il luogo in cui
visito il fatto.
indicizzato, riconoscibile se se
ne fa richiesta, se
si infila la mano si
prende il testo
per questo
ognuno fa quello che può.
da ogni dove arrecate le vostre pance
qui
chè ci sarà di che saziarvi
e poi avrete di lunga a ridere di noi
di voi
fin quando gli occhi faran solletico
all'ombelico gonfio
e la vostra mano tremerà dalla paura
di un'ombrosa esposizione
mi è capitato
d'aver letto e non capito
e di sentirmi tipo seno rifatto
un peso nel petto
da non respirare
e allora, si affigga maestoso il bando
- che non sfugga - il suo richiamo
alla protervia di poeta:
si apriranno scrigni e ventri
ricolmi di amori immaginati, di cieli
mai esistiti, di qualche via perduta in un altrove;
con vanghe di creta si scaveranno rotte
nella plastica di deserti e
mille lune, allineate a luminarie
saranno l'osceno segno
di una festa di paese.
Dunque. Sia pronta, la menzogna tra il verde di alloro
e la più giusta fumata d'oppio, che
non si possa negare un'ottima mistura
da stendere sui costati che reclamano
la gloria del meritato respiro.
6
Si scoperchino le tombe dell’anima
con nomi scolpiti tra le scolorite tracce
di presenze perdute al primo buio
nei deserti crocevia dei sogni inutili
e cantare quelle bolse canzoni
che esaltanobandoleri stanchi e gitane andaluse
tra fotografie di mamme sempre ridenti
e vicoli nascosti dai tetti saturi di gatti lamentosi
tra colombe perdute e parole mute
tra stelle marine e piccoli ippocampi
e poi le carezze, i silenzi, gli orgasmi
tra le lapidi umide dei pianti della gente
e il rancore selvaggio di chi senza certezze
vive l’agonia inesorabile del tempo
per scaricare sui giardini della poesia
i propri olezzosi escrementi mentali.....
7
Come saranno i crinali del tempo?
le trapunte di stelle sui mari di velluto?
stipati stretti nei cassetti della memoria
dove i poeti attingono versi consunti
lisi come pensieri non propri e già venuti
8
appuntati al bavero di paltò,
daranno lustro e onore
e sarà gara di eleganza
lo sfoggio di ghirlande di baci
a cingere il nitore di seni palpitanti;
la perpetua allunga l'occhio, di tanto in tanto
(più di quello vorrebbe produrre, invero)
e salta un pezzo di rosario, che resta appeso
a penzolare dalla saccoccia di monsignore.
13
con il dramma degli amori più contorti e complicati
con lo strazio delle morti di quegli avi sempre buoni
e le ossa nella fossa e il sesso più selvaggio sui velluti di Damasco
mentre narra che si posa sopra un fiore una dentiera
così sembra molto meglio per difficile intuizione
com'è vero com'è raro quando il suono dice poco
a chi ascolta e anche al cuore che giammai lo condurrà
a far rima con amore ma a probabili bypass
che nemmeno sa spiegare solo giochi di parole
e si aspetta traduttori di improbabile pensiero e di vaga conoscenza
e non sente poi la colpa di ogni verbo che avrà eliso
tante volte ciò dà un tono di poetico narrare come
il lemma un po' volgare lo farà sentir "maudit"
Sarà un percorso lungo
dentro approdi e naufragi
sentieri smessi
e ritrovati nel sonno
Sirene le tue voci
udrò dal lontano andare
con timoni e bastoni
fermerò i flutti..al mare.
nella sazietà del digiuno
e nella santità dell'empio
sin'all'ultimo empito
sinchè avremo riempito
di stolide parole
gli argini della tolleranza
e suoni
e pianti
e lacrime di vergine
sinchè l'ora
non sia fatta pia
sinchè lo pìa!
Ed a ragion veduta.
sarà un'impresa?
non tocca a me però
il lavoro duro.
Tu dai fondamentali,
io dal tetto
: un laccio fra le stelle
fresche
sopra il letto.
Un cane razzola briciole stanche
di essere coriandoli sul lusso di tavole
truccate per un parco desinare
come le cassette dell'elemosine
sempre pronte per il Congo
ma già asciutte appena dietro la pala.
Il sole pizzica il sagrato
cuocendo il riso da sposi,
scopa fallace di una perpetua,
sui rami i passeri ringraziano
come chi sa che il cibo si prega
disgusto agli occhi le pance gonfie.
il poeta pensa alla dieta
e non è pago
se dello scrigno suo
non apre il varco;
rosso egli ha il core
e l'animo rigonfio:
lesto rompe ogni indugio
e il volgo inonda
dei preziosi suoi.
E segna
del suo passo
lo mondo bieco e infame.
Si direbbe, e lo dico, una fatica
di bagnino in bagno
di postino in posta.
Di netturbino inetto, avrebbe detto MLKing.
Su, lasciate la polvere su gli abiti
le sillabe comuni
ai comunitari del sillabario:
inventiamo la parola clandestina
poniamola nelle vertebre, facciamola midollo
del verso:
ad ogni parola sia concessa la dignità del seme.
Liberiamo dal solco la fioritura inusuale.
Abbiate coraggio,
sfoderate la prima lingua,
la meno affilata, che provochi la ferita
al timpano:
scriviamo il vagito.
dell'arcano grido,
solo sospiri e
il crepitio del seme
che schiude
in terra madre
nella breve stagione.
fioriscono punti rossi e cardinali
che mi indicano la non via
mentre defibrillo il verbo morto
ucciso dall’aggettivazione armata
come fanno le fragole
quando le vorresti ciliegie
una via l’altra
gratto su tutti e quattro i vettori
e scrosto fino al vivo
saprò mordere la lingua
quando il cuore supplicherà
amore sulla coda?
con amore, cresciute in sillabe con la pioggia
degli sguardi, sbocciate in parole grazie al sole
delle labbra. adesso
guardale, nerovestite sullo schermo bianco.
sono le mie, uniche e così uguali:
in migliaia condividiamo la stessa lingua assurda
tessiamo la ragnatela dell'impotenza
lentamente
ma in questo spazio le mosche non volano,
stanno lontane dai pixel retroilluminati
siamo morti di fame, con la bocca aperta
23
Ti leggo / mi possiedi: sei l’unico dittatore
che scelgo. Una dittatura in nuce. Di sola luce.
Ho un senso ulteriore,
una mano aggiunta, capelli ed occhi di un nome diverso,
il tuo olfatto e la tua voce con altre acutezze.
Il tuo intimo geloso, il suono del tuo sangue.
Leggere un'opera è osservare - assistere - al miracolo
non richiesto, ma che ci viene offerto. Quando presenzio
ad un miracolo, non mi chiedo perché: mi godo
tutto lo stupore che c’è.
E leggere è aprire il cassetto di un comò
che non mi appartiene: un furto curioso e sottile di panni
che pure vorremmo indossare. Non ti dirò:
indossa i miei. A che servirebbe? E quegli indumenti,
quei colori, ci precipitano addosso
con altre misure, diverso volume, nuovo splendore.
Usate tutte le parole, non usurate le stesse. Quante più
ne impiegate, tanto maggiore sarà lo stupore
di scoprirne di nuove.
Distribuite parole, createne.
Non dimorate in tre pagine del vocabolario.
Volete essere più alti? Sedetevi su tutte.
Se fossero di legno, alcune sarebbero ormai
solo stecchini.
Vi piace avere tra i denti lo stuzzicadenti
che usano tutti?
24
tu c'eri, quando giurai la mia fede
alla rivoluzione; eravamo poveri anche allora, solo
un pò più felici, forse appena ubriachi,
eppure si sapeva già la dannazione.
Adesso che la notte tarda, resto nella condanna
e trattengo
il duro di un seme nell'umido del palmo:
e aspetto. Potrebbe esserci una piccolezza
di verde, domani
che reclama il diritto ad una goccia di luce.
enigmatica è la notte
che i sogni avviluppa negli
intrecci colorati d’immagini vaghe
d’un quadro esposto ai visionari.
Ritocchi partoriti dall’estro creatore
dell’artista dimorato nell’anima.
Stucchi bluastri a cornice dei valli,
appesa al cielo nel mare ondoso
s’alza come ala la vela bombata
d’un miraggio giallo limone.
Apparente il mito sembiante il sole
inganna senza soluzione i tardivi pensieri.
trattengono alberi frondosi di pensieri
scocciati palmo a palmo creano singulti
smorzati dai freddi praticanti
scagliatevi nei meandri di una svalvolata coesione
rimarrebbero solo sogni, stupori lastricati
di note assonnate, requiem religiosi più di una mantide
assassina del suo creato usato e disgiunto dal seme
rimandato agli albori di una nuova identità
Crescono le rose spalleggiando i roseti a maggio
chiare luci setose ammansenti il grido di libertà
cretoso d'impasto di vita, vorace crisalide che non opponi
il destro all'istinto che è causa ed effetto irrompenti
sgelate d'ardori inique e selvagge processioni
coniando monete sfibrate di latta come i serrati
cascinali trafitti da spiriti armati di anima e coraggio.
quel credere podio il pianerottolo di condominio
e ci si ritrova nelle coincidenze delle scale
a senso di marcia anarchico
su e giù scontrandosi, accavallandosi
perdendo e raccogliendo cose
confuse a terra dalle sportine deboli
Poi
sull’ultimo gradino accanto al portone
lo vedi
coi diamanti sulle mani aperte
offrire a chi passa
e rimani lì, ombra, a goderti la luce
proiettato in misura sul muro
e scegli l'attimo speciale di magia
che torna alla tua mente inaspettato
dopo quella sensazione
che ti ha attraversato il cielo
come un astro o un meteorite
nato dall'essenza tua più vera
allora sarà dolce il poetare
e credibile e vero a chi potrà
riconoscere in quei versi
la musica che assomiglia
un poco anche a se stesso
Basta poco
per fuggire
il tempo di sentire...
musica e parole.
Portarsi dietro
gli abbracci della vita
e spalmarli di pensieri
e..favole.
Si conviene che il traffico di punta
mostri la disciplina dei cordoli
alla mappa evoluta
e lui
macchè! usiamo il marciapiede
come alternativa
ai voli per accadere ai tetti
da sotto
dalle fondamenta
per l’idea di tenere i balconi sospesi,
in procinto di assecondare il vento.
I garage, ecco, i garage detengono
la vera natura dei libri.
Il parcheggio continuo, consolida gli immobili
al cancello.
nude scappatoie giacciono incustodite
inascoltate nel mestruo rigenerante la vita.
Irriverenti stormi di migratori
trafitti da frecce ignote immolano il loro canto
dai prelibati succhi arroventati a fiamma
glassati a languori di bonaccia
ammaestrano bottiglie vuote
lasciti d'eremi nascosti al viso che ride
dannando le gesta di druidi
indovini e maghi dei boschi neurali
trapassati agli albori di antiche spoglie.
Traghettati i resti l'uomo accarezza i canuti valori
contandoli a secchi, secchi spezzati rami
che non nidificano più al canto delle cetre .
primo mese dell'anno matematico,
luce metodica d'archivio.
Ma acchì si apriva ancora con la zappa
e l'alga sulla fronte: la passione per gli occhi sale/pepe,
la memoria desertica del fondo.
Tu sapessi la furia dei tori di Borèa quando s'avventa
e scuce le giunture
e rovescia carni senza suono, e scendere l'orrore, un milione di scale
con abbraccio Montale. Non chiederci non
chiederci. Ma acchì? Eppoi continua, la voce secretaria: questa è vulgata nova
affianco la sequenza, con presunzione antropomorfa decussata.
Lasciaci detto. Dopo senhal.
Molto di più gli piace carezzare la pelle di una macchina.
Allora gli piace fare i bulloncini
o le cicale, quando impazzano e non sanno
discordare.
avessimo l'esattezza delle dimenticanze
e buone lunghezze da adattare
alle rotte, oh navigante! che furia dolce
sarebbe l'andamento
con vele nuove, dietro
oltre, i folti di papiri
si potrebbe pensare, quasi
bella, anche la morte
ad annegarsi nella magnitudine assoluta
di una supernova.
34
Creata la frattura sul frontespizio della parola
ci si chiede quanta manutenzione
occorra
per rinsaldare l’intonaco del vespro
o, scavalcando il problema dell’occhio,
si legga naturalmente
la fibra del senso, la profezia del segno
la fruibilità dell’elastico alla
comprensione del soggetto
mentre esplode la dichiarazione
che non ci appartiene
questo pensiero
né l’uguaglianza dei moventi.
qui, tra un control x e un control v
costruisco il quotidiano riverbero dei miei intenti
persi nel flusso estenuante
cieca imitazione di vita
dove tutto scorre incurante e inaccurato
non è niente, non è niente, dimmelo ancora
che si può passare sopra a tutto
a tutto/e restare se stessi
sempre. dimmelo ancora.
è un ago nel cervello il rumore dei tasti
rumore bianco ottundente e ottuso.
voglio la tua mano sul viso, appoggiarmi e dire
eccoti
36
Le esternazioni del tempo s'avvolgono
in richiami ancestrali
che, non sempre cogli
quando gli angoli più reconditi
si distendono, ad arco
lungo la linea sottile del tuo pensiero;
eppure sappiamo cosa si nasconde
nel rosa pallido di una prima Aurora
quando il sangue si fa brina
ed il cuore ferma -a tratti- il suo andare.
E pensare che, un solo stelo d'erba
può nascondere in sè
tutte le lacrime del mondo.
La sera culla i tuoi brividi
con lucida indifferenza
mentre ogni canto si spegne
in soffocati sussurri.
I presagi della notte ti cingono il capo
e ti fanno oscuro minotauro che scalpita,
che scalpita, che scalpita di inesausti zoccoli,
la turba dei pensieri t'è corona
e di tanta disperazione
ti rende sovrano.
Da tanto, questo è il tuo Regno!
arriveremo a varcare il maestro ostro
rabdomanti del mare ondeggianti legni
accolgono stive fornite al cielo i cori
trapezi ciondolano appesi all'albero
mani ferme tengono prese rigide come
alamari guardiani d'un fuoco acceso
nel petroso ritorno la risacca avverte
muggendo le onde abissali del casto
eterno cercare, l'odissea approda dove
nessuna Circe incita i porci a restare
ai cani a latrare ai gatti a dormire
alle iene a bruciare le odi. a te vanità.
chinammo ad arco il torso
e i nembi del sarcasmo furon corona
mentre tendini forti ci portavano,
oltre il muro
senza suoni
quasi una preghiera disciolta,
in rivoli sulfurei di aceto e miele!
che compone forse solo un suono, tondo
di perfezione
se ti dicessi la coscienza esatta di quell'istante,
che misurò in certezza
l'appartenerti,
già conosciuto e ritrovato
vena a vena.
Le ferite i lividi lasciati sulla pelle
facezie disadorne di attenzione
rigano le porte aperte negli atenei
disciolti a macchia nera sulle anse
disalberate, e spogli, remiamo sì,
ma nella barca accanto, a scrutarci
fieri e stolti, liane serrate apprendono
cariate strutture i pensieri solo archetipi
smussati, origini mai certe se non potate
circuite dal lamantino corpo sgrossate
ricavate, edotte, Cassiopea intanto svernava ai tropici.
Sul far della sera ammirando il tramonto
non più bello di lei lo trovava, ecco
ora avverto il sole rischiarare fronde ombreggianti
distese fiorite a cingere gli occhi esaltati
epurati da vincoli d'intesa di pressapochismo.
Annoiati ancorati al carro restiamo compagni di ieri.
42
Quando torneremo
i giochi saranno fatti
lampi di cielo nel grigio di orbite vuote
e stinchi di calce
per bambini di creta!
43
Posi la piuma nel tuo calamo
ed il vespro chinò
sopra di noi
le sue spire di salice!
44
Ora un calice porta al vento
le ceneri nostre.
Il timore ci rende audaci
nella bocca
l'odor di vaniglia
di baci mai dati.
45
E non finiremo di stupirci
neppure quando l'ultimo sole
coprirà d'ombre
il nostro fuoco!
46
palmi, i miei
forti del dolore a seguirti
nel rovescio delle vie, tutte
da dissotterrare, che sia
magnifica, poi
l'altezza di colonne nuove
e a sera, ma anche più in là
fuori dalle esibizioni di lune penduli,
sentirlo pieno, nel petto
l'assenso del grido e
salire, che non ci trovi
soli, ancora
mai, quel destino del dire.
47
Corte, semplici, susseguenti le dita,
abbandonate dai polsi, decisero
le unghie che il verbo è
il vero graffio
il produttore del gesto.
È, così come ho, più che rena
nella clessidra che non segna ore ma finissimi suoni.
È tempo,
ho tempo:
in ogni caso, dura un volo.
48
è quasi un vangare villano
quello della punta
quando pretende di fare spazio
a un chicco per domani
intanto fa ritorcere i lombrichi
smuovendo e smottando
incrinando di luce l'illusa pace illune
altre unghie tentano di rappezzare la terra
poi si arrendono
caricano il residuo su una barca di giornale
e la posano sull’acqua dei naviganti
resta il seme sperso ma leggero
in cerca di un buio nuovo
49
Esilio, lex non c'è se consumo le sofferenze
assemblate in una stanza vuota d'amore.
Purgatori eretti da cuori voraci
scatenano tumulti nel scenico amplesso
destinato alla folla trapassata, fuori.
Cosa offrire come panem et circenses
come oltrepassare la morte per la vita
le colonne d'Ercole per l'America... e sia,
l'ora dell'assedio è giunta, e tu, sola inafferrabile.
50
della sua stessa gravità, implode
la traiettoria di un'ellisse
dovrò arrendermi, che sia questo
adesso
il silenzio che tuona la fine?
eppure, l'onda d'urto
raggiunge la superficie di una stella:
non del tutto compreso,
e sfuggente
ma ancora, ancora
lumina, il riflesso di Rukbat
al dolce dolore di un accento
che aspetta il volo.
non perdermi il nome, ora
che ci penso
di quando tu camminavi
agli orli di vento
correndo io, il tumulto
di fiori ingravidati
di sole nuovo
a cercarmi, accendeva la via
solo l'attesa
dentro
il segno delle notti
e senza pelle sulle mani
allungavo sulla pietra, le volte a crociera
e rubavo il lamento dei verbi
sulle bocche dei santi.
che non si perderanno nei riverberi del sole.
Abbiamo soffiato via tutta la cenere
ed è scoperto il sangue vivo
ed il fuoco
delle vene;
è un coro il nostro grido,
forte e liberatorio.
Dalle rime della pelle
i nervi affiorano
vivi
e si nutrono di eloquente silenzio,
quello che vogliamo -tu ed io-
lontano dalla turba.
Amache di indaco e azzurro
saranno il nostro letto che
di volta in volta
ci porterà
involo.
queste parole.
C'è uno spiraglio, nel fondo del cuore
attraverso cui puoi immaginare
e vedere tutto.
Ora si avvicendano, a noi
da presso
ombre pellegrine,
noi ne intuiamo la presenza
ma sia l'indifferenza
il velo che le ricopra.
Nei turbini del vento
il destino dei nomi
è scritto!
che simuli orrore per qualsiasi Paolo
a Damasco, caduto per via
dei verbi di metallo cocente
che qui non s’usa.
Quei primi poeti s’accendono
e nessuno vede più la fiamma
che non si scrive
perché non brucia di loro
ma i primi poeti
gli ultimi dei morti
insostenibili.
dove ristagna il muschio
soltanto un falciatore
conosce la stagione e l’ora
di accompagnare il sole sui solchi
e spuntare a misura quel che cresce
sa fare cerchi e quadri
triangoli senza punti ottusi
e linee stupefacenti nel percorso
tutto con un solo seme.
Il seme, dal syntaxa al cernicchio
non potè osservare l’etichetta, il foro, nè tutti gli altri
accidenti del pane, ma non soffrì
dei denti. Sorrideva nello stelo.
Occhieggiava alla terramadre.
In quanto seme, e sola avventura iniziale
non anticipa la predizione del morso.
Farò un esempio: dove compare
l'orma di un passo tra marmi
siamo soliti incastrare memoria
o, in più misurato accostamento,
la deiezione delle ossa
dai discorsi sulla vita, nell'enciclopedia universale
dell’oltremondo. Per questo,
e di questo, alcuni epigrammi
sollevano tendenze che deturpano le foglie.
58
...meglio lasciare
libero il pensiero
e accostare le foglie
prima che la linfa
muore.
Navigo
dove Caronte
non può andare
scucio
quell'unico fiume
dal vascello arenato
e naufrago nei giorni attesi...
dove non si spegne il sole.
59
scrivere sopra
risalente
il più antico esempio
oppure
inoltrare il metro
all'esterno dei sepolcri
qualunque intento
preceda l'avvio
del nervo
si confondono
di inutile pienezza
i vuoti
tra foglia e foglia.
60
Assaggi, sono rimasti solo i dolci pensieri
avverto il desiderio aprirsi cinto d'aura
aspettando a torcere lodi nel canovaccio
acidulo mostro effervescente d'un rutto
acuto rompi il silenzio di gelo bluastro
assumi il gettito d'aria compressa
aperto tra lo sterno incassato e la gola
animato annoso perso festaiolo
agile tracanni i vizi di una gioventù
amata allineata alla aspersa abulia.
61
Mi solletica una dolcezza vocale. Quasi
una cadenza elementare da una lingua ignota
che riporta il gesto sacrilego
- la tua carezza approfondita -
all’angelo ribelle, e ne cancella la conta. Restituisce a dio
il suo iniziale esercito: ma a che gli serve
se tutto è puro?
Da ciò, è chiaro che
la furia è incapace di attenuarsi
nella scomparsa del nemico; solo il vagito
come lo sentite, come lo scriverete,
testimonia la differenza nel miracolo
della pace.
62
e allora il dovere del silenzio
si imponga
all'inadeguatezza della bestemmia
brucino nelle dimenticanze, le falene
la pretestuosità del loro ardire
siano le mani, inerti al compimento di ferite
e gli occhi alla grazia, alla resa
stupefatti
che da laggiù, l'istante
è incantamento:
una falce d'oro monda il declivio dalla tramontana
giacchè nuda si mostri
la roccia e pura, la vena.
63
Bricoleur, ingegnati al tintinnare dell'idea
lascia sfoggiare i tuoi lampi abbreviando
le fatiche ad altri occhi atomici nel mirare
Venere, regali e sacchi di ferro innestano
del sentire la pragmatica raggiunta resa.
Missili svettano le cime dei pensieri tracciando
ruote dentate scivolate nel suono cerchiato
elettriche ragioni rinsaldano previsioni astratte
Fremi del mondo spaziale o dio delle amenità
fruttuosa la scelta dei sacri laser ad incidere
il tuo firmamento di assolate costellazioni.
il seminato cielo agli altri astri ci distingue.
64
e se anche fosse un'immobile cometa
quella fugacità di luminanza
che trattiene al largo il remo,
avrà negli occhi il segno, all'alba
il pescatore e forse, nuova
anche la smerigliatura di un sorriso.
65
Sornione il gatto che annusa
le reti crespe ammassate a cura
molecole accollate a sapori vitali
nei pini al silvestre svettare
rifrangono prismatiche
canicole e svanite rugiade
rammendano rifrazioni in rosa
cieli snervati, trapuntati
a notti di volte oscure
solitari bivacchi di faville rosse
crepita l'alma Venus ed eterno
incitare d'uomini alimenta
il sordo rumore della risacca.
Negli sforzi ad erigere alberi maestri
il gioioso canto s'apre all'aria salmastra.
66
Ma mia mamma mi avrà letto?
Che diranno di me quando vango questi pixel
di tossine e psoriasi occipitali;
quando strambo esondo in catafratti
guaiti silenziosi
a saturare il mondo
già scazzato dal bisbiglio da stadio;
già rotto ad avventure,
a sventure, a frangicuori
da poltrona, da cadrega,
da aipòd, aipàad, uatsàpp, aitiùn..., bitùm?
Quanti poeti siamo in relazione
al prodotto interno lordo,
quanto pesiamo
sull'economia reale e quella della Grazia,
sull'equilibrio cosmico, e sull'attuale
deriva delle galassie?
Boh!
Un fremito, un brivido, forse anche un rutto
psicosomatico
il cor m'assale,
come una strizza da premiazione
al Quirinale?
La fantasia o l'ars?
Le emozioni o la filologia?
Sperimentazione o archeopoesia?
Boeri Perugina o ermetiche flatulenze pizie?
Boh!
Ma sì,
sventriamo questo Silenzio
da ambulatorio di medico di famiglia,
da obitorio.
Ruggiscano i pneumatici della scrittura
in una Convoy, come in un road movie;
in litanie prealcova e postalcova e sine alcova.
Disperdiamo sulla Moscova i nostri versi,
da generosi,
prima che una Beresina finale non venga
a romperci le uova
67
Saranno giorni bui,
arcobaleni
visibili agli occhi.
Ai poeti
che ci dormono a fianco
chiedo il respiro pulito
e anche se ai sogni vuoti
hanno affisso "vendesi"
consegnerò le ultime rime
senza più numero ai versi
in attesa di un sussulto...
dovessi trovarlo!
68
Ecco, mi pare l'ora adatta per l'espressività
del detto: meglio svegli
che male addormentati. Non era così, ma
adattarsi è un bene, quasi una condanna
da sostenere.
E' il momento in cui uccelli e pigri
hanno lo stesso numero di ali, nonché
un nido scoperto. Le ali ferme,
i nidi che accecano i voli. Nessuno vuole
il lavoro del carnefice. La mattanza dei passi
che entrambi compiono - uccelli e motori aerei -
ha scopo di privare le strade
del mantello. Evadere dal panorama
è fornire ogni luogo
di un servile attraversamento.
Ci occorre essere invisibili se,
e solo se, qualcuno osserva
il primo comandamento
per buttarci fuori da questo giardino.
69
Il nido. la sua fodera di ghiaia bianca.
e come si avventura il sole
a bagnarla; che sia fertile
al seme del volo
si. parliamone dunque
e dell'evasione;
come si complotta
degli scavi, delle corde.
l'impegno delle mani distende la fuga
che dentro c'è l'attesa
fuori
una larghezza di viaggio.
70
Ohi: s'è mai creata questa
figura nell'appoggio del verso
una ad una le mani
lenti, attenti, pigri
che la gioia, si, è questione
d'equilibrio
spending review de'i cosmi
bravo, situation comedy?
71
Credimi io sono stanco
il riguardo abbassato sulle stringhe
vetuste traviate
preferisco le limonate
sarcastiche scritture
avanzavano pretese
illusi, ladri di sogni incarnati
a rospi
croste sismiche tengono fretta
decidono dove e chi
potrà ancora andare avanti
presbiti rischi s'attengono alle regole
la fretta di arrivare
scaturisce in un palmo di mano affrescata d'amore.
72
Tutto tace il firmamento delle maree khamsin.
Salpiamo. La lingua nuota sotto nuvoli di vino e pane
con le vele riverse nell’intima profondità della risacca:
le gole rivolte nel cielo dirotto dagli argini del suono.
A leggere i silenzi annegati sulla bocca asciutta, ferita,
salata.
Ecco, c’è il colore solfureo dei Suoi occhi sciolti all’orizzonte.
divelgono l'apatia del sole
sui prati il versore anima tagli
longitudinali, immagini di sequenze
temporali s'incanutiscono aspettando.
Le spighe nel loro cuore odiano la zizzania.
Nei campi fatale il girasole ambisce a soppiantarla.
Ad aspettare inamovibili l''ultima estate
ci siamo tutti, rimirando la sera,
i fuochi, la vita in fiore, l'alternarsi nel covo della notte,
della gioia di un giorno nuovo o della morte.
costringe il naso verticale
e gli concede una traiettoria breve
quando passa l’airone
sventolando ampiezze di silenzio
non si accontenta di raccontare
l’immagine breve
un ‘l’ho visto’ che segmenta il volo
guardando avanti e dietro
per poter dire ‘io c’ero quando
l’ala ha accennato l’intenzione
e lungo il solco nell’aria fino all’altra terra
fino al sale dell’isola
dove il sole che scende colora di rosa
l’acquitrino.
i sordi appelli di chi tace,
la semplice vita distesa al sole
aspettando che inizi l'apice,
riposa ancora cervello in pace.
Chi osa arrovellarmi le budella!
Nel letargo disincantato dei miei giorni,
medicine sparse, rilievi blisterati,
accartocciati, sfondati con mani frenetiche.
Il cerchio stringe i polsi alla notte, luci,
arderanno il giorno ancora.
caldi s'alzano al fruscio d'un vortice.
Non restava che l'incanto nelle tue gote.
Devi seguire l'amore che s'erge tra aspre cime
sfiorando prismi di passione, cerchi di vita.
Nugoli di passanti tirano a se il cordone
che avvinghia cuori ebbri di sguardi.
Scarta il selciato scheggiando scaglie travertine,
lontane, forse domani voleranno via sconosciute.
Forse pioverà! Scivoleranno le paure nel lume della sera.
- Blog di ferdigiordano
- 3015 letture
sulle lagune emerse dai crateri di nebbia
chiederemo il passaggio
a un gondoliere che ha vinto il remo, barando
a poker; ci vuole fegato di prima scelta
per avventurarsi tra le callosità
che infestano gli itinerari
descritti sui depliants:
sullo sfondo, di chiaro c'è soltanto
il fumo che si alza dalle ceneri
degli aironi;
qui, una deriva di salmastro
e a pelo, il lucido di ossa scomposte.
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dove saranno i cirri?
i nembi turchini?
le nuvole d'organza?
più sopra i voli dei gabbiani
dell'anima degli aerei
nei i cieli di marzapane
di donne con pelle di seta
e uomini annegati in mari d'inchiostro
o sospesi sul filo dei ricordi
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Ci sono dunque le ossa,
- già comprese, mi pare, nell’offerta
prenatale -, vorrei più vivo
il rimpianto: questo imperterrito
stupore nei commenti,
le vicissitudini delle tronche
vite, parafrasi
di date, e prese
diversi da luogo in luogo di: complementi
acustici, voci esondate, rumore
clamoroso di lingua che incrocia
il vuoto da sapere.
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ordunque si tramano rivoluzioni
alle spalle delle accademie?
vergogna!
manipolo di scellerati
mostrate le vostre schiene ricurve
su cui poggeremo i nostri artigli
non provate alzar lo sguardo a noi
ancor meno a brandir la vostra penna ad arma
giammai!
le virgole
i punti
duepunti
e tre di sutura
lì nel discorso
che arriva al viso
come un diretto
minuscolo
il maiuscolo
il peso del detto
sentito
risentito
fatto
disfatto
...la noia!
annoia la troia sul letto disfatto
il pennino è consunto
appagato
un po'meno appagata
ma pagata anche lei
non mi curo
è sicuro
del suo trucco artefatto
non sono distratto
son solo riverso
sul verso
traverso
nel rigo
(bel rigo)
che figo
che sono
poeta del meta
del fisico
(asciutto)
ma brutto
è il rutto
che s'erge su tutto
e il poeta
a vagare senza una mèta
orgoglioso lui peta
parole lui peta
...che pietas
(quizas,quizas,quizas)