Scritto da © Antonio Cristof... - Ven, 15/02/2013 - 19:42
Quando mi capita di andare a Napoli, ed accade sempre, ahimé, più di rado, non ci vado volentieri come una volta, quando era forte dentro me il bisogno di sentire la mia terra sotto i piedi, tanto che avrei voluto camminare scalzo come certi "scugnizzelli" per assaporarne più intensamente il contatto. Non ho più voglia di vedere le vie litoranee, il poggio di Posillipo, La Villa Comunale, i vicoletti di Chiaia o quelli di via Toledo. Non mi va neanche più di "incipigliarmi" davanti alle statue di Palazzo Reale, sbalordirmi davanti al Maschio Angioino, "impensierirmi" al cospetto del misterioso Castel dell'Ovo.
Oggi, quella MIA città, dalla quale manco ormai da 15 anni, non la riconosco più come MIA. Le facce che vagano per le sue strade sono anonime. E' ormai un paese che ha perso i suoi colori originali, che ha perso la sua gente, sostituita da cloni programmati alla dogmatica attività dell'accumulare denaro in garanzia di una scialba vanità. Dove una volta c'era "Tore 'è pazzielle (Salvatore il giocattolaio) in via Bausan, schietto e simpatico venditore di "sciusciù" (caramelline gommose), oggi c'è un boutique con una boriosa ragazzina tutta smalto e cerone, ferma sulla soglia per adescarti e propinarti fibre artificiali per tessuti animali o vegetali.
Dove una volta c'era ad Antignano la pizzeria di don Nicola, ciarliero artigiano della pasta cresciuta, dai capelli neri ondulati e impomaatti, con fuori al pergolato, tra l'odor d'anepeta novella, tre soli tavoli in ferro battuto, oggi c'è un pub con un sedicente "bracerista" che , farneticando, antepone l'hamburger alla margherita e l'hot dog al panzarotto, nonchè, udite udite, il ketchup al ragu.
"Tengo 'o core scuro scuro.
Ma pecche? Pecche ogni sera
penso Apule com'era,,
penso a Apule com'è"
Così recitano i versi di una famosa canzone.
Infatti oggi il paese dell sincerità è diventato il paese di una menzogna omertosa nell'ambito della quale tutto è apparenza.
La terra della semplicità è oggi ricettacolo di individui complessi, nei quali perfino il linguaggio risulta macchinoso. "'O paese d''o sole" non è più quello "addio tutte 'e canzone so' docce e so' amare...", ma un denso abitacolo alveari nel quale è difficile muoversi senza pungersi. Allora è meglio starsene qui "nel mio cantucci donde non sento se non le reste brusir del grano e il suon dell'ore viene col vento."
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- Blog di Antonio Cristoforo Rendola
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