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Estratto dal Cap sei "An Amazing Story" (A man called Thomas)

Estratto dal Capitolo Sei, di “An Amazing Story”

(Un uomo chiamato Thomas)

 

NOTA:   In questo brano Thomas racconta come incominciò la sua carriera di fotografo, un caso fortuito che iniziò durante un viaggio giovanile nell’Outback Australiano e avendo al suo fianco come amico e guida un uomo Aborigeno, che incontrò casualmente in un pub in Mount Isa, luogo che si trova ai confini col “Never, never land.”

…………………………………………..~*~…………………………………….

“Perché non mi parli apertamente della tua vita?” - Chiese Dolores - “Sappi che sono una buona ascoltatrice. Penso che qualora si svuoti il sacco delle memorie, si ottengono risultati inaspettati. Credimi, dopo ti sentirai molto meglio. Non dimenticare pure, riguardo l’incubo che opprime la tua vita sessuale, posso esseri utile e darti buoni consigli, d'altronde ciò fa parte del mio lavoro. Sappi che sono ritenuta una buona consulente.”

Al principio Thomas si sentì reticente. Poi le parole divennero più facili e fluenti mentre tratteggiava i punti salienti della sua vita. Dolores non lo interruppe, e ascoltò il suo lungo monologo che ora era divenuto scorrevole come acqua corrente. Stavano camminando su quel tratto di strada che da Circolar Quay conduce all’Opera House, costeggiando quel magnifico Promenade che corre parallelo alla baia di Sydney.

Thomas, fu silenzioso per un attimo, concentrandosi mentalmente, e rivivere i ricordi del passato. Poi con calore iniziò il racconto.

 “Fui sposato per alcuni anni, allorché notai che la nostra vita scorreva alla deriva. Decidemmo così di separarci prima e poi vi fu il divorzio. Fui singolo per breve tempo e non molto dopo m’innamorai di un’altra donna e vissi assieme a lei per circa tre anni. A modo mio l’amavo e così pure lei contraccambiava al mio sentimento d’amore con uguale intensità, sebbene, da parte di entrambi mai esisti` mai una completa fedeltà. Entrambi si ebbe l’occasionale avventura amorosa che sebbene tacitamente saputa dall’altro, mai fu discussa.

Non so se quello fu il tempo in cui incominciarono i miei dubbi riguardo la mia capacità di poter amare una donna. Sentii in me che dopo l’essere stato assieme alla stessa donna per alcune volte il mio desiderio di averla come amante diminuiva rapidamente, per poi alla fine cessare completamente. Questo avveniva più facilmente qualora fossi assieme a una donna che non faceva nulla per creare più piacevole l’atto sessuale anzi, faceva si ché perdessi rapidamente interesse di lei. Con ciò non parlo unicamente del piacere fisico dei sensi, ma di tutto l’insieme, specialmente quanto riguarda ciò che si trova nel profondo dell’animo umano. A causa delle mie esperienze vissute prima di allora, ero propenso a credere che la maggioranza delle donne considerasse l’atto sessuale come la dovuta scorciatoia per giungere in breve tempo a ciò che è chiamato amore. Per me quello era null’altro che l’atto meccanico, l’usuale ripetizione di gesti che fanno unicamente parte di quegli scambi sessuali. Era un intercalarsi delle stesse parole, il ripetersi degli stessi atti carnali, che si mi facevano conoscer bene i loro corpi, ma non più di quello, e mi lasciavano completamente estraneo di come comunicare direttamente al loro animo. Per me ciò era davvero una cosa frustante. Quindi non esistevano baci o alcuna carezza che ci scambiavamo, che potesse risvegliare in me la libidine necessaria nell’unirmi a lei nell’intimità sessuale che mi era richiesta. Sentivo di aver bisogno da quelle donne molto di più che solo il loro corpo. Questa fu la ragione che a un certo punto le ripudiai dando via le pretese dell’essere assieme a loro come amante.

A causa del mio lavoro, viaggiavo continuamente attraverso i continenti. Avveniva spesso che durante quei viaggi avevo l’occasione di conoscere nuova gente e molti di essi facevano parte all’alta gerarchia della classe sociale. Ricevevo spesso da loro inviti alle loro feste. Durante le quali, avevo modo di conoscere donne che apertamente m’invitavano a passar la notte assieme a loro nelle loro alcove. Attraverso quegli anni ho ricevuto offerte amorose da parte di aristocratiche, come pure di attrici, senza tener conto dell’innumerevole schiera di plebee. Gli inviti provenivano, nella maggioranza, da parte di donne sposate, in cerca di un flirt veloce e di una speciale notte di piaceri. Altre donne invece, dopo l’essere stati assieme nella prima notte, si aspettavano che la nostra relazione continuasse. Ho avuto modo di imparare da tutto ciò. Tutt’oggi raramente accetto questi tipi di proposte provenienti da donne. Non mi sento più cacciatore di certe prede, e non sono più interessato ai loro desideri. Ho superato quella crisi e sento di non aver più bisogno di loro. Ho tutto quanto un giovane e aitante uomo può sognare e desiderare dalla vita. Mi sento adulato per le mie capacità di fotografo, e m’impegno con tutte le mie energie nel creare il meglio possibile. Sono benestante, con una bella villa che sovrasta questa magnifica baia e il mio yacht che si trova ancorato sulle acque qui di sotto. Qualora ritorno a casa, vivo nel modo in cui mi piace di più, nel creare quanto meglio posso con il mio lavoro figurativo, ottenuto con l’aiuto delle mie macchine fotografiche e, capace di riprodurre visualmente l’espressione della vita di gente sconosciuta che ci circonda. 

Ero giovane quando incominciai. Ero solamente ventenne, quando divenni popolare nel campo fotografico. Fotografare è sempre stata la mia passione sin da ragazzo. Al mio dodicesimo compleanno mio nonno mi regalò la mia prima vera camera fotografica. Incominciai subito a usarla e a studiare il miglior modo per ottenere quanto meglio poteva offrire, capace di dare la vera espressione fotografica di luoghi e di persone, che ritenevo migliori. Analizzavo i differenti risultati ottenuti con il variare la velocità e l’apertura dell’obiettivo e pure quanto meglio potevo ottenere usando differenti gradi di pellicole. Presi nota delle variazioni usate nella fotografia ottenuta e studiavo i migliori risultati ottenuti, integrando le differenti possibilità datami della camera fotografica.

Finalmente mi matricolai, ma prima di iniziare a lavorare volli concedermi una buona vacanza viaggiando nel Nord del territorio Australiano. Per quella ragione comprai un “Land Rover Carrier” un ex veicolo militare e lo caricai con tutti i miei preziosi equipaggiamenti, diverse camere fotografiche, contatori di luce, tre-piedi, e lenti d’ingrandimento.

L’unica altra cosa costosa che facesse parte del mio vestiario, era costituito da un nuovo cappello Akubra, il tipico copricapo che è usato per qualsiasi clima australiano e che era il regalo di mia madre per la mia matricolazione. 

Fu in Mount Isa, al pub locale, che incontrai un aborigeno del luogo, che si offrì di essermi guida nell’attraversare il deserto. Mi disse che voleva andare a Port Augusta in South Australia, alcune migliaia di kilometri lontano dal nostro pub in Mount Isa, ossia si trovava al di là di quel terreno inospitale dell’Outback. Disse che sarebbe stato utile, perché conosceva bene quei luoghi, nel quale era nato. Disse che durante l’attraversata, mi avrebbe pure insegnato il modo che si può sopravvivere nella piana selvaggia, nel mezzo del “Never, never Land”, con le poche risorse che si trovano lungo la via che attraversa il deserto, scendendo verso il Sud. Mi promise di insegnarmi il modo di pescare e cacciare aborigeno, usato dal suo popolo per migliaia di anni. Nuovamente accentuò il fatto della mia necessità e del piacere di averlo come compagno, poiché sapeva tutto del luogo lungo il nostro cammino nell’outback infuocato. Non mi lasciai scappare la sua generosa offerta, e sigillai il patto sull’istante e in quel modo divenimmo inseparabili per i molti mesi a venire.

Andammo a Darwin, dove ci fermammo per alcuni giorni, dove comprammo le approvvigioni necessarie,  alla nostra lunga attraversata. Ero alla mia prima esperienza nel Bush (interno) e devo molti ringraziamenti a Jolly, il mio amico Aborigeno. In quei mesi ho avuto la possibilità di imparare molteplici cose da lui, che nel futuro furono utili e salvarono la mia vita nelle susseguenti avventure che mi portarono in luoghi come la salita sull’Himalaya e la traversata del deserto del Sahara. Cose che erano di massima importanza nel sopravvivere come poter trovar acqua qualora ci si trovi nel deserto, usando il metodo della condensazione dell’umidità notturna, come predisporre trappole e pigliar animali per poi cucinarli per le nostre cene, e come pescare in acque stagnanti con il solo aiuto di una lancia di legno.

Trovai Jolly sempre di buon umore, e pronto allo scherzo. Al calar della sera arrangiava il nostro campeggio notturno, poi cucinava la nostra cena, e alla fine, in certe notti, danzava le danze del suo popolo, mentre creava il tempo musicale  con il ritmico battito di due boomerang, mentre danzava veloce ai suoni dei riti tribali. Poi alla fine, dopo la danza, mi spiegava il significato mitologico e qual era la divinazione intesa in quella particolare danza che aveva giusto compiuto.

Durante quelle occasioni, mentre Jolly danzava, boomerang battenti, nel dar il giusto ritmo ai suoi piedi callosi, sopra le calde sabbie rosse del deserto, intento negli atti divinatori e alle espressioni mitologiche dovute dal ritmo della danza, che intendevano di propiziare un buon domani; io ero preso nel ritrarlo nelle mie foto, incorniciandolo tra le luci del falò acceso nel campo, che rompevano le ombre notturne, dense di tenebra, durante quelle particolari notti senza luna.

Si viaggiava con spirito leggero, e ci sentivamo felici. Mai fui come allora liberato dalle consuete leggi della vita, problemi che usualmente sovrastano il mondo civilizzato. Alla fine giungemmo alle coste che si affacciano sopra il Kimberley. Quella è l’ultima barriera che divide la terra dall’Oceano Indiano. Qui trovammo incredibili Canyon, che separavano la pianura dell’interno con una costa alta e scoscesa, dove immense onde selvagge si infrangevano con rumori possenti alla base di quelle pareti rocciose. Era selvaggiamente bella! Sono luoghi dove l’umanità raramente giunge e, l’essere lassù tra  quelle alture aventi picchi di rocce frastagliate dai continui venti, che ululavano nel passar tra le rocce, e che provenivano dalle lontane acque oceaniche e, che viste da lassù, erano di un blu tenebroso. Dall’alto di quella scogliera, rivolgendosi sul lato opposto, verso l’interno, si notavano ugualmente pareti spioventi e levigate. Su questo lato, guardando verso la base del Canyon si notava una vista rilassante, piena di quiete, e in quel profondo canalone scorrevano acque calme, risonanti di canti d’uccelli e altri echi che rimbalzavano tra le gole, mentre la frescura che emanava, si innalzavano dallo scorrere delle acque trasparenti e dolci del fiume. In quelle acque, il pesce era abbondante, ricco di barramundi, granchi, e yabbies (crostacei di acqua dolce). In cuor mio quello era il vero aspetto del paradiso terrestre. Mi sentivo emozionato ed eccitato e questo mio stato d’animo cresceva col passare del tempo. Posso asserire che avevo completamente dimenticato quale giorno o quale mese dell’anno fosse, in quel mondo che è dominato dalle leggi della civilizzazione.

Senz’altro quella era la migliore esperienza della mia vita giovanile, e in cuor mio pregavo che non finisse.

Si era giunti nel periodo estivo. Era la stagione che porta i monsoni che si formano nella lontananza dell’oceano. Si anticiparono con scrosci temporaleschi di pioggia pomeridiana, che emanavano all’intorno quell’appiccicoso sentore di umidità nell’aria. Fu allora che ricordai quel vago avviso ricevuto in Darwin, alla Stazione di Polizia, prima della nostra partenza verso l’interno. Mi premonirono di trovarmi in un luogo sicuro quando sarebbero scrosciate le acque torrenziali dei monsoni estivi. Mi ammonirono del pericolo di rimaner prigioniero tra le paludi che rapidamente si sarebbero trasformate in un mare senza via di uscita a causa dalla continua pioggia torrenziale. Ma preso dall’incanto del luogo in cui mi trovavo, avevo completamente dimenticato quell’avviso premonitore.

Vidi Jolly nervoso per la prima volta. Continuava a rammentarmi che si doveva trovare un adeguato riparo prima dell’arrivo delle piogge monsonali. Al principio non gli diedi retta. Rimandavo sempre al domani l’importante decisione. Il piacere di vivere in quel luogo era troppo forte e cercai di rimanere in quel luogo il più a lungo possibile.

In cuor mio mi sentivi sicuro, di non aver nulla da temere. Avevo riversato sopra Jolly l’incombenza della nostra sicurezza. Istintivamente mi sentivo protetto dalle sue capacità e dalla sua conoscenza dei luoghi. Fu così che Jolly vedendo la mia riluttanza, trovò per noi una grotta, la quale era abbastanza rialzata sopra il Canyon. Era asciutta e confortevole e divenne così la nostra casa. Aveva pure trovato un luogo sicuro per lasciare il nostro veicolo, che ci sarebbe stato indispensabile alla continuazione del nostro viaggio.

~*~

 

 

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