Scritto da © ferdigiordano - Gio, 05/07/2012 - 12:17
Vedeva l’Africa sulla luna
perché proprio all’Africa la luna si mostra lattea
come nei sogni infantili maculati dalle apnee
l’eterna unzione del risveglio
materno.
We’re going to Mars:
pensò che un gatto sul pianeta
rosso ci stava bene con
quella matta di ragazza nera
dismessa e gravida
che fece un figlio mentre rotolava
dall’altopiano nel bidone meno aereo
che c’era, e non si sa bene
in quale volo trovò l’uccello
che le salvò il ventre.
Dalla savana guardò di sbieco gli USA,
l’URSS, tutte le confederazioni
dei rigattieri dell’UNESCO. Chiese quanto serviva
per il programma spaziale da Lusaka
al futuro.
Piantò le lance negli elmetti inglesi,
convinse che bastavano quei caschi
in atmosfera zero e la pelle nera
per lo sbalzo dal sole all’ombra,
preparò le latte per la fusoliera
e l’elastico per il lancio,
ma non partì, né lui né gli adepti
del rame.
I have a dream, un anno dopo MLK
(che in cielo ci andò davvero e ancora c’è)
mentre rideva al corso spaziale
sullo Zambesi:
almeno spero per lui che if he has realized
the dream was the natural way.
(*) mersì, frensis. pur tuà (sett ballad).
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