Scritto da © ferdigiordano - Lun, 11/06/2012 - 23:58
Ci sono degli hangar dove ricoverano aerei che hanno visto lo stupore degli stormi ai primi voli dell’acciaio lucente. E di quell’incomprensibile rombo sono morti a fette. Come avrei potuto nasconderle la meraviglia quando mi apparve improvvisa la sua carezza? Non ero io l’acciaio, non lei lo stormo. La carezza proseguiva una corsa indipendente.
Non mostrò timidezza nella seta del gesto. Le dita scelsero solchi nei ricci. Seminò fasci di spilli che imbastirono la nuca e un incendio senza alcun crepitio si sparse tra le spalle in mille scintille. Avvampai. Forse cadde riverso il primo pensiero da maschio. Non si alzò alcun sibilo. Né pieghe di vestiti poterono stirarsi dall’inguine. La delusione era inguardabile. La bocca prese una curva legnosa. Il sangue era cemento.
Da qui, vedo bene il passato: lei piega il capo di lato. Ha capelli come un timone d’ala. La vedo solo ora in quella curva morbida che le consente di osservare non vista, di decidere l’occhio che inizi la marcia.
Io, ora, li sto guardando da un palco virtuale. Appena sopra la crenatura tra i corpi. Hanno un calore efficace, ma sembra che lui raffreddi.
L’esiguo torace di lei è calmo: non si pronuncia. Le labbra sono ferme in un lieve sorriso. Non leggo i suoi verdi occhi, ma so che sono talmente grandi che sarebbe possibile una baia per cento cianciole.
Lui sono io: come un molo.
Lei ha una schiena vigile leggermente flessa a sinistra: è da quel lato che il braccio muove e mi accarezza il viso. Sembra una vela di bolina e scarroccia leggermente subendo lo slancio dello zigomo. La pelle nuda è orzo che fluttua. La sua peluria è timida dove accorre l’aria e la piega. Coglie lo spavento che lo allontana. Si abbassa ancora. Lui è un crinale, lei si orienta dal ventre. Ha un alito fresco. Prende posto sul mento il suo labbro carnoso, poi il gemello. Valica la sua sorpresa. Accende tutte le fiamme dell’universo. Dirime il caos iniziale. Crea la bocca come facesse un pane, una pasta. Addenta. Chiude gli occhi e muove ogni lingua che può.
Lui non ha ancora capito: spalanca le palpebre e ritrae la saliva. Capirà più avanti che un bacio lo si affronta con l’animo dello scalatore: se sei inquieto devi essere veloce, se rimani senza fiato, occorre che rallenti. E' inquieto, ma rallenta, sbagliando il ritmo e ostruendo la gola. Chiude lo sguardo intorno e viene il buio così pieno di lampi che piove nel cervello e il temporale sceglie le vene per gronde. Si aprono cateratte dove scroscia l’ombra di lei.
Il lui senza ombrello sono io.
Se avete creduto che l'arrivo del primo bacio è davvero sedere sulla cometa, è comprensibile che a tutt’oggi ne vediate la coda.
Lui se ne accorge, come ancora io.
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