorare in compagnia del mio cane erano tutt’altro che squallide ed io ero fermamente convinta che in quei luoghi ingarbugliati alla fine  vi avrei trovato un tesoro.

Oggi realizzo che il tesoro era probabilmente rappresentato dall’opportunità di fantasticare su quei vecchi oggetti sempre pieni di fascino. Per me non erano dei semplici oggetti, erano materia  prima per la mia fervida fantasia.. Ognuno di loro conservava  a modo suo la propria vita ed aveva una storia da raccontarmi.

Un giorno, mentre perlustravo uno di questi luoghi adibito a discarica, vidi un cane bianco e nero dal muso bellissimo: era  un Collie identico alla mia cagna di nome Dolly.

Questo povero animale aveva un’aria affamata e nello stesso tempo amichevole. Al mio cenno di volerlo accarezzare si abbandonò con fiducia; era pronto a seguirmi ed io non chiedevo di meglio. Gli animali hanno sempre avuto su di me un fascino irresistibile e tuttora mi è difficile non lasciarmi coinvolgere dalla loro bellezza e dalle loro vicende.

Questo cane poi, sembrava smarrito; dalla rapidità con cui mi si era affezionato, intuii  che cercava una nuova amica, magari una nuova casa, chissà!

Era una femmina, il suo incedere elegante la faceva sembrare una regina: non mi sarebbe dispiaciuto avere due Collie ma avevo il presentimento che non avrei potuto chiedere così tanto alla vita, e nello specifico a mia madre che era sempre l’ultima a decidere sugli animali  da tenere in casa.

A stento sopportava Dolly, sebbene fossi sempre io ad averne cura. La portavo fuori almeno quattro volte al giorno. Provvedevo  a darle da mangiare, pulivo la sua cuccia ed il terrazzo dove stava gran parte del giorno.

Questi erano stati i patti tra me e mia madre sin dall’inizio e non mi erano mai pesati; mi faceva piacere occuparmi di lei. Mi ritenevo privilegiata,  perché tra i miei compagni non ve ne era neanche uno che possedesse un cane e per giunta in un appartamento.

Temevo quindi, di presentarmi da mia madre con questa nuova amica a quattro zampe e nondimeno temevo la reazione di Dolly dal  momento che a  volte soffriva di gelosia.

Non avevo però, altre possibilità: questo povero animale aveva fame   e non sapevo proprio dove andare a cercare del cibo se non a casa mia.

Come previsto Dolly si ingelosì, cominciò a ringhiare,e mia madre pure! Mi diede del cibo e disse perentoriamente:

“ Sarà meglio che la sistemi da qualche parte e che non rientri a casa con questo cane!”

Non sapevo proprio da dove cominciare a risolvere questo difficilissimo problema,  e  dopo aver chiesto a tutti  i bottegai del vicinato mi venne una luminosa idea: la parrocchia !

Forse il prete l’avrebbe presa con sé, oppure durante la predica avrebbe saputo convincere qualche parrocchiano ad adottarla. Come mi  come mi sbagliavo… ! Quel Don, di cui non ricordo il nome,  ma del quale ricordo molto bene che si diceva in giro che fosse un don Giovanni, e che avesse figli seminati per la città, piamente mi disse:

“ E un sacrilegio portare in chiesa un animale per giunta sporco e forse malato. La Chiesa non è un canile!”

Timidamente gli suggerii di parlarne con qualche fedele durante la predica; con il suo carisma   avrebbe  potuto indurre qualcuno di loro  a compiere una buona azione. Non lo avessi mai fatto! Mi piovve in testa un’interminabile predica ( -. : mi fece notare  che raramente mi facevo vedere in chiesa, che sarei dovuta diventare più buona altrimenti sarei finita all’Inferno, che giocavo troppo con i maschi  ecc… ecc…

Di certo non mi ero imbattuta in San Francesco ! Così dentro di me pensai , che la  sporca bestia fosse lui  e non  quella  povera creatura bisognosa di protezione. In cuor mio lo mandai per direttissima all’inferno augurandogli le peggiori sofferenze del mondo.

Insieme alla mia nuova  amica mi  allontanai di corsa da quell’ipocrita, ero indignata per la sua insensibilità; non mi aveva neanche chiesto se il cane avesse mangiato,  e pretendeva di farmi vergognare per quello che ero.

Gli Indiani d’America affermano che per  fidarsi di qualcuno bisogna prima vedere quanto costui sia in grado di cavalcare le proprie parole: )per loro la fiducia  va  riposta  solo  in colui  che sia   in grado di  dimostrare una buona dose di  integrità . Quanto più  la mente, il cuore e le azioni di un individuo sono congruenti; tanto più  gli viene  considerato onesto ed affidabile.

In quel prete invece, la distanza tra ciò  che predicava e cio’ che )faceva era abissale.  Come la gente poteva fidarsi di lui? Era un traditore e non mi avrebbe vista mai più.

Di lì a poco mi venne un’altra idea; dal momento che mia sorella Marilisa frequentava il Conservatorio, studiava violino e a quell’ora era ancora a scuola, con il pretesto di andare a prenderla potevo intrufolarmi in qualche classe e chiedere a qualcuno degli insegnanti di aiutarmi.

Pensai che i musicisti dovevano  essere delle persone straordinarie, gentili e sensibili ; altrimenti come avrebbero potuto essere così bravi a sentire le vibrazioni delle note?

Ero entusiasta: sicuramente questa non mi sarei sbagliata, e Regina , come l’avevo chiamata, avrebbe finalmente trovato qualcuno disposto ad amarla almeno quanto me. Non sarebbe stato difficile:  oltre ad essere bellissima era anche docile, simpatica e fedele; ci conoscevamo solo da poche ore eppure mi seguiva senza  il guinzaglio.

Andai direttamente dal preside e gli espressi il mio problema, chiedendogli aiuto. Purtroppo però gli venne una crisi isterica: anche lui con la solita tiritera delle malattie e della sporcizia degli animali. Era fuori di sé mi disse che non avrei mai dovuto condurre un animale al Conservatorio:

“Cosa  avrebbero  detto gli insegnanti e i genitori dei bambini?

Mi sentii  dolorosamente umiliata, ero così avvilita  da scappare via piangendo da quel covo di vipere, il mio dispiacere era infinito oltre la mia angoscia per Regina. Non potevo abbandonarla per strada da sola! Era impensabile! E nello stesso tempo non potevo passare la notte fuori casa avevo paura!

Sconsolata e ormai a corto di idee, piangevo incurante delle occhiate della gente, mentre Regina mi guardava con una pena infinita stampata sui suoi occhioni lucidi e buoni.

Ad un certo punto, quando  oramai ero più che stremata da tutto quel dispiacere un uomo ed una donna mi rivolsero  la parola. Erano incantati dalla bellezza di Regina quanto preoccupati per me, ma era tale  e tanta la sfiducia negli adulti che alla fine di quella giornata, che non mi sembrava possibile che qualcuno potesse preoccuparsi della mia disperazione. Eppure fu proprio così.

Vollero conoscere il motivo  della mia tristezza e, quando finii di raccontare la mia storia mi sorrisero dicendomi che i miei problemi erano finiti: Regina l’avrebbero adottata loro e l’avrebbero amata come una figlia; )ed io sarei stata sempre la benvenuta nella loro casa.

“Di sicuro non sono semplicemente un uomo ed una donna”  pensai, “ Ma due angeli giunti miracolosamente in nostro soccorso”,

 La magia cominciava nuovamente a fluire, Regina aveva trovato casa!
 E cosi correndo a casa perché era diventato buio  continuai a piangere, ma questa volta le lacrime erano di gioia.

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