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Xu e le fiale magiche (Cortometraggi)

Xu aveva il naso piccolo, che cedeva il prospetto al mento e al labbro inferiore.
Era un manicheista che
per cercare una via di mezzo
si mise in viaggio con i mercanti di seta, spezie e porcellana.
 
Stanco delle pagode di Chang’an, partì a cavallo
e, per quanto si dicesse in giro,
aveva gli zoccoli d’oro.
Il destriero non era lento e saggio come un dromedario
ma volò sul deserto di Badain fino a Dunhuang.
 
Laggiù Xu fece un affare: il suo cavallo dagli zoccoli d’oro
per quattro fiale magiche. Uno strano berbero gliele diede,
uno che non era bianco e non era nero, con due cerchi d’oro
appesi ai lobi.
 
 
La prima fiala era rossa come il corallo dell’atollo di Ari per evocare il genio dell’ostilità.
La seconda verde come la giada della Birbania per il genio del riguardo.
La terza era azzurra come i muschi del Tibet per il genio del senno.
E l’ultima era rosa come la rosa del deserto di Petra
dove dormiva il genio della potestà.
 
Con altri duecento uomini ripartì
attraversando il guado della notte
la luna ricoperta di fosforo non falciava le ore mature
e le stelle si accordavano con i briganti.
 
Ce n’erano di più onesti che offrivano hashish ai viaggiatori
e Xu si addormentò con un mantello di seta di Loulan sotto la testa.
Sognò per duecento notti le sue fiale vuote
e al risveglio
il viso era ricoperto di sterco di yack, che i mendicati seccavano per accendere i falò.
 
Aggirò a piedi il deserto di Taklamakan per tre stagioni,
troppo debole per arrivare all’oasi di Kashgar.
Cercò invano un passaggio e aprì la fiala verde del riguardo che sputò un vapore. Xu parlò al genio.
Gli chiese di incontrare qualcuno che per amicizia gli offrisse un passaggio su uno dei suoi cammelli.
Trovò soltanto dei manigoldi col turbante, che lo rapirono.
 
Aprì gli occhi a Kashgar, sette lune dopo la carovana.
Non aveva più niente.
Al Gran Bazar un uomo vendeva un cammello di Battriana.
Xu non aveva soldi e frantumò la fiala rosa della potestà, che esalò un soffio.
Chiese al genio i soldi per comprare la bestia,
ma ne fu deluso.
 
La notte passò solerte coma una gazza,
un delicato respiro all’orecchio gli suggerì di rubare.
Ripartì nottetempo per Samarcanda,
stringeva due ciocche fulve del cammello e con le zanzare attraversò i campi di cotone
le bancarelle di cocomeri e l’ombra del mausoleo di Tamerlano.
 
Attraversò la Persia e si unì ai carovanieri che andavano a Damasco
finché i nomadi del nord sorprese loro.
Erano gli Xiongnu,
terribili mongoli che uccidevano con il vento della Siberia per mantello.
Xu fece in tempo a rompere la fiala rossa dell’ostilità.
Sgorgò un filo di nebbia e chiese al genio una scimitarra.
Non ottenne nulla.
Per paura fece il suo: con una pietra uccise un uomo,
poi si nascose per tre notti.
 
Xu fece tanta strada quanta ne fa una cometa di ritorno da Dio.
Viaggiò lungo la costa fino a Costantinopoli.
Sul Bosforo cercò un modo per non pensare alla morte e aprì l’ultima fiala.
Quella del senno.
Era stanco, senza idee, chiese al genio di portarlo a Venezia.
Restò sul molo
la sabbia ingoiò i suoi piedi, finché
un rigurdito della battigia scoprì le sue caviglie vigorose.
C’era un’imbarcazione con casse piene di acciughe che salpava per Venezia.
Xu si finse marinaio e salì.
 
La foschia a Venezia era un lenzuolo rabberciato che copriva una donna in fin di vita.
Il sole era freddo e il piccolo cinese aveva dimenticato la ragione del suo viaggio.
Non aveva seta da vendere né porcellane. Non aveva nulla,
solo un estratto di angoscia dal suo cuore di corteccia.
Tra una cricca di allibratori che affollava ponte Scalzi
uno straniero a cavallo, un berbero né bianco né nero
 si avvicinò a Xu.
 
Un tintinnio strano, familiare saliva dalla massicciata.
Erano gli zoccoli a cui il sole prima di sparire
non negò un ultimo riflesso. Xu si accorse che erano d’oro.
L’uomo tirò le briglie e attese che il cinese parlasse. Questi inveì:
“Mi hai preso in giro, Ciarlatano”.
“Perché?” fece serafico il nordafricano.
“Quelle fiale non valevano niente. Niente! Ridammi il mio cavallo o ti uccido”.
Il berbero senza paventare rispose:
“Tu non hai mai creduto che questo cavallo avesse gli zoccoli d’oro,
come hai potuto credere che nelle fiale ci fossero dei geni?”
 
“Mi hai preso in giro!”
e l’uomo a cavallo sempre pacato lo zittì:
“E tu non credevi di fare un affare
sicuro che non fossero d’oro i suoi zoccoli?”
 
Il cinese aveva il naso piccolo, che cedeva il prospetto al mento e al labbro inferiore,
ma lo scoramento chiuse definitivamente il suo volto.
Fu soltanto in grado di dire: “Troppe volte ho visto la morte”.
 
Il berbero tirò fuori dal mantello un flauto di canna
e prima di portarlo alle labbra disse:
“Tu sei un uomo molto fortunato e non te ne avvedesti.
 Dopo che avesti rotto la fiala verde del riguardo,
non parlasti al genio per avere un passaggio?”
Xu con un ritrovato impeto:
“Certo, e invece no. Non ho ottenuto nulla!”.
 
“Tu comunque arrivasti a Kashgar e ora dimmi,
quando frantumasti la fiala della potestà, non chiedesti dei soldi per comprare un cammello?”
Il povero cinese con voce rauca disse: “Ma io non li ho avuti”.
Il berbero allora si adirò:
“Non fu con un buon cammello di Battriana che andasti a Samarcanda?
“Ma tu come fai a saperlo?” aprì a fatica i suoi occhi.
“Facesti tuo un bene non tuo”.
 
Uno sciabordio coprì le prime stelle annegate nella laguna
il silenzio fu l’anfitrione che ospitò nuove parole.
“ Dimmi , parlò dolcemente il berbero, ricordi che
 frantumasti la fiala dell’ostilità per chiedere una scimitarra,
quando siete stati attaccati dai nomadi?”
Xu non rispose.
“Hai ottenuto di uccidere un uomo. Una scimitarra non ti avrebbe fatto
meno assassino di una pietra, anche se per difesa”.
 
“Ricordo,
questa volta riprese il cinese, con la voce tiepida della coscienza,
ricordo che a Costantinopoli ho chiesto di arrivare a Venezia”.
“E’ stata – continuò l’uomo sul cavallo- una richiesta avventata
per aver rotto solo la fiala del senno”.
“E’ vero, rispose Xu”.
“Eppure hai avuto la saggezza di fingerti marinaio e arrivare fin qui”.
 
“Lo riconosco”.
Xu respirò guardando l’acqua del Canal Grande.
Si contavano più stelle che in cielo, le stelle sono ignare delle cose del  mondo.
 “Sono fraudolenti le stelle”
proruppe il berbero toccando col tallone il cavallo per andarsene.
Si sentiva il flauto suonare anche dopo che una figura scomparve in fondo alla notte.
 
“Ma tu come sapevi tutto?” grido Xu per l’ultima volta.
Non importa, pensò,
la curiosità peggiore è sulle risposte meno importanti.
 
Il resto gli fu abbastanza chiaro.
 

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