La sala d'attesa era piuttosto piccola, di una strana forma trapezoidale e senza quadri alle pareti, arredata esattamente come la maggioranza degli ambienti a disposizione di pazienti in attesa di una visita medica. Poche seggiole, oltretutto scomode, un tavolino con vecchie riviste ed un cestino multiuso per cartacce ed ombrelli.
La targhetta gialla, con scritta nera, affissa sulla porta dello studio, recava il nome del medico e la sua specializzazione, quest'ultima con caratteri decisamente piccoli e quasi indecifrabili ad una certa distanza. Padre e figlio, seduti uno di fronte all'altro, avevano prospettive diverse, data la strana conformazione della saletta, ma evitavano di guardarsi ed il curioso effetto ottico si perdeva in sguardi al soffitto. Erano lì da cinque minuti, perfettamente in orario ed assolutamente silenziosi.
Il primo invito fu per il padre, che titubante varcò la soglia dello studio medico, non prima di aver lanciato uno sguardo di rassicurazione in direzione del ragazzo, intento ad osservare il bianco della volta.
-Allora Signor C. perché pensa che suo figlio abbia bisogno del mio aiuto?- disse il medico senza tanti rigiri, ma solo dopo aver messo a proprio agio il genitore, su una comoda poltrona in pelle. L'uomo, sulla cinquantina, si lisciò ripetutamente la barba brizzolata e ben curata, balbettò qualche monosillabo, poi come percorso da una scossa, disse nervosamente -Il ragazzo non sta bene...non è...normale- dando una caduta di tono all'ultima parola, come quando si è costretti ad annunciare una verità scomoda e terribile.
La mano destra era impegnata col suo aggeggio portatile, la sinistra batteva musicalmente sul ginocchio gemello ed il piede andava a ritmo alternato mentre un mugolio in saliscendi sintetizzava l'ascolto dell'ultimo successo dei “Città Futura” meglio noti come CF.
Il soggetto della discussione non sembrava minimamente turbato dalla situazione e men meno dal luogo, che giudicava piuttosto angusto e strano, ma non meritevole di ulteriori approfondimenti. Fu fatto accomodare nello studio dello psichiatra e la poltrona che aveva ospitato per circa un'oretta un cinquantenne nervoso e disorientato, accolse un diciassettenne piuttosto svogliato e presuntuoso. Dei circa trenta minuti che impegnarono il ragazzo ed il medico in un fitto colloquio, il Signor C. ne utilizzò la metà per rovistare fra i peli della barba, prima con una mano e poi con l'altra, come se ci fosse nascosta la risposta ai suoi problemi, poi batté nervosamente e ripetutamente le mani e questo gesto lo riportò a quasi diciotto anni prima, quando, con atteggiamenti simili, attendeva la nascita del suo ometto.
Il medico ed il ragazzo uscirono dallo studio sorridenti e si strinsero la mano, poi osservarono l'uomo con la barba e subito si scambiarono un'occhiata d'intesa.
-Signor C., avrei bisogno di parlare ancora con lei- disse mentre tendeva il braccio sinistro in direzione della poltrona.
-Non ho riscontrato nessun problema serio in suo figlio- disse, secco, il medico ed attese la risposta, invitandola con lo sguardo.
-Ma da quando mia mog.....sua madre è andata via, beh le ho già detto dei suoi comportamenti strani!-
-Si, ma bisogna contestualizzare, è neces.......
-Ma sta sempre chiuso nella sua camera con i suoi aggeggi elettronici, non ha che amici virtuali, quasi non mi parla ed è assolutamente disinteressato a chi gli passa accanto- disse il padre, tutto d'un fiato e quasi esagitato, poi proseguì con più calma, dosando il tono -Eppure ho cercato di farlo crescere insegnandogli dei valori, volevo che avesse delle speranze, volevo che riconoscesse gli altri come parte di se stesso, volevo che crescesse in un mondo migliore- e diede all'ultima parte della frase un timbro di tristezza.
-Ecco- disse il medico -E' proprio questo il punto del quale volevo parlare- e proseguì -Suo figlio è perfettamente a suo agio, vive pacificamente in questo mondo...lei no, Signor C. lei no- disse scuotendo il capo e con uno sguardo che sapeva di rimprovero. Poi riassumendo la mimica facciale di un serio ma sorridente professionista, continuò -Vorrei rivederla, facciamo fra una settimana...intanto le prescrivo qualche pilloletta che l'aiuterà-
-Ma...cosa!?...
-Si lasci aiutare, la prego- e senza attendere risposta emise la diagnosi -Lei soffre di una forma non comune di utopia dissociante, nota anche come sindrome del sognatore-
-Lei sogna un mondo diverso, un mondo migliore, un po' come facevano qualche tempo fa certi poeti non allineati o alcuni presunti rivoluzionari, tutti finiti male-
-Mi dia retta, lei ha bisogno di cure!- e sorrise, ritenendolo terapeutico.
-Papà, hai preso la pillola...hai guardato il TG come ti ha consigliato il dottore?-
Lo vedo, qualche volta, passeggiare nei giardini di metallo, ricurvo, strascica i piedi ed ha la barba sempre sporca di bava, ma gli occhi...ah, se vedeste gli occhi!
No, non è ancora guarito, ancora no.
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