Scritto da © Carlo Gabbi - Mer, 09/10/2013 - 12:24
Parte due
Quell’incubo atroce si protrasse per lunghe settimane.
Non so quando ritornai cosciente dopo la caduta, e quando avvenne. Attorno a me esisteva unicamente un buio profondo ed ero incapace a distinguere quanto mi attorniava.
Le mie gambe erano doloranti e si trovavano in una posizione di sconforto, incapace di muoverle. Cercai di riaggiustare le gambe, in una posizione migliore, che sotto il peso del mio corpo erano torte in un angolo anormale. Al mio tentativo di rizzarmi in piedi, caddi dolorosamente sopra gli arti fratturati, che maggiormente accrebbero il mio disconforto procurandomi sensi di nausea e vomito. Nel toccare le fratture realizzai di essere paralizzato, incapaci a rispondere al mio volere. Ritirando le mani le trovai imbrattate da uno strato si sangue ancora tiepido e gelatinoso che si stava coagulando, e il tessuto dei pantaloni, era imbrattato col sangue che lo incollava sulla carne viva. Un fischio mi sfuggì dalla gola, dovuto al dolore, ma soprattutto di rabbia della mia incapacità di movimenti, sebbene avessi dovuto congratularmi con me stesso, nell’essere ancor vivo. Lentamente, mi abituai all’oscurità del luogo, tanto da poter notare la fievole luce che proveniva da un’apertura sopra di me, quello da cui ero certamente precipitato.
Quel chiarore stava diminuendo d’intensità e capii che la notte era incipiente. Facendo un rapido calcolo mentale stimai di trovarmi a una ventina di metri di profondità dal punto in cui proveniva la luce serale.
Toccando con la mano all’intorno di me ebbi l’impressione di essere disteso sopra di un cumulo di ossa alquanto fragili, che possibilmente erano resti umani. Non mi capacitai del come potessero trovarsi in quel luogo, ma era grazie a loro che ero ancora in vita. Quell’ossario certamente aveva acutito la mia caduta e mi aveva salvato da una misera e sicura fine se solo fossi sbalzato poco più avanti, sopra la solida roccia del sottofondo.
Pensai alla mia fortuna. Cercai di rendermi ragione del perché quelle ossa si trovassero proprio nel luogo sottostante a dove io ero caduto. Poiché fragili si trovavano in quel luogo da lungo tempo. Forse erano avanzi di lontani sacrifici Maya che dopo il rito erano stati scaricati entro il baratro per liberarsi di quei cadaveri inutili.
Ripensando alla mia sfortuna fui preso da un eccesso di riso isterico nel pensare con sarcasmo alle misere possibilità di essere ritrovato vivo. In breve tempo le mie ossa si sarebbero mescolate tra quel vecchiume che si trovava al di sotto a me. Possibilmente nel breve giro di un anno sarei di poco dissimile da quei resti scheletrici, che mi avevano preceduto nel salto mortale. Nella posterità dei tempi, sarei divenuto null’altro che un addizionale scheletro, tra quelle centinaia di miseri resti.
E la comicità esisteva pure riguardo alla mia scoperta. Nel giorno stesso che ebbi la fortuna di un ritrovamento archeologico importante, il primo della mia vita, mai avrei ottenuto da questa un minuto di gloria.
Piangerci sopra oppure ridere a tale possibilità?
Mentre ripensavo ai fatti più era evidente l’amara realtà. Nella mia immobilità avrei sopravvissuto per un tempo limitato e forse mai mi sarebbe stato possibile raccontare ad anima viva le bizzarrie del fato e di come le cose avevano congiurato contro di me.
Nulla era a mio favore e le mie scoperte sarebbero state tumulate assieme a me, in quel buco infernale per l’eternità.
“Non voglio morire!” gridai a me stesso. “ Sì, la fortuna mi arriderà! Mi troveranno ancora vivo.”
Nonostante quelle mie tenui speranze, studiavo la situazione con freddezza sebbene comprendessi di essere entrato in una trappola mortale e forse nessuno nel villaggio Indios era a conoscenza di quel luogo. Vedevo la mia vita appesa con un tenue filo di speranza, ma le possibilità parlavano chiaro, L’uscirne vivo era come vincere una lotteria, cosa che solo un sogno può far divenire reale.
Durante la notte il mio povero corpo era martoriato da febbre alta, ero incosciente e preso da incipiente delirio. Fitte di un dolore atroce mi martoriavano gli arti e, cercavo senza riuscire, posizioni più confortevoli alle gambe spezzate.
Quanti giorni avrei potuto sopravvivere senza acqua?
Aveva Maria ormai notata la mia scomparsa e dato l’allarme?
Da quanto tempo era iniziata le ricerca, e ancor più, quanto tempo prima di trovarmi?
E per quanto a lungo le ricerche si sarebbero protratte?
Per un più lungo sopravvivere mi era necessario mantenere la calma interiore e freddamente essere in controllo dei molteplici rischi e delle gravità inerenti.
M’indulsi quindi a ricordare le cose più piacevoli del passato, il miglior modo per combattere con forza l’agonia della disperazione.
~*~
Ero ormai entrato in uno stato seme cosciente, incapace di reagire con la mia volontà. Fu da allora che affiorarono in me visioni del passato come fossero vecchi film in bianco e nero, proiettati sopra un largo schermo. Rividi quei giorni lontani della mia gioventù quando, disubbidendo ai voleri paterni, durante una vacanza estiva, segui unicamente i miei irrefrenabili istinti e seguii un vecchio sogno che mi portava a ricalcar la via che conduceva in Inghilterra.
Il desiderio fu concepito tempo addietro, prefiggendomi di ricalcare le orme di un mio ben noto predecessore, che fu pure il capostipite della mia famiglia, avente un nome altisonante di un rinomato Centurione Romano che ai tempi del grande Cesare, condusse la sua Legione Romana entro terre ignote aldilà degli allora confini dell’Impero Romano.
Nella mia avventura seguii il mio avo passo a passo, sulle orme della sua Legione, seguendo la marcia attraverso la Gallia sino a raggiungere la Britannia. A loro occorsero molti anni di lotte vinte e di colonizzazioni compiute, lasciando sul loro passaggio l’impronta Romana, come valida testimonianza delle capacità dci fondatori di nuove città lasciandovi leggi, e unendo i luoghi colonizzati con nuove strade, e le testimonianze lasciate da loro ai posteri sono tutt’oggi visibili attraverso la vecchia Gallia.
Era il mio primo viaggio e assaporai con gioia l’avventurosa attraversata sopra quel lungo cammino, e nel piacere dell’essere solo. Presi il tempo necessario, soffermandomi a lungo sulla strada, studiando i resti lasciati dai colonizzatori lungo la loro via, e imparando da loro e ben presto nacque in me l’idea di proseguire i miei studi nel campo archeologico.
Quelli furono i miei primi passi, sebbene modesti, ma che erano pur sempre un pungolo che indicava la mia vera passione.
Purtroppo, il giorno del mio ritorno a casa e accennai il mio desiderio a mio padre il tutto divenne null’altro che un sogno giovanile.
Divenni vittima del suo despotismo e fui ostacolato da lui. Divenne glaciale nei miei confronti e mai tenne in considerazione la mia passione.
Mi obbligò di sottostare al suo volere ferreo, senza concedermi una possibilità di scelta. Quella fu la fine del mio sogno giovanile e mai da quel giorno ebbi la forza di contrastarlo.
Mi imponeva, mi obbligava, e fu capace di dissuadermi da ciò che lui chiamava inaudite aspirazioni, obbligandomi al suo volere di divenire un ingegnere attraverso le sue coercizioni mentali.
Fui nell’incapacità di reagire ai suoi voleri e al suo despotismo. Disse che era mio dovere figliale di prepararmi a prendere le redini degli affari famigliari e divenire capo indiscusso dell’azienda industriale che lui così bene aveva costruito.
Alla sua morte quella fu bene la mia prima e importante decisione nel venire a meno della volontà paterna. Nominai un capace ed esperto ingegnere come direttore del nostro consorzio. Era il finale gesto di sfida da parte mia, e certamente il mio benemerito padre si rivoltò più volte entro la propria cassa, per l’affronto subito da parte mia. Ma conoscendolo sapevo pure che in un modo o l’altro non si darebbe dato per vinto, attendendo la sua rivincita alla prima buona occasione!
~*~
Quella forse era stato il momento atteso da lui e fu sin da quella prima notte in cui ero sprofondato nella cava, quando incominciai a delirare, che venni preso dalla sua apparizione spettrale.
Nell’incoscienza in cui mi trovavo, udivo rintronare la voce possente di mio padre, che ribalzava tra le pareti rocciose, resa ancor più altisonante dalla ristrettezza del luogo.
“Ben te lo dissi mille volte, Charlie! L’archeologia non fa` per te. Non ti rendi ancora conto entro quale scempio sei caduto per non avermi voluto ascoltare? Lo avevi promesso, ma alla prima occasione spudoratamente hai abbandonato la guida degli affari famigliari. Se avesti seguito i miei saggi consigli, oggi saresti ricco, con una vita confortevole.”
“Credimi Charlie, l’archeologia ti condurrà presto in più misere e profonde acque. Mai troverai la fama e ricchezza che vuoi. Torna a casa ora, finche` sei in tempo!”
Ero atterrito dalle parole di mio padre che riecheggiavano ingigantite con il ribalzare da parete a parete sulle rocce all’intorno. Lo sentivo più che mai furioso, minaccioso, crudele e, una volta ancora era in fronte a me a impormi il suo volere.
Mi sentivo esausto nel corpo e nella mente, mentre ero umiliato dalla sua aperta ostilità, ancora dopo anni dalla sua morte e desideroso d’impormi una volta ancora il suo volere.
Sfinito da quella sconfitta, persi completamente i sensi e fui preso da una completa apatia mentale e fisica desiderando la fine di quel tormento.
~*~
Non so quanto a lungo il mio delirio durò, mentre soffrivo la pena della solitudine nel buio della caverna. Nella perenne oscurità del luogo avevo perso la cognizione del tempo, e sebbene incosciente, Maria sembrava di essere spesso al mio fianco, preoccupata per le mie condizioni. La vedevo come in un sogno remoto e udivo il suo tremolo sussurrio, mescolato da singhiozzi, mentre, affettuosamente stringeva la mia mano tra le sue. Sentivo le sue dolci parole di conforto, che tentavano di infondermi fiducia, pregandomi di non lasciarmi andare alla deriva.
Nel mio stato semincosciente, ben poco distinguevo tra sogno e verità, sebbene percepivo la presenza di un’ombra umana, la quale era ben più palese che una nebulosa visione. Poteva ciò essere una cosa reale?
Mi ci volle un’eternità prima che alla fine riaffiorassi dalla mia lunga ibernazione, e poter sentire il calore del tocco umano. Erano le sue mani che mi accarezzavano e toccavano la mia fronte febbricitante. Mi ci volle tempo prima che mettessi a fuoco l’immagine in fronte a me e comprendere che Maria mi era veramente vicino e si prodigava in mille amorevoli attenzioni. Vidi poi più distintamente la sua figura, il suo sguardo rassicurante, e sentii il tatto soffice e gentile, mentre percepivo il profumo del suo corpo dolce che m’inebriava. Sebbene fossi ancora, preso da una debolezza fisica e assente con il pensiero, potevo ugualmente gioire nell’essere in quel sogno che ancora non classificavo come reale.
Sforzai sulle mie labbra un sorriso per lei cercando in quel modo di ringraziarla, mentre continuavo a udire il suo sussurrio dolce : ...Sapesti la gioia quando finalmente ti abbiamo trovato, si era giunti allora al limite delle speranze. Sapesti Charlie! Ci volle un’intera settimana di vane ricerche in qualsiasi angolo della valle. Non si trovarono tracce di te…e la speranza stava svanendo. L’ultima possibilità di aiuto fu “Grandpa” Il Grande Sacerdote. Sicché` andai a supplicarlo.
“Lui è l’unico custode dei millenari segreti della vecchia città Maya. L’unico essere che poteva conoscere l’ubicazione della cava. Disse che quel luogo era protetto dal segreto religioso, poiché è il luogo di riposo eterno dei sovrani Maya passati. Grandpa nel divenire il Gran Sacerdote aveva giurato di salvaguardarne la segretezza per non dissacrare la santità della morte.
Grandpa fu colui che ci condusse al passaggio segreto che conduceva all’interno della cava, rimasto nascosto attraverso i secoli nella naturale cavità di un’immensa quercia millenaria.
Quanto fece per te fu una cosa fuori del comune, ma disse che doveva farlo per salvarti la vita.
Mi confidò che prima di allora era entrato nel luogo una volta sola, quando era ancora giovane assieme al proprio padre, mentre lo indottrinava sui doveri di futuro Grande Sacerdote Maya. Fu unicamente attraverso il suo volere e considerazione verso te che fu possibile ritrovarti.
Capii che Maria mi aveva mormorato molte volte questi segreti, durante il mio lungo delirio e che lo potei assimilare nel continuo ascoltare la sua voce remota e soffice.
~*~
Mi ci volle tempo e non fui certo da quanto tempo perdurasse la voce che udivo e, se fosse reale oppure parte di un continuo sogno nello stato in cui mi trovavo. Sentivo pure un miglioramento era avvenuto nel mio corpo martoriato. Seppure esistessero ancora allucinazioni, divenivo più conscio a ciò che avveniva attorno a me e delle mille visioni oscure che ancora si addensavano attorno a me.
Una delle più ricorrenti visioni era ora l’ombra di un sacerdote Maya che mi teneva saldamente e contro il mi volere, sulla pietra dei sacrifici. Ero terrificato, prevedendo quello fosse il preambolo del sacrificio umano e che io fossi il predestinato della loro offerta, ma stranamente notai che la mano del sacerdote non impugnava il coltello sacrificale, bensì teneva una coppa dorata ripiena di una sostanza grigiastra e maleodorante la quale ero forzato a trangugiare. Sputavo improperi a tale violenza, e rifiutavo quell’infuso malefico avente acri sapori di erbe, con quello ben più pungente di funghi di selva.
Ai miei rifiuti il sacerdote mi obbligava con tono autoritario, “Bevi tutto!”
Fu al suono di quella voce burbera che impaurito mi ridestai dai miei sogni letargici. La mia visione era più che mai annebbiata a causa della bevanda e udivo voci incomprensibili, sebbene attutite dal mio torpore fisico.
Giacevo, al centro di una larga capanna e alla mia destra intravvedevo un gruppo di sacerdoti mormoranti una monotona litania. Pregavano l’intercessione divina di una delle loro maggiori divinità, “The Feathered Serpent” (Il Serpente Piumato). Erano pure quelle nenie parte del rito del sacrificio umano, nel quale ero predestinato?
Compresi più tardi che la persistenza di quegl’incubi era forse dovuta alla mia stanchezza mentale e allo stato febbrile nel quale ancora mi trovavo. Ma certamente era reale e pauroso quello stormo di guerrieri che vedevo al lato opposto della hall intenti in un veloce destreggiamento delle loro lance, mentre danzavano a piedi nudi sopra il pavimento polveroso di terra battuta. Inneggiavano con rauchi urla di guerra in gutturali e intelligibili parole nel loro dialetto a me sconosciuto, ritmando quel canto al tamburellare dei loro piedi nudi sopra il suolo, e tra gli ululati feroci, alzavano i loro acuminati giavellotti si in una ritmica sinfonia di movimenti verso il cielo.
Ai piedi del mio letto rustico, stazionava un gruppo di donne, con ceneri gettate sopra le loro teste e supine sopra il pavimento polveroso.
Canticchiavano con voce monotona un’inarticolata e lamentosa nenia. Singhiozzavano mentre invocavano la clemenza divina di accettare l’offerta delle loro preghiere. Per renderle più accette agli dei s’infliggevano punizioni carnali, flagellandosi a vicenda, con lunghe fruste di cuoio.
Mai prima di allora mi ero trovato in condizioni più penose. Ero più che certo di essere giunto a una fine imminente di morte. Mi dimenavo nervosamente, con sudori freddi e la mia ragione era completamente offuscata da tale tragedia. Fu a causa del panico mortale che gettai un urlo rauco, divincolandomi da chi mi forzava sopra la pietra sacrificale, sopra la quale ero convinto di giacere in quel miasma d’incubi, e cercavo di fuggire dalle acuminate lance dei guerrieri che mi attorniavano.
. Avevo brevi momenti di riposo, nei quali intravvedevo la visione di una giovane donna che accudiva a tutti i miei bisogni.
Alla fine mi risvegliai completamente da quel torpore.
Capii che Maria era veramente vicino a me e sorrideva felice.
“Finalmente Charlie! Ero veramente preoccupata per te. E` oltre un mese da quando ti hanno portato qui in uno stato comatoso. Finalmente sei ritornato alla vita. Sembrava che non l’avresti fatta! Poi Dio misericordioso ha ascoltato le mie preghiere.”
Fui capace di ringraziare Maria con una grinta di gratitudine.
“Tutto fu possibile con l’aiuto di Grandpa. Fu lui che organizzò il salvataggio dal profondo di quella sacra cava. Ti ha pure curato dalla febbre mortale con una bevanda sacra. E` un’antica formula che solamente gli alti prelati Maya sanno preparare. E` la ricetta di un sacro intruglio che ha per base funghi ed erbe medicinali. Quella stessa sacra bevanda è consumata dai fedeli nei loro riti religiosi. (*)
{ (*)I funghi usati hanno capacità allucinogene, con strani poteri, capaci a creare visioni incredibili per chi li ingerisce.}
Pure i locali sono stati di aiuto con le loro preghiere. Le donne erano qui giornalmente pregando il rosario alla vergine e poi cantando inni Maya al “Serpente Piumato”. Gli Dei, Cristiani e Pagani hanno ascoltato con garbo la loro intercessione e alla fine hanno ascoltato le preghiere. Come vedi ti trovi sulla via della guarigione e diventerai sempre più forte col passare dei giorni.
~*~
Ricominciai a recuperare le forze e feci i miei primi passi con l’aiuto di grezze stampelle. Maria era ora con me nel suo tempo libero e in quelle ore assieme si parlava spesso della cava, dove ero caduto. Mi narrò in quei giorni le leggende del popolo Maya che nel passato aveva ascoltato dalla parola viva del Grande Sacerdote. La maggioranza di quelle storie narrava della vita dell’ultimo Re che governava la Città della Luna.
Fu allora che chiesi a Maria di organizzare una visita di ringraziamento con Granapa. Era pure mia intenzione, durante quella visita di chiedergli di narrarmi con più dettagli i segreti nascosti dei suoi avi. Visitammo il grande patriarca il giorno dopo e Maria portò con se un cestino ripieno di cibo fresco per lui.
Fine Parte Due
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