Carlo era stato gentile, mi aveva portato un pezzo di torta e una coperta nuova.
Era il 15 aprile, due anni esatti dal mio licenziamento.
Da allora facevo la vita del barbone, da quel maledetto giorno in cui il Prof. Rubbio mi comunicò seccamente: “ dottor Veneziano siamo spiacenti, lei è licenziato! Le sue ricerche sulla teoria del tutto hanno condotto al nulla assoluto, milioni e milioni di euro buttati al vento e ora il suo tempo a disposizione è terminato. La Boson Corporation è lieta di darle il ben servito”.
Fu la più umiliante sconfitta della mia vita. Cinque anni spesi inutilmente a cercare di dimostrare una teoria che avesse lo scopo di unificare le leggi dell’universo a quelle del mondo subatomico.
Un legame tra questi due mondi della fisica doveva pur esserci, ne ero profondamente convinto. Se solo avessi avuto più tempo a disposizione avrei superato anche l’ultima anomalia matematica, ero a un passo dalla soluzione finale.
Le quattro forze, la gravità, l'elettromagnetismo, la forza nucleare forte e quella debole, potevano essere unificate da una sola equazione che avesse descritto ogni fenomeno, dal più grande al più piccolo.
Era diventata un'ossessione che giorno dopo giorno mi stava logorando. Usavo persino i muri per scrivere le formule.
I passanti mi guardavano tra il divertito e lo stupito.
Ma proprio in quel preciso giorno sentii che la fortuna stava bussando alla mia porta. E fu proprio così, si presentò con il volto di un bambino nell'atto di porgermi un paio di scarpe.
“Grazie piccolo, come ti chiami?”
“Signore non posso dirglielo è un segreto, mi scusi ma vado di fretta, devo andare a scuola, arrivederci”.
Ricordo erano scarpe con la suola di gomma. La cosa strana che mi colpì da subito fu che una delle scarpe era nuova di zecca , di una marca molto nota, mentre l'altra era decisamente usurata e di una marca sconosciuta, forse cinese.
Immediatamente associai le scarpe a due condizioni economiche contrapposte. L'una apparteneva quasi sicuramente a un ricco, l'altra invece sarebbe potuta appartenere a un povero.
Ancora due mondi in antitesi continuavano a perseguitarmi.
Osservai quelle scarpe con grande attenzione, da ogni prospettiva possibile, arrovellandomi sulle loro differenze e sugli eventuali legami esistenti fra di esse.
Cosa poteva unire queste diversità? Certamente non il colore, né la marca e neanche i numeri, visto che differivano di una misura, o la punta, infatti una era destra e l'altra sinistra.
Poi il mio sguardo si concentrò sui lacci e sui fori d'ingresso e all'improvviso ebbi un'illuminazione, quella che cercavo da una intera vita.
I lacci erano simili e con essi avrei potuto legare fra di loro le scarpe. Inoltre le stringhe potevano essere scambiate indifferentemente da una scarpa all'altra.
Infine i fori potevano essere impegnati dai lacci in varia combinazione, come se la medesima cosa potesse quindi esistere contemporaneamente in molteplici dimensioni e configurazioni.
Il resto del ragionamento fu un gioco da ragazzi.
Il peso delle scarpe rappresentava la gravità, le suole di gomma l'elettromagnetismo, la cucitura del cuoio la forza nucleare forte e infine il cattivo odore che emanavano poteva, per analogia, essere associato all'emissione di radiazioni derivanti dalla forza nucleare
debole.
Le quattro forze erano tutte presenti e tutte potevano essere miracolosamente e semplicemente unificate dai lacci di due scarpe.
Fu così che nacque la teoria delle stringhe:
da un barbone e da un paio di scarpe.
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