26- Amore Profano | Prosa e racconti | Antonella Iurilli Duhamel | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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26- Amore Profano

Amor profano illustrazione

I Sassi di Matera da qualche mese  si erano rivelati la scoperta più straordinaria della mia vita. Avevo solo otto anni e quelle case semplici e così diverse, quelle stradine e quelle piazzette, non  erano solo il palcoscenico di tutti miei giochi più divertenti e stimolanti, erano anche un luogo di pura contemplazione. A volte, potevo starmene per un tempo infinito appollaiata su di una roccia, ad osservare ogni dettaglio di questo luogo singolare e a respirarne la sua magia.

 

L’estrema luminosità, dovuta al riflesso dei raggi del sole sulle pietre bianche delle case, non feriva mai lo sguardo pur essendo abbagliante, grazie al tufo che ha sempre una sfumatura gialla e che abbondandando  ovunque, conferiva  una nota di calore e di dolcezza; a differenza di quanto accade sulla neve dove il riverbero diventa spesso staffile per i nostri poveri occhi.

 

Certo il mare era lontano e  come sempre mi mancava, ma  la terra  mi ripagava con la sua bellezza e la sua fierezza. In quei silenziosi precipizi talora,  si faceva sentire l’urlo del falco che aveva avvistato la sua preda, così, all’improvviso, riemergevo dal mio stato di trance e di innocenza infantile e  purtroppo realizzavo che la vita, a volte, può essere spietata.

 

La solitudine, che silenziosamente si posava su quelle aride rocce, su quelle caverne buie e primordiali, mi avvolgeva legandomi fatalmente ad esse. I Sassi, per me, erano affascinanti in tutte le stagioni. La loro bellezza esulava dalle condizioni meteorologiche in quanto emanavano una luce propria che prescindeva da ogni situazione di contorno: d’estate assolati e sognanti; d’inverno magici, specie quando accarezzati dalla neve; in primavera profumati dalla fragranza delle piante spontanee che crescevano sulle rocce; d’autunno gustosi con i pomodori al sole, le mandorle e le carrube per terra ad asciugare.

 

Alternati a questi stati di meditazione e di sogno ad occhi aperti, c’erano i momenti di gioco e di amicizia. La gente era me una fonte costante di interesse, di curiosità e di conoscenza. Adoravo immensamente farmi i fatti loro e non solo per pura curiosità, ma perché era bello e consolante sentirsi parte di quella grande famiglia.

 

 Si venivano a sapere storie tristi che mi facevano piangere, come episodi divertentissimi, e pettegolezzi che mi sbellicavano  dalle risate. Le persone e l’atmosfera  in generale, erano così naturali da rendere questo luogo estremamente accogliente e rassicurante. Persino la sera, non ricordo di aver mai provato alcun timore di sorta mentre a malincuore tornavo a casa mia situata in un’altra zona della città.

 

Ero a casa, era come se fossi nata e vissuta lì da sempre. Nei Sassi di Matera riuscivo a percepire me stessa in modo autentico ed unico, e va da sé che  così unificata ed integra, non potessi far altro che amare  quel  mondo così singolare. 

 

Mi sembrava assai strano che per la gran parte delle persone i Sassi fossero considerati un posto da dimenticare. Tanti compagni di scuola non ci andavano mai, e quelli che ancora ci vivevano  si vergognavano enormemente di abitarvi. Persino molti emigranti, che dopo anni ritornavano nella loro terra, non volevano andare a salutare le loro vecchie abitazioni e così giorno dopo giorno, questo luogo si andava svuotando.

 

In molti se ne erano andati nelle dimore  nuove assegnate dallo stato, sedotti dal mito del progresso, e dalle maggiori comodità di uno stile di vita cittadino,  ma  soprattutto ansiosi di lavare via  per sempre il marchio di appartenenza, alle  proprie umili radici.

 

 Certo, mi rendevo conto che la gente aveva bisogno di condizioni di vita più igieniche, lo sapeva  persino  una bambina come me che a  Matera c’era un  indice elevato di malattie reumatiche e cardiache, oltre ad una considerevole  percentuale di mortalità infantile. Disgraziatamente, però, (grazie ai politici  dell’epoca) gente non fu aiutata  a migliorare la qualità  di vita e ad essere orgogliosa della propria identità culturale.

 

 Al contrario la popolazione fu sradicata dal suo ambiente, da un modo di vivere antichissimo che, ad un certo punto era diventato quasi soltanto l'emblema di un passato umiliante, disagevole e povero. Per me, al contrario, si trattava di un luogo ricchissimo di umanità e calore. 

 

Quando dicevo ai miei genitori che avrei tanto desiderato trasferirmi nei Sassi, queste mie richieste venivano considerate, le farneticazioni di una bimba esaltata. Adesso almeno, mi rimane la soddisfazione di constatare che all’epoca  ero  decisamente troppo avanti rispetto ai tempi: con i miei occhi di bambina, scevri da luoghi comuni, avevo compreso la bellezza, l’unicità ed il valore di questa  parte nascosta della città, dalla quale allora tutti  volevano scappare,  mentre attualmente  tutti ambiscono a possedervi una casa. Dal momento in cui Matera è stata  riconosciuta patrimonio dell’UNESCO , possedere  una casa ai Sassi rappresenta uno status symbol di tutto rispetto, oltre che un buon investimento economico, grazie alle agevolazioni di cui beneficia chiunque voglia ristrutturarvi una casa .

 

 Ai miei tempi era un’altra storia! Ricordo che eravamo veramente in pochi ad amarli, almeno per quello che erano. Ora, pur sempre suggestivi e con una nuova patina, sono solo un ambiente artificiale che purtroppo ha perso la propria autenticità. Solo certe vecchie foto  riescono ancora a restituirci la bellezza e la verità  di quei giorni, basti pensare a quelle  bellissime che Cartier Bresson scattò negli anni ’50.

 

Nei Sassi c’era di tutto: botteghe, artigiani e persino un albergo per vecchi poveri. La mia maestra che era una dama di San Vincenzo, mi aveva coinvolta nelle sue visite di beneficenza e di tanto in tanto preparavo  delle torte  anch’io per questi ospiti; ho sempre sentito una grande simpatia  per gli anziani, e gran parte dei miei amici più sinceri sono  tuttora un bel po’ più avanti  di me con gli  anni!

 

Nei Sassi viveva anche una prostituta, una  donna particolarissima, dall’aria inquietante, di nome Immacolata. Alcuni bambini me ne avevano parlato, ma nessuno di loro sapeva dirmi cosa volesse dire essere o fare la prostituta.

 

Era la prima volta che sentivo questa parola e così cominciai a domandare un po’ in giro,  credo però che sarebbe stato molto più facile trovare una miniera d’oro piuttosto che venire a capo del mio problema.  Volevo avere ogni dettaglio del termine, e non c’era proprio nessuno che si prendesse veramente la briga di spiegarmelo.

 

Se ponevo questa domanda agli uomini, questi reagivano con dei sorrisetti maliziosi. Le donne invece, mi sgridavano sgarbatamente, disgustate da tanta curiosità: “ Una bambina non dovrebbe  sapere certe cose” “Perché, e quali cose poi?”

Quando lo chiesi a mio  padre, mi rispose che lo avrei appreso da grande. In fondo c’era da aspettarselo. Ebbi la medesima risposta  anche quando gli  domandai cosa volesse dire la parola “sterilità”.

 

 Avevo sentito dire che le donne africane mangiavano similmente alle galline sassi per diventare sterili, e volevo capire cosa inducesse quelle poverine ad agire in tal senso e perché questa cosiddetta “sterilità” avesse un valore così grande. Per le galline sapevo il perché: era per fare il guscio delle uova, ma le Africane?

 

Anche mia madre, come tutti gli altri mi rispose sbrigativamente, ingiungendomi di farmi i fatti miei. Non voleva rendersi conto che in effetti lo erano dal momento che, desideravo, e dovevo, essere informata sul  perché ci fosse così  tanta ambiguità intorno a questa parola.

 

 Più erano elusivi e più  mi intestardivo. Un giorno, un’amica di mia madre che faceva la musicista e aveva l’aria di saperla lunga mi disse: “ Una prostituta è una donna che riceve degli amici e dopo si fa pagare”. Mi sentii ancora più disorientata. “Cosa intendeva dire ?  Che male c’era a ricevere degli amici che poi ti lasciavano dei soldi ? E perché solo lei ?” Quando mia madre riceveva degli amici di certo non le lasciavano dei soldi, piuttosto le lasciavano un gran da fare.

 

 Persino la mia maestra mi disse di lasciar perdere; secondo lei, prostituta era una parolaccia e mi sconsigliò severamente di ripeterla come se niente fosse. Ma se era una parolaccia, perché mai gli uomini si eccitavano e le donne si disgustavano?

 

 Per quanto mi risultava anche le donne erano in grado di dire parolacce e con gusto. Che confusione! Quando, infine, mi dissero, che era una mercenaria dell’amore, non seppi più proprio cosa pensare.

 

Ero al corrente che i mercenari facevano la guerra previo pagamento, ma questa donna non pareva partecipasse a  nessuna guerra, poiche’ non l’avevo mai vista con un’arma in mano. Altri addirittura farfugliarono qualcosa a proposito di amor sacro e amor profano. Peggio che andar di notte! “Cosa volevano dire? Fare la prostituta aveva forse una attinenza  con Dio, Santi o Madonne ?

 

In verita’ ai miei occhi, Immacolata a tutto somigliava meno che ad una religiosa, a una santa  o  a una Madonna. Aveva dei lunghissimi capelli neri impeciati, gli occhi più che essere truccati somigliavano agli scarabocchi di un bambino; neppure una linea  andava dritta, persino il rossetto non riusciva a stare nella traccia delle sue labbra, era  uno   sgraziato  baffo rosso.  Al centro di ogni guancia poi, si era stampata due mele rosse, il tutto su una faccia che sembrava infarinata tanta cipria si era data. 

 

Traboccava generosamente da tutte le amplissime scollature dei suoi vestiti troppo stretti dando l’impressione che  tutta quella carne potesse  scoppiare da un momento all’altro. Immacolata non era solo fisicamente prorompente,  ma  era dotata  anche di  una forte esplosività emotiva che la rendeva,  almeno ai nostri occhi  di bambini ,  estremamente eccitante.

 

A volte, appostati vicino alla sua casa, lanciavamo dei  sassolini  contro le sue finestre, lei usciva furente come un’Erinni, prendeva fuoco e  cominciava a vomitare ogni sorta di volgarità, mentre noi scappavamo via con l’adrenalina ai massimi livelli urlando per il divertimento e la paura.

 

La sua furia era una forza della natura;  elettrizzante e  spaventosa allo stesso  tempo. Ci rendevamo conto della pesantezza del nostro gioco ma non riuscivamo a smettere: tutta la curiosità che la sua misteriosa attività ci aveva procurato, cercava una  legittima  soddisfazione  nei  nostri  dispetti  infantili.

 

 Anche perché, di certo,  non saremmo potuti andare da lei  e chiederle: “Scusi Immacolata, ci potrebbe spiegare  che significa fare la prostituta”?

Qualcosa mi diceva che a lei questa domanda era meglio non porla. Non riesco neanche lontanamente ad immaginare la sua reazione! Probabilmente avremmo rischiato  di essere scorticati e cucinati vivi, oltretutto non sembrava nutrire alcun sentimento amichevole nei confronti di noi bambini. Era  vero che la nostra curiosità  nei suoi confronti la infastidiva, ma a parte i nostri dispetti aveva  generalmente un’aria ostile nei confronti di tutti i soli amici che paresse avere erano esclusivamente uomini.

 

Poi  all’improvviso il nostro gioco finì. La paura che sino  a quel momento   era stata in equilibrio  fra  l’eccitazione ed il divertimento, si trasformò in terrore il giorno incui un bambino, che come noi andava a disturbarla, fu da lei bloccato.

 

 Non sapemmo mai cosa accadde, a parte il fatto che quel disgraziato se la fece sotto per paura e se ne tornò a casa tutto bagnato. D’un tratto Immacolata ci sembrò  troppo pericolosa per noi  e così smettemmo di occuparci di lei. Non mi curai più di cosa volesse dire “prostituta”, la parola prostituta d’un tratto perse il suo fascino.

 

Mesi dopo, mentre ero per strada con mia nonna, sentii delle donne che con un voce ingiuriosa gridavano: “Puttana!” rivolgendosi ad  un’altra donna, e questa  per molti aspetti mi ricordava Immacolata.

 

Chiesi alla nonna cosa volesse dire quel termine e lei mi disse: “ Quella donna che chiamano puttana è in realtà una prostituta, tutti qui, la conoscono, e sai  a volte le prostitute vengono dette anche puttane  !  ”.

 

 Di nuovo quella parola! Ma per fortuna  questa volta ero con mia nonna. Come mai non ci avevo pensato prima? Lei mi avrebbe aiutata, era sempre ben disposta a spiegarmi quello che non capivo.

 

 In breve le parlai di Immacolata, di quanto avessi penato per sapere cosa in realtà si celasse dietro quel nome, e quanta confusione mi si era creata con tutte quelle storie, sull’amore sacro, l’amore profano, mercenario ecc .

 

Mia nonna con molta calma e fermezza mi disse:  “ Con tutte quelle strane spiegazioni che ti hanno dato, sfido che sei confusa.  Vedi gli uomini   a volte si sentono soli e sono persino disposti a dare  del denaro per  avere in cambio una carezza un po’ di amore e così si rivolgono alle prostitute che in cambio di denaro fanno finta di amarli. Certo  non è amore vero , quello non si paga

 

Le parole di mia nonna mi fecero pensare a certe compagne di scuola  dispostissime  a farmi tanti complimenti quando volevano copiare i miei compiti.  Io credevo che mi volessero bene, che quelle belle parole fossero sincere, che desiderassero per  davvero essermi amiche, salvo spesso rendermi conto che quando non avevano bisogno di me passavano a qualcosa di più proficuo. Ci stavo male da cani, ma anch’io altre voltenei momenti di noia e solitudine, finivo a  giocare o a perdere tempo con dei bambini che non mi piacevano affatto.

 

 Mia nonna mi fece riflettere su quanto spesso mi ero illusa  su  certi comportamenti  che erano  solo un modo di usarsi; uno stratagemma  per ammazzare  la noia, per non sentire il male della solitudine, anche se li per li mi sarebbe venuto solo da picchiarli !

 

Immacolata mi fece una grande pena, cominciavo a comprendere perchè era sempre arrabbiata ed infelice: nessuno, neanche un bambino, neanche un cane la rispettava e le voleva bene.  La parola «  prostituta »,  era proprio una parola tristissima, tutto il  contrario della parola « amore » ormai mi era chiaro,  eppure tutte le persone a cui avevo chiesto spiegazioni,  (a parte mia nonna), pensarono che una bambina di otto anni non avrebbe potuto comprendere la differenza.

 

Antonella Iurilli Duhamel

 

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