C’è stato un tempo in cui Medusa era una bellissima fanciulla, la sua bellezza si nutriva di complessità. Il suo nome in Sanscrito era Medha, in greco, Metis, in egiziano Maat. In tutte queste antiche lingue il suo nome aveva lo stesso identico significato: Somma saggezza femminile.
Le prime tracce della sua esistenza sono presenti in Libia, dove le libiche amazzoni la veneravano in tutti i suoi aspetti di dea serpente, o meglio di dea accompagnata dal serpente: simbolo dell’eterno ciclo della vita.
Medusa rappresentava i cicli del Tempo con i suoi stadi di passato, presente e futuro; i cicli della Natura con i suoi stati di nascita, morte e rinascita. Medusa (guardiana di immensi tesori e grande mediatrice dei regni del cielo, della terra e di quello sotterraneo) aveva in sé la capacità di distruggere e costruire nel perenne obiettivo della ricerca di nuovi equilibri naturali; era la regina di tutti gli animali, ma soprattutto era la verità ultima oltre ogni possibile dualismo.
Nel sesto secolo a.C., quando il potere e la saggezza della dea cominciarono ad essere intollerabili per un mondo che si muoveva verso la separazione e la supremazia dell’uomo sulla natura, i rituali a lei collegati furono eliminati, i suoi santuari invasi, le sue sacerdotesse violentate e la sua immagine trasformata ad uso e consumo delle nuove forme di potere dando luogo a forme di demonizzazione costante che durante i cinquecento anni di Inquisizione da parte della Chiesa raggiunsero il loro apice.
Come hanno fatto i serpenti dalle mani di queste bellissime dee a diventare arco e freccia nelle mani della dea greca Artemide, lancia nelle mani di Atena insinuarsi nella capigliatura di una mostruosa Gorgone il cui sguardo atterrisce ed infine finire schiacciato sotto il tallone della Madonna?
La storia raccontata dai greci convince poco, ad una prima lettura; denota un salto, un filo che si spezza, Sembra sia stata tutta colpa di Atena: in un impeto di rabbia e di antagonismo femminile trasformò la stupenda Gorgone, amata da Poseidone, in un mostro. Ma Neith, Anath o Athena è anche il nome di Medusa: allora forse la storia significa che Atena si rivoltò contro se stessa, la propria bellezza e femminilità riservando ogni investimento della sua energia alle funzioni più elevate del suo essere. Il che sembra molto possibile guardando ai successivi sviluppi della nostra cosiddetta evoluzione; e soprattutto ricordando che Atena era sprovvista di madre; nacque infatti dall’amore di Zeus e Metis ma fu partorita dalla testa del padre. Atena, dunque, era sprovvista di adeguati modelli sessuali femminili.
Con Atena possiamo assistere ad una energia sessuale che si muove verso la testa. Oramai le idee prevalgono e formano la realtà. Ma forse il mito ci indica che quando i serpenti dalle mani, luogo in cui possono essere meglio gestiti, finiscono nella testa, si generano orrori senza fine. Il processo di idealizzazione allontana l’uomo dai confini naturali fornitigli dall’identificazione con i suoi bisogni, i suoi sentimenti: il suo corpo. Venendo meno tali confini, il potere personale diventa strapotere e genera mostri; il femminile idealizzato e non più provvisto di spazio e dimensioni proprie, diventa un incubo per l’umanità, spaccata all’interno di sé stessa, vittima di un’antitesi senza soluzione di continuità tra testa e corpo, cuore e ragione.
Freud ci ha mostrato che la castrazione di Medusa corrisponde a quella fase in cui il bambino scopre la sua controparte sessuale e realizza che le bambine sono sprovviste del pene. Una visione pietrificante che condizionerà tutta la sua esistenza. L’interpretazione di Freud, se considerata in termini simbolici, appare plausibile; dall’analisi di questo mito si evince che la castrazione del femminile è in atto da molti secoli. La questione caso mai sarà: come è ancora possibile per molti pensare che il processo riguardi le donne come genere sessuale piuttosto che l’umanità intera?
Il grande contributo di Carl Jung e di tutti gli studiosi di mitologia consiste nell’averci aperto gli occhi su certe sommarie e superficiali divisioni dei generi sessuali.
Medusa è un magnifico simbolo crepuscolare a cavallo di mondi diversi, e nel corso dei secoli ha mantenuto le arcaiche qualità di mediatrice; è una sorta di terra di mezzo tra il visibile e l’invisibile; è un archetipo che testimonia il ‘passaggio’. Non a caso il simbolo del serpente appare in molti riti di passaggio e di trasformazione; non solo Perseo, ma Mosè, Orfeo, Apollo di Ovidio, San Giorgio, Tamino del Flauto magico, e persino il Piccolo Principe e Pinocchio ne faranno i conti nel loro processo di maturazione.
La sua decapitazione ha simbolizzato il tentativo, tra l’altro ben riuscito, di rendere senza voce la saggezza del femminile, facendo credere a tutti (soprattutto alle donne) di essere una forza malefica, sancendo la condanna a morte delle sue possibilità di crescita e di contributo culturale. Relegandola ad un trofeo o un simbolo apotropaico da esibire su scudi, medaglie e frontoni vari.
Così demistificata ha perso il suo significato originale, non è neanche più un incubo per il moderno Perseo. L’antichissima Medusa è stata soggiogata, spezzata e deprivata dei suoi poteri. La sua natura generatrice di vita controllata, come conviene alle vacche di un allevamento, ormai piegata e schiacciata da un ordine che idolatra il potere ed il maschile, ignorando l’altra metà del cielo.
Nonostante ciò, Medusa ha dimostrato di essere più di un mito, un archetipo tuttora latente; scacciato dalla porta d’ingresso è rientrato silenziosamente dalla porta di servizio. Ritorna di notte come Lilith nei sogni e negli incubi, si manifesta nei sintomi delle malattie dell’uomo moderno mai in pace con sé stesso, come un criminale che l’ha fatta franca e che teme incessantemente la giustizia.
Medusa non è morta, si è solo ritirata in un angolo e la sua ricerca di equilibrio farà tremare tutti, la sua forza da sotterranea ritornerà a brillare in ogni angolo dell’universo; Medusa è la nostra madre natura e la natura, che è più forte dell’uomo, avrà sempre il sopravvento.
Antonella Iurilli Duhamel testo ed opera
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