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Sylvia Plath

Nata a Boston, nel 1932, Sylvia Plath rivelò ben presto la sua predisposizione alla poesia. Nell'estate del 1953 ci fu il primo serio tentativo di suicidio: dopo aver ingerito un intero flacone di sonniferi fu trovata in fin di vita dal fratello, nascosta nello scantinato di casa. Ricoverata, subi l'elettroshock come un'esperienza terribile ed atroce. Il racconto di quell'estate è stato da lei romanzato nello splendido (ed unico) romanzo che abbia mai scritto: "La campana di vetro". Una borsa di studio la portò in Inghilterra e a Cambridge; conobbe e sposò il poeta Ted Hughes, con cui ebbe due figli. Nel 1962 la separazione dal marito (che aveva un amante). Nel 1963 il suicidio.
 

Lady Lazarus

L’ho rifatto.
Un anno ogni dieci
ci riesco -
Una specie di miracolo ambulante, la mia pelle
splendente come un paralume Nazi,
un fermacarte il mio
piede destro,
la mia faccia un anonimo, perfetto

lino ebraico.
Via il drappo,
o mio nemico!
Faccio forse paura? -
Il naso, le occhiaie, la chiostra dei denti?
Il fiato puzzolente
in un giorno svanirà.
Presto, ben presto la carne
che il sepolcro ha mangiato si sarà
abituata a me
e io sarò una donna che sorride.
Non ho che trent’anni.
E come il gatto ho nove vite da morire.
Questa è la numero tre.
Quale ciarpame
da far fuori ogni decennio.
Che miriade di filamenti.
La folla sgranocchiante noccioline
si accalca per vedere
che mi sbendano mano e piede -
Il grande spogliarello.
Signori e signore, ecco qui
le mie mani,
i miei ginocchi.
Sarò anche pelle e ossa,
ma pure sono la stessa identica donna.
La prima volta successe che avevo dieci anni.
Fu un incidente.
Ma la seconda volta ero decisa
a insistere, a non recedere assolutamente.
Mi dondolavo chiusa
come conchiglia.
Dovettero chiamare e chiamare
e staccarmi via i vermi come perle appiccicose.
Morire
è un’arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio in modo eccezionale.
Io lo faccio che sembra come inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammettete che ho la vocazione.
E’ facile abbastanza da farlo in una cella.
E’ facile abbastanza farlo e starsene lì.
E’ il teatrale
ritorno in pieno giorno
a un posto uguale, uguale viso, uguale
urlo divertito e animale:
“Miracolo!”
E’ questo che mi ammazza.
C’è un prezzo da pagare
per spiare
le mie cicatrici, per auscultare
il mio cuore – eh sì, batte.
E c’è un prezzo, un prezzo molto caro,
per una toccatina, una parola,
o un po’ del mio sangue
o di capelli o un filo dei miei vestiti.
Eh sì, Herr Doktor.
Eh sì, Herr Nemico.
Sono il vostro opus magnum.
Sono il vostro gioiello,
creatura d’oro puro
che a uno strillo si liquefà.
Io mi rigiro e brucio.
Non crediate che io sottovaluti le vostre ansietà.
Cenere, cenere -
voi attizzate e frugate.
Carne, ossa, non ne trovate -
un pezzo di sapone,
una fede nuziale,
una protesi dentale.
Herr dio, Herr Lucifero,
Attento.
Attento.
Dalla cenere io rivengo
con le mie rosse chiome
e mangio uomini come aria di vento.

 

Pecore nella nebbia

Le colline digradano nel bianco.
Persone o stelle
mi guardano con tristezza, le deludo.Il treno lascia dietro una linea di fiato.
Oh lento
cavallo color della ruggine,zoccoli, dolorose campane.
E’ tutta la mattina che
la mattina sta annerendo,un fiore lasciato fuori.
Le mie ossa racchiudono un’immobilità, i campi
lontani mi sciolgono il cuore..

Minacciano
di lasciarmi entrare in un cielo
senza stelle né padre, un’ acqua scura.

(2 dicembre 1962 – 28 gennaio 1963)

 

 

 

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