Scritto da © ferdigiordano - Mar, 25/09/2012 - 17:37
- Dimmi, quante volte ti ha attraversato le tempie la freccia del mio nome?
- Che domanda è? Tempie, freccia, attraversamento… Dillo a parole semplici, ma un po’ più vicino a me.
Tanti anni or sono, più o meno all’altezza della prima turbolenza, quando il corpo decreta la scelta del suo nord, un polo che mai raggiungerà compiutamente pur ponendo bandiere sulla calotta dei ventri, lei mostrava la ferocia della lingua essenziale fino al punto del grisou nei bronchi per accendere il rossore più intimo che c’è.
Oh, non era una pin up, perché il primo amore non è mai in cerca del clamore. Era piena del senso della macina, femminile e sagace, attraente per la furia dello sguardo, quell’immancabile amo… Il primo amore insegue un come nell’incoscienza: lo stelo ossuto che male interpreta l’avvenenza esposta, la robustezza da farsi, il nodo nel tronco. E’ della crescita, questo malessere, e si forma nella contumacia del lievito dei tendini, ma si lega all’amaro con la sagola del fremito continuo, miracolo inscritto nella profonda cavità delle cellule antecedenti le barbe.
Più maturo e formato, il clamore della donna preme nella vena marziale come un’arma sfacciata e irridente: erige la palafitta per fondare il castello: sceglie le sue torri, ottiene l’assedio a cui arrendersi; in realtà la casa che regge è quella con meno amore alle pareti: tutto il cemento che occorre è nella passione impiegata nelle fondamenta.
- Tu sai che non posso farne a meno se guardandoti le parole si attraggono da distante.
- Ancora? Davvero non ti riesce di parlare senza ingarbugliare la lingua?
Tanti anni or sono, il jeans disegnava i tuoi fianchi acerbi per le manovre delle mie mani randagie senza meta. Perché si ha un bel dire che la mappa è lì, spiegata e semplice, ma un tragitto segreto suppone la padronanza del terreno, la sensibilità dei pori è alla sua alba, ma quando la traccia prende coscienza nell’asilo del piacere, il gioco tattile attiva l’attenzione occorrente, l’alfabeto della stimolazione si completa, la contaminazione della pelle sostiene la saliva vischiosa, supplente.
Però lei aveva territori curiosi: il seno appena cammellato ma con capezzoli seri, cilindri bruni, aureolati come santi che suggono iniziati, e in parte sommergono, quei fari cruciali della navigazione ad ormoni.
Allora io non potevo conoscere i meandri della passione: la saggiavo nell’unica realtà plausibile: l’immaginazione, la straordinaria dissidenza del mio creato dal creato sottomano. Ero privo di cecità ma cieco fino al midollo e il midollo è nelle mani tremanti la carezza più incerta.
- Che corpo emotivo e che occhi lucenti ti ha fatto il tempo…
- Dimmelo ancora… e inutilmente mentimi, se puoi.
Tanti anni or sono, come pure violata da allora, una frase insostenibile, una lingua indicativa:
- Sottraiamoci dalle nostre voci profonde, non siamo necessari al rumore del mondo con un addio al secondo.
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