Scritto da © Silvia Leuzzi - Gio, 04/04/2013 - 13:46
LEOPARDI DAL PARRUCCHIERE
Ho sempre detestato il negozio del parrucchiere. Non è un ambiente in cui mi sento a mio agio, la stupidità ti investe non appena oltrepassi la soglia, sarà quell'odore di profumi, che sembra quasi aggredirti le narici o quei sorrisi stereotipati delle lavoranti, di solito tutte ragazze molto giovani dallo sguardo piatto. Pur rifiutando il cliché dell'intellettuale, definito sempre borghese dalla mia coscienza di classe, è indiscutibile che certi ambienti sembrano rappresentare la stoltezza per eccellenza ed è quasi inevitabile provare la sensazione di essere un pesce fuor d'acqua. Purtroppo i capelli bisogna tagliarli e ad una certa età bisogna pure tingerli, oddio nessuno ci obbliga però è difficile rassegnarsi all'evidente declino, così, ob torto collo, è necessario rivolgersi a mani capaci.
Sono talmente insofferente all'ambiente che dopo tre o quattro volte in cui ne frequento uno solitamente mi stanco. L'insofferenza e il disagio mi aggrediscono soprattutto quando, cercando di parlare di cose semplici e facilmente comprensibili, almeno credo sant' iddio!, gettando uno sguardo agli occhi della parrucchiera di turno, lo vedo vuoto quasi ceruleo e mi sento morire e penso: “ Ma che cavolo avrò detto che mi guarda così? “
Sono talmente infastidita che spesso non mi piace neppure l'acconciatura ed esco incazzata per i soldi spesi.
Da quando abito in questa cittadina ne avrò cambiati più di cinque.
Poi un giorno una mia amica mi ha consigliato una negozio vicino casa sua, dove praticavano prezzi modici e sembravano molto competenti.
Vi sono entrata con il solito disgusto. Come ho superato la porta d'ingresso una donna ancora sufficientemente giovane mi ha accolto con un bel sorriso. Piccolina, ben proporzionata dai begl'occhi di un marrone scuro e scintillante, come i suoi capelli mi ha chiesto in cosa poteva essermi utile. Ero nuova e mi sono sorpresa dell' inaspettato calore, il quale mi ha messo subito di buon umore.
Mi sono seduta per aspettare il mio turno e mi ho passato un po' del mio tempo a guardare l'ambiente, che mi circondava. Tutto sapeva di femmina. Piume e fiori: secchi, freschi e finti, s disposti in ogni dove, tocchi di delicato colore e di soffuso ed erotico sentire al femminile.
E' strano osservare questi ambienti di sole donne, dove tutto sembra poggiato con grazia casuale, quando invece è meticolosamente studiato. Tutto sembra messo lì per accendere quella vanità civettuola propria della donna. Faccio fatica ad accettare questo ruolo, che mi è stato imposto dalla natura e che ho sempre messo in disparte e sottovalutato per far spazio ai libri.
Giuro che con gli anni ho imparato a convivere in armonia con me stessa ed a sfruttarne i lati positivi ma pur imponendomi di scendere in mezzo a fiori rossi, gialli e viola, pinzette e spazzole, non posso rinnegare ciò a cui tengo di più: la testa, dentro.
Così dopo aver osservato con curiosa pigrizia ogni angolo del negozio, aperta la mia borsa disordinata, ho tirato fuori il libro di Pensieri di Giacomo Leopardi, che porto con me, limitandomi a leggere uno stralcio di quando in quando.
L'ho comprato un giorno che, curiosando tra le bancarelle, scartando i vestiti, i quali mi infastidiscono per la loro ingombrante mole, così accatastati da darmi il voltastomaco, ho buttato gli occhi su una piccola bancarella di libri. Mi ha colpito la copertina in cui era riprodotto un bellissimo quadro di Van Gogh, uno dei miei pittori preferiti. Spiccava il nome di Leopardi e sotto scritto a caratteri più minuti: Pensieri.
Vincent e Giacomo erano lì abbandonati, quasi soffocati dalle cianfrusaglie e dal rumore ruticato del mercato e un moto istintivo mi ha fatto afferrare il libro. Costava solo pochi spicci e non esitai a portarlo via da quel frastuono di voci ignare.
Tanto Giacomo quanto Vincent meritavano più degno luogo dove riposare i loro tormenti.
Vincent è stato un grande amore di gioventù, persa dietro ad una mia cugina pittrice.
Giacomo invece, al di là dell'esperienza scolastica, la quale mi aveva lasciato poco più che indifferente, era un autore riscoperto da poco e in modo del tutto casuale
Era un pomeriggio di pioggia e di scrivere non avevo voglia, della piazzetta virtuale ne avevo piene le scatole...che fare? L'occhio mi andò su quel libro grigio, ingiallito dal tempo e dall'usura e mi persi dentro quei versi. Sembrò quasi che il cielo dell'Infinito si fosse spalancato davanti ai miei occhi folgorando la mente.
Mi persi a tal punto da voler conoscere fin nei suoi più ignoti scritti questo autore. Eh si io mi innamoro follemente dei miei autori preferiti, me li gusto e li porto con me in ogni dove.
Così è stato con Giacomo. All'inizio ho pensato che i suoi libri meritavano una posizione privilegiata, poi non potendo vivere di quell'estatica esaltazione artistica, così come mi fu dato in gioventù, mi confrontai con il maestro e affrontandolo da pari a pari, pur essendo uno scarabocchio informe al suo cospetto, ma sfacciato scarabocchio, lo obbligai a seguirmi e lo carezzavo per consolare le sue lacrime nobili.
Dicevo a Giacomo: “ Devi pure uscire da quell'angolo lacrimoso che nessuna gioia ti ha donato? “ Mi guardava dalle sue “ sudate carte “ e mi piegavo al suo cospetto ricacciando le lacrime per quel suo animo fragile e meraviglioso che violentavo di rumori del 2000. Vuoti e rozzi per nulla dissimili da quelli che avevano ferito il suo cuore, finché era in vita. Ma lo rassicuravo con le mie carezze, non aveva da temere c'ero io con il mio cipiglio e la mia forza.
Fu così che finì nella mia borsa e quel che è peggio dal parrucchiere!
Come varcai l'ingresso lo sentii come sussultare nella borsa ma non vi badai e dovendo aspettare il mio turno, afferrai con decisione il libro e mi sembrò di percepire una riluttanza in quei fogli ma era l'impressione, che facilmente si può provare nel cercare una cosa nella mia borsa.
Era lui che recalcitrava, non voleva uscire fuori, ma avevo deciso, non mi sono mai piaciute quelle riviste piene di volti stupidi, avevo voglia di portare la letteratura, quella con la L maiuscola in mezzo a chi di letteratura conosce appena il nome.
Il divanetto su cui ero seduta è posto al lato sinistro della porta d'ingresso, di fronte alla cassa. Tutti passano li davanti e sedendosi sul quel divanetto par di sprofondare in un mare di mollezze, tal quali sono rappresentate dall'arredamento di tutto il locale.
Sprofondando ovviamente si va più in basso ed è gioco forza l'avere ben chiara, delle persone che ci passano davanti, la forma delle loro natiche. Fino a quel giorno non vi avevo fatto particolarmente caso. Fu Giacomo dalle sue carte tremanti a farmene accorgere.
Dicevo appunto che, sedutami e sprofondata in quel divano, aprii a caso il libro. Erano pensieri, alcuni estrapolati dallo Zibaldone, non si potevano leggere come un libro di narrativa. Del resto non è neppure un libro scritto in un italiano corrente, perché Giacomo si sa appartiene ai primi dell'ottocento, la sua lettura richiede pertanto particolare attenzione.
Voi siete autorizzati a chiedermi “ ma che cavolo di libro ti sei portata in un ambiente del genere, pieno di profumo, musica inascoltabile e voci, voci di parole vuote, come vuote sembrano quelle teste, di così bei capelli, i quali a loro volta adornano bei volti, issati su corpi mozzafiato di giovani donne in boccio, direbbe Giacomo. “
Avete ragione ma Giacomo ha bisogno di femmine, di quell'aria frivola che non ha annusato mai, fuggendo dietro ad un libro consolatore.
Giacomo è morto, voi direte, e la sua produzione letteraria non trova albergo in un parrucchiere. Errato, perché la puzza di femmina di cui necessita Giacomo è la stessa di cui ha bisogno la poesia.
Fatevi un giro per la storia della letteratura e ditemi quante scrittrici e soprattutto poetesse trovate. Ben poche ve lo assicuro, non ho la cultura per fare enucleazioni inutili e pedanti ma credo di non dire una castroneria.
Apro il libro a casaccio, pagina dieci pensiero ottavo, inizio a leggere, sembra fatto per quella situazione: “ Uno degli errori gravi nei quali gli uomini incorrono giornalmente, è di credere che sia tenuto loro il segreto.................” quello è un luogo dove le donne parlano e a volte confidano segreti convinte in buona fede che la parrucchiera sia una tomba, non sempre è così anzi in questi posti le orecchie le hanno anche le spazzole. Il pettegolio è sempre pronto a balzare in mezzo alla scena.
Poi vado avanti e trovo una frase ancora più idonea:
“..... Nello stato sociale nessun bisogno è più grande che quello di chiacchierare, mezzo principalissimo di passare il tempo, ch'è una delle prime necessità della vita. ...”
Chiacchierare quale posto è deputato a questo scopo se non il parrucchiere. Il brusio è continuo, inframmezzato da rumore di phon e spazzole.
Lo leggo e lo rileggo perché in alcuni momenti le lettere sembrano ballare e io devo distogliere lo sguardo per non farmi venire il voltastomaco. La prima volta non capisco che succede, distolgo lo sguardo ma non faccio caso alla ragazza appena entrata, io no Giacomo si. Infatti quando d'un tratto mi si pianta davanti con le sue natiche tonde e leggermente sporgenti, tanto da fare una piccola ombra sul libro, il recanatese perde la testa.
Ohi Giacomo, penso, ti devi pur abituare, ora che sei nascosto da questi segni, il cui alto valore semantico li rende tanto altisonanti, non hai nulla da temere.
Mi guarda con quegli occhi piccoli e cisposi di cieco, quelle forme tonde sembrano ridargli quella vista persa su quei libri, amati e dannati unico orgasmo della sua vita.
Le donne non sono cattive come pensi, gli dico, accarezzando le lettere tremanti, alcune sono sciocche, altre dannatamente puttane ma si sentono più donne ammazzate che uomini, mi dici com'è mio dolce poeta?
Questi tuoi versi si devono sciogliere tra le pieghe di quelle cosce, che ti fanno trasalire e spaurare, come avresti detto tu.
Quel colle che mai superasti, di Venere che t'attendeva tremante, fuggisti certo di non riuscire, fuggisti arrendendoti senza provare!
Ora ci sono io che dici osiamo? Io sono una donna e non sono cattiva come vedi.
Fu così che una volta sistematami, con tutte le tinte del mondo per camuffare l'età, presi di nuovo in mano Giacomo e prendendo a pretesto un discorrere in merito alle problematiche della scuola e del mondo dell'educazione in genere, mi permisi:
“ Sapete che diceva Leopardi a questo proposito? “ Un silenzio di tomba è calato sulle astanti, giovani e vecchie, corpi da urlo in tutti i sensi buono e cattivo, che con un punto interrogativo mi guardano e con il mio fare un po' insolente, da educatore di masse illuso, parto in tromba con la lettura del decimo pensiero: -La maggior parte delle persone che deputiamo a educare i figliuoli, sappiamo di certo non essere state educate. Né dubitiamo che non possano dare quello che non hanno ricevuto, e che per altra via non si acquista -
Mi guardano riprendendo le loro attività, sinceramente il lampo di interesse che speravo vedere, beh ahimè vi direi una bugia. Quegli occhi tanto belli, ben truccati avevano un che di spento, di mai nato, però non sono solita darmi per vinta tanto facilmente e rivolgo loro qualche commento, ovviamente spiegando i termini che ritenevo meno comprensibili.
Voi non ci crederete, non ci avrebbe creduto neppure Giacomo se non fosse stato lì con me,è nata una discussione sulla scuola, sui tagli, sull'inutilità delle politiche educative intraprese in questi ultimi vent'anni.
Ho buttato un occhio a Giacomo che nel frattempo stava sbavando di piacere sulle cosce della mia vicina, una bionda bella come il sole, vanitosa e vuota come una scatola adornata di raso e diademi di fiori e perle con nulla dentro, che, a dispetto di quanto poteva produrre la sua massa celebrale, era riuscita, non senza qualche difficoltà, ad esprimere un pensiero compiuto, sarà stata la vicinanza del vate di Recanati, chissà.....
Poi visto l'interesse suscitato, minimo forse per un consesso intellettuale ma grande in quello, mi permetto di leggere, richiamando con voce allegra l'attenzione: “ Ehi sentite qui che cosa diceva Leopardi sulla maldicenza? - Gran rimedio della maldicenza, appunto come delle afflizioni d'animo, è il tempo - “ Per un minuto il silenzio rumoroso dei pensieri è sembrato l'unico compagno dei phon.
La maldicenza, chi ne parla più, tanto è sfrenato il suo uso, poi tra le donne...una patetica abitudine direi.
Faccio notare come certi problemi apparentemente semplici siano alla base dei temi trattati in letteratura.
Un paio di clienti mi capiscono e sono sulla stessa linea di pensiero e la discussione si snocciola partendo dalla falsità e dalla superficialità della società. Di come abbiamo nutrito questa progenie, che ha perso smalto e fantasia, che è abbattuta e poco ricettiva; di come ci sia bisogno di cultura anche quella spiccia per apprezzare le conquiste di altri uomini e donne del nostro passato.
Mi guardavo intorno soddisfatta di aver dato l'incipit ad un dialogare serio e non pettegolo. Guardavo quelle ragazze così giovani, così carine che trascorrevano la maggior parte del loro tempo dentro quel negozio e mi sono persa nel groviglio dei miei pensieri.
- Qual è il concetto di tempo nella mente di una parrucchiera? E' scandito dal suo lavoro, dalla conta dei mille e più passi fatti per passare da una cliente ad un'altra. E' scandito da quell'orologio con su stampata Marilyn, la donna oggetto per eccellenza, che per fuggire dallo stereotipo ha abbattuto se stessa. E' scandito dal non pensiero. Eppure se, con moderazione e alternando battute comiche per riportare la conversazione ad un livello accessibile, uno infila anche tra queste maglie strette dell'apparire una sostanza celebrale viva, è curioso vedere come a tratti baluginii di vita guizzano da quegli occhi spenti.
Ormai sono agli ultimi tocchi di spazzola e mi guardo riscoprendo anch'io quella vanità di apparire. Strizzo l'occhio al mio amico letterato, uscito dalla sua muffa di biblioteca per inebriarsi di profumo di donna e ci ripromettiamo di tornare insieme, perché nonostante la vacuità di quelle teste finalmente ho trovato un parrucchiere dove, pur capendo poco delle mie dissertazioni, mi ha preso in simpatia.
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