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Il verso di gazza al tempo del virtuale

Al verso di gazza non so rispondere, vorrei, non so
ed è questa la maledizione di essere porto\ non nave.
La lusinga si prenderà il costume ad asciugare le brutture,
l’innato nichilismo ed i dadi del dubbio.
L’ipocrisia impigliata cercherà respiri,
ricordi di un amore gettato nel lago, promesse vane

 

….nessun soldato la toccherà
 

Prendine un boccone alla volta, mi dissi,
qualcosa ti farà allo stomaco furente.
Ci salderanno la faccia, vedrai,
un pierrot al posto di un giullare qualsiasi
noi potremo solo piangere,
inventando trucchi per restare tra i sorrisi e le carezze
più o meno sopravvivere al vomito universale.

 

Si fa presto a dire: che ingenuo il tuo canto d’amicizia,
non ce n’è stato un altro simile da quando dissi si\ no.
Avrei dovuto sistemare la bile da qualche parte,
mettere vino allungato nella vena morta.
Il fegato avrebbe preso rotte d’amore stanotte,
dimenticare…dimenticare…elevarsi su un Everest
e non guardare il grillo svuotarsi di civetta.

 

Sbatti le ali inutilmente, mia saturnia,
il campo si lavora le radici,
i semi vuoti già pensano ai prossimi parti,
-inverno compreso nel prezzo dell’afa-.

 

Sono miei i ramarri. Li allevo, li amo, hanno occhi di brace
dopotutto sono gli unici a cantare una marsigliese sempre uguale,
di gusto acido e retrogusto amaro.



 

 

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