PARTE TRE
Ordinai una bottiglia di Tokay, sapendo bene che in fronte a noi sarebbe stata una lunga notte. Il ristorante stava chiudendo ma ci fu permesso di rimanere al tavolo del giardino quanto a lungo si desiderasse dopo la chiusura del locale.
Il mio musicista era soprappensiero, mentre sorseggiava lentamente il vino dorato dal suo calice, intento a riordinare il suo pensiero sui fatti salienti della sua vita per poi narrarmeli più tardi.
Alla fine, iniziò il racconto della sua vita, null’altro che una lunga storia di sofferenze.
“Mi chiamo Markos Legovitch. Sin dal giorno in cui nacqui ricevetti lo stigma di bastardo, che purtroppo pesò su di me per tutto il resto della mia vita.
Fu un giorno funesto, e sin dalla fanciullezza il mio subcosciente captò unicamente quelle influenze funeste che il destino sospingeva verso di me. Mi erano negati anche i più piccoli piaceri che tutti ricevono dalla vita. Fu a causa di questa continua insoddisfazione che mai fui attratto dal desiderio di gloria che avrei facilmente ottenuto da una carriera artistica.
“In me è rimasto vivido il ricordo, di quando ancora ragazzo vivevo con mia madre, e di come lei spesso usava parlarmi di mio padre. Diceva che era generoso d’animo e di come lei lo avesse idolatrato come il suo eroe. In quegli anni infantili sotto l’influenza del pensiero di mia madre, immaginai mio padre simile a un paladino della Tavola Rotonda, che aveva dedicato la sua vita al servizio di Dio e all’amore per la giustizia. Nottetempo lo sognavo cavalcare un maestoso cavallo bigio, che veniva a prederci per portarci in una terra lontana e incantata.
“Mia madre, parlando di lui disse che era un Ufficiale di Cavalleria e che fu di servizio per lungo tempo in Crakova, e fu allora che fiorì il loro amore. Il giorno che rientrò al suo reggimento, le promise che l’avrebbe amata eternamente e che al più presto sarebbe ritornato da lei.
Purtroppo la verità fu del tutto differente e mai fece ritorno al nostro villaggio sperso lungo la Costa Dalmatica, dove noi si viveva.
“Durante quei miei giorni giovanili, il nostro buon vivere, dipese dal benvolere da parte del padre di mia madre. Purtroppo il giorno in cui mio nonno morì fummo costretti ad andarcene dalla sua casa e ci trovammo in miseria. Tutti i suoi averi, per le tradizioni ataviche locali passarono per diritto al primo maschio nella famiglia.
“Mia madre fu costretta allora ad accettare lavori umili. Questa condizione si protrasse a lungo, sino a che il suo padrone, benevolmente le assegnò un lavoro d’ufficio.
Mia madre è sempre stata una donna attraente, e durante i lunghi anni di lavoro il proprietario si invaghì di lei. Alla fine, cedette alle sue insistenze, e accettò di sposarlo, sebbene vi fosse una disparità d’età, ma risolvendo in questo modo i suoi problemi finanziari.
Crakova è il luogo dove sono nato e cresciuto. E` il luogo che io ho sempre chiamato casa e dove sono racchiuse tutte le buone memorie della mia vita. Ho molti ricordi dei miei anni giovanili e di come mia madre avesse una cura speciale per il violino che mio padre aveva lasciato per me, dicendole che per tradizione famigliare quel violino passava di proprietà al primo figlio maschio nel giorno della sua nascita. Mia madre da allora custodì il violino avvolto con cura entro un pregiato scialle di seta in un cassetto del comò nella sua stanza da letto. Durante i giorni che sentiva nostalgia di mio padre, mi chiamava vicino a lei sul suo letto, e dopo aver preso quel prezioso violino lo metteva nel mio grembo, mentre mi parlava di lui. Erano momenti di gioia per me. Accarezzavo il violino mentre ascoltavo la voce di mia madre che parlava di lui. Toccavo con amore il liuto, mentre lei mi chiedeva di aver sempre cura di quel strumento dicendomi che in quel modo mi sarei sentito unito a mio padre. Fu durante quelle occasioni che mi confidò che lui era un vero principe, e apparteneva a un casato importante nella storia del passato e che, come i veri principi, viveva in un vero castello. Inoltre con orgoglio mi disse che mio padre era pure un capace violinista e che suonava per lei rapsodie gitane. Mi disse che il violino durante gli scorsi duecento anni, fu passato da padre al primo figlio maschio nella loro famiglia e disse pure che l’augurio di mio padre fosse che anch’io divenissi un giorno un bravo musicista come lo furono gli altri primogeniti prima di me.
“Questo è il modo come quel violino divenne mio. Fu dovutomi per legge naturale di discendenza e nessuno avrebbe negato in quel modo l‘evidenza della mia nascita.
Sul retro della cassa del violino vi è una miniatura che fu pittata nel tempo passato. Sul fronte appare una rosa rossa mentre nello sfondo si nota una montagna. Quella è la rappresentazione della cresta araldica della famiglia Monte-Rosa.
Mia madre predisse allora che, il giorno in cui ritornassi alla famiglia di mio padre, con quel violino attesterei di essere il primogenito e mi apparterebbe il titolo di principe della famiglia nobiliare dei Monterosa.
“Purtroppo le previsioni di mia madre mai si avverarono. Anni più tardi, quel violino fu null’altro che causa di enormi disillusioni e miserie. Quello fu il giorno in cui credetti di aver trovato mio padre e la mia nuova famiglia”
~ * ~
Vidi che ora l’ansia era dipinta sul viso di Markos. La sua voce era divenuta tremula nell’emozione di rivivere quei giorni passati e notai in lui la pena e le sofferenza causate da quei ricordi.
Per dar modo di rianimare il suo spirito sicché potesse continuare la sua narrazione, riempii il suo calice con altro Tokay e, gentilmente lo incoraggiai,
“Si riposi, prenda il tempo necessario... ho desiderio di udire la conclusione della storia sulla sua vita, purché questa non le causi troppa sofferenza. Se il ricordo del passato è troppo penoso, possiamo rivederci domani dopo che lei abbia avuto tempo di riposare.”
“Mio caro amico è imperativo per me di svuotare il sacco dei ricordi ora, altrimenti queste memorie saranno persi per sempre. Credo che mai, dopo stasera, troverei il coraggio per finire il racconto. Già...domani? Mai vi sarà un domani! Sento in me l’urgenza di mettermi in cammino sulla strada che conduce verso il mio paese. Ho la premonizione che questa sia la mia ultima visita qui. Sento che mai più avrò modo di ritornare a Budapest.”
“Mi dica, se la volessi rivedere per parlare ancora con lei, dove potrei trovarla?”
“Le ho detto prima dove. Semplicemente laggiù nel mio villaggio sull’Adriatico. Qualora lo desideri, quello è il luogo dove potrà trovarmi.”
Bevve un altro sorso di vino e poi disse, “Devo ritornare al racconto interrotto. E` unicamente durante l’oscurità della notte che trovo il coraggio di rivivere il mio passato. Il buio sa tenere a bada gli spettri del tormento. Col sopraggiungere dell’alba questi ricordi saranno pesanti come macigni e capaci di stritolare la mia resistenza. Sono ricordi che mi soffocano, ricordi che mi avvelenano, ricordi ai quali non posso comandare.”
Sorseggiava ora dal calice... prendendo tempo... riordinando pensieri e ricordi...
~ * ~
Markos riprese il racconto.
“Nel giorno del mio sesto compleanno mia madre e mio padrigno mi regalarono un violino in miniatura, adatto per la mia età. Entro sei mesi e senza alcun aiuto, arpeggiavo qualche facile pezzo di musica. Notai come mia madre fosse orgogliosa delle mie capacità artistiche.
Devo aggiungere che sino allora non avevo ricevuto ancora alcuna lezione musicale, tutto nasceva spontaneo e istintivo in me. Ben presto fui capace di riprodurre col mio violino alcuni ritmi popolari, dopo averli uditi una volta sola.
Ricordo di aver nove anni quando una carovana di zingari campeggiò alle porte di Crakova. Li sentii suonare, e rimasi in estasi dal suono divino di quei violini. Sentivo come quelle loro improvvisate rapsodie esprimessero bene la loro vita Gitana. Erano suonate dolci e tristi allo stesso tempo inspirate dal loro modo di vivere, che rispecchiavano pienamente i sentimenti racchiusi nel loro animo. Quella fu per me la miglior musica di violino che avessi mai udito prima e che mai fosse stata creata.
Mi ero nascosto dietro una delle loro carovane, steso sulla terra nuda, rivolto verso il cielo seguivo il vagare nel firmamento di nuvole leggere e bianche. Tenevo le mani chiuse dietro la nuca per meglio sorreggermi e mi sentivo rapito in quel nuovo mondo, mentre la musica che udivo mi trasportava lontano, entro una vita irreale. Ero concentrato e a occhi chiusi per ritenere nella memoria le note che udivo, mentre col pensiero vagavo seguendo la tonalità delle note di quella rapsodia. Sentivo quanto fossero dolci. Sentivo nascere il piacere di vivere, guidato dalla musica gitana che inondava il mio animo. Ero in trance, inchiodato li, sul suolo arido, mai, prima di allora mi ero sentito più felice.
Ero preso in quei sogni, quando a un tratto una mano mi scosse.
Era Mick, uno degli zingari, “Ehi ragazzo, cosa fai li`? Perché ti nascondi?”
“Mi scusi signore, stavo solo ascoltando la musica. E’ sublime, mai ho udito musica così bella prima d’ora.”
“Ehi, sei solo un ragazzo. Monelli come te devono correre, giocare al pallone. La musica non è fatta per i monelli.”
“Si signore. Gioco anch’io al pallone, come tutti gli altri ragazzi a scuola. Ma voglio anche imparare a suonare il violino nel modo in cui voi lo suonate.”
“Bene, bene... vediamo un po’ cosa sai fare. Vieni con me!”
Mick mi prese per mano e mi guidò verso la sua carovana. Prese una chiave, assicurata attorno al suo collo, e aprì un baule da dove estrasse un violino in miniatura adatto alla mia età. Prese pure un archetto e mi passò il tutto, mi fece un inchino dicendomi, “Vediamo ora cosa sei capace di fare, monello.”
“Mi concentrai per un momento, poi incominciai a suonare.
Ripetei nota per nota la Sinfonia Gitana che avevo appena udito. Nick mi ascoltò incredulo, gambe ben divaricate, con le nocche delle mani ben piantate sui i suoi fianchi. Aveva uno sguardo incredulo mentre seguiva la mia presentazione.
“Veramente, ragazzo, hai talento. Se vuoi, mentre siamo in paese, posso insegnarti altre suonate Gipsy. Devi però sapere che noi Gitani non abbiamo musica scritta. Tutto è tramandato a memoria dai nostri padri e dai padri dei nostri padri, tradizione che va all’indietro per molte generazioni. Questo è il modo in cui noi teniamo vive le nostre tradizioni.”
Nick fu il mio primo maestro. Era veramente posseduto dalla musica. Per lui la musica nasceva nel recondito della sua anima. Pulsava velocemente in lui come solamente può il sangue nel corpo di un innamorato.
~ * ~
End part three
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