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Julio Ramon dava sempre il braccio a un libro (Cortometraggi)

Ormai Julio Ramon è un tutt’uno con la sua sedia impagliata
ed è difficile vederlo senza il panamà in testa
anche quando non c’è il sole.
 
Le nuvole fanno male alle ginocchia e le cartilagini stridono,
ma c’era un tempo in cui
il loggiato di fronte al mare era una coffa piantata sulla terraferma
da dove maledire l’orizzonte
e i cargo attraccati come spettri in attesa del giudizio universale.
 
Che che cosa seria era la rivoluzione!
Come corteggiare una donna che fa la ritrosa,
e convincerla a fare l’amore.
Julio Ramon aveva fantasticato sulla sua indignazione
come un sergente contro gli ufficiali.
 
Un tempo L’Avana era troppo colorata per lui
 e troppo comunista.
Era un bicchiere di rum troppo alcolico
nelle mani cigolanti di un ubriaco che scommette 50 CUC
che sia il migliore di Havana vieja.
 
Con un sogno disertore Julio Ramon ha passato 20 anni sul Malecon.
Un sogno di sudore sugli scogli, di cohiba, di baci negri
di indecenze ammesse da dietro
sederi immensi dove coltivare canne da zucchero e coca.
I Sederi della povertà.
 
Un sogno nel traffico della Rampa
tra Lincoln, Cadillac, Chevrolet,
tutte vecchie carcasse, tutte vive, tutte americane.
Julio Roman aveva una Chevrolet Bel Air del ’56, azzurro- cielo
che ronfava quasi avesse tonsille d’acciaio nei cilindri.
Ci piantò un bel motore Fiat e la macchina
si addormentò.
 
Quando era giovane, scendeva dal loggiato
come se fosse sempre l’ultima volta.
Portava la barba come i barbudos e dava sempre il braccio a un libro,
qualcuno sulla democrazia di Rousseau,
qualcun altro sulla proprietà privata di Tolstoj.
 
Ma non se ne andò mai, Julio Ramon.
Aveva la sua bancarella di libri in Plaza de Armas
e andava  a ubriacarsi nella Bodeguida del medio.
Ricorda sempre la signora del porticato che gli urlava:
Ehi chico, si te vas, perderas todo.
 
Ma non se ne andò mai, Julio Ramon.
Tra le pieghe del suo petto ora
si vede l’anima inutilizzata come un orologio vecchio dentro un cantiere in disuso.
Non è colpa sua. Il regime -dice. Il regime aveva illuso.
 
Sprofonda nella sua sedia impagliata
con il panamà sugli occhi
mentre la gente si ritrova in calle 23
si droga per niente e ascolta i reguetoneros.
 
Ha saputo sì
che il nuevo general  vuole che il mare riporti il mondo
e che il mondo sta già arrivando a piccole dosi
come rifiuti desolati sulla battigia.
 
L’embargo è finito
e le navi stanno dormendo sulla schiuma
di schiena.
Nessuno vuole più scambiare la ruggine con la cera.
 
Con la gola piena di salsedine
chissà se lui sogna ancora,
il porto è lì che abbraccia l’oceano come una balia nera un bambino biondo.
Ma sa che è troppo tardi per sentirsi libero,
Julio Ramon è la nave che senza gomene affonda.
 
 
 
 

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