Scritto da © maria teresa morry - Ven, 25/10/2013 - 12:26
Vorrei condividere con Voi alcune osservazioni e pensieri di Giuseppe Pontiggia, argomenti che egli espresse nel novembre 2002 durante un incontro presso l 'Università di Bologna, in merito ai Classici e alla Letteratura. L'intero testo della sua conversazione è stato raccolto in un piccolo libro dal titolo " I classici in prima persona", Oscar Mondadori. Ne ho tratto alcune parti che a mio avviso sono molto interessanti per chiunque ami leggere e soprattutto scrivere. Vi si coglie una profonda riflessione sulla ragione dello scrivere, sullo sforzo espressivo dello scrivere culminante nello stile, sulla filosofia stessa che tale attività umana esprime nel mantenere un collegamento con il Passato.
" Io penso che la letteratura sia critica del linguaggio; è tante cose, ma direi che è sempre critica del linguaggio, perchè essa recuperail senso delle parole, recupera la potenza del linguaggio, restituisce una vitalità che la parola dei classici aveva e che noi riscopriamo tutte le volte che li leggiamo. La parola - che è l'oggetto più mercificato oggi - diventa dunque irradiazione di energia e di verità, se noi leggiamo i classici. Si capisce qualche cosa quando ci emoziona molto. Dante io l'ho studiato al liceo e non mi emozionava, non lo capivo; così pure all' Università non lo capivo, nè mi dava emozioni. L'ho capito dopo aver letto un saggio di Eliot su Dante, uscito da Guanda prima della guerra; un saggio fondamentale che recuperava l'allegoria non come sottrazione intellettualistica ,ma come aggiunta di potenza alla poeticità dell'immagine. Dopo aver letto Eliot, Dante è diventato un autore straordinariamente carico di vitalità, di potenza, di emozione.
L'impegno sullo stile è analogo sia nel campo della narrativa sia nel campo della saggistica; faccio, descrivo, collaudo, riprendo, correggo. Ho impiegato un anno e mezzo a correggere " La grande sera ", che aveva vinto lo Strega, ma aveva ricevuto delle critiche, purtroppo - lo devo riconoscere - che ritengo motivate. C'era un colorito retorico un po' troppo sottolineato, un po' troppo forte; il gusto delle antitesi e degli ossimori finica per pervadere il linguaggio, veniva percepito come un eccesso e me ne rendevo conto io stesso...
Lo stile, io direi, è la felicità: è la felicità del linguaggio, è piacere del linguaggio. Non è un valore formale, distaccato da quello che il testo dice,e tuttavia noi lo percepiamo come una sorta di piacere aggiunto.Non so come dire: quando scrivo,se una frase mi viene bene, la tengo, se non mi viene bene ci rinuncio. questa è la differenza fondamentale, penso, tra uno scrittore che lavora come me - non voglio dire che tutti lavorino così - e una persona che vuole comunicare delle idee e che, pur di comunicarle , si avventura in uno stile barbarico, noioso, prolisso e pedante....Molti scrivono solo per comunicare idee, e va benissimo. Io non scrivo solo per comunicare idee: io vorrei comunicare anche un piacere....
Un classico è un autore di cui noi decidiamo ogni volta che è vivo...Se devo dire che cos'è un classico per me , è un autore che quanto più leggo, tanto più scopro ricco. Avviene il contrario con un autore modesto: più lo leggiamo e più lo detestiamo. Un classico non ha bisogno di molte mediazioni; naturalmente la mediazione critica è importante, è indispensabile per la lettura, per la decifrazione e l'intepretazione del testo: Però un classico è un autore che ci prende rapidamente: dice cose che ci riguardano. E' una differenza abissale: la cultura ci dà sì un piacere molto forte, ma un classico ti tocca in profondità.
Personalmente non credo che sia indispensabile conoscere il latino o il greco per diventare un classico moderno. Mi spiace dirlo perchè ne sono innamorato, ma noi non dobbiamo considerare la classicità come l'unico accesso alle invenzioni delle forme e del linguaggio: dobbiamo considerarlo un patrimonio strepitoso e , per chi lo sa avvicinare, irrinunciabile. "
Ho qui individuato solo alcuni " snodi " della conversazione di Pontiggia. Per quanti riuscissero a rintracciare il piccolo libro assicuro che esso può rappresentare anche un ottimo supporto di osservazione e di critica per quanto leggiamo e per quanto noi stessi scriviamo.
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