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Ricordo di un'estate

Ricordo, con divertito piacere, il mio primo incontro con ciò che possa essere definito, se non amore ovvero innamoramento, quanto meno, infatuazione, attrazione. Avrò avuto circa dieci anni, in vacanza, in campeggio al mare. I miei occhi si posarono su di lei, come fosse l’unica presenza sul suolo terrestre. Era nera, nigeriana, bellissima, atletica. Io un bambino biondo, magro, ma non atletico, sottomisura, dotato di occhi chiari e un incisivo sbrecciato. Non so come, il caso ci concesse l’opportunità di penetrare in quella casta intimità composta da silenzi, sguardi e pause, proprie di quei timidi amanti che si impongono la lontananza, nonché l’impossibilità assurda, anche solo di tenersi per mano. Un giorno, un pomeriggio assolato, avvolto dal trepidare delle cicale, tra le quattordici e le sedici, ricordo anche l'orario - ne sono certo perché nel campeggio nel periodo di queste due ore vige il cosiddetto “silenzio”, durante il quale è interdetta la circolazione dei veicoli ovvero ogni altra attività che possa arrecare disturbo al riposo pomeridiano - ci incontrammo sul retro dell’immobile adibito a servizi. Luogo romantico, commenterete, ma per gli innamorati, o meglio per l'innamorato, la locazione è irrilevante. Seduti a terra, con i gomiti che si sfioravano, davanti a quel muro giallo che conteneva vani di angusti gabinetti alla turca, iniziammo una sciocca conversazione, io con gli occhi a terra per l’innata, invincibile timidezza, addentrandoci in quell’imprevedibile gioco dei doppi sensi, dei “dico non dico” e delle indagini sulle reciproche simpatie ovvero antipatie nei confronti degli altri componenti del gruppo scalmanato, multinazionale e razziale occasionalmente formatosi per la contingenza dell’accampamento vacanziero. Nessuno dei due voleva pronunciare il nome di colei ovvero colui che attraeva i rispettivi sensi. Vinta parzialmente la timidezza, si decise che lo avremmo scritto su quel muro, come se il solo suono, contenesse un’arcana e malefica conseguenza. Per la mia cortesia e per apparire spavaldamente sicuro di me, contrariamente al vero, mi alzai in piedi ed iniziai il movimento stringendo un sasso scheggiato nella mano. Non tracciai neppure la terza lettera che la udii alzarsi alle mie spalle. Mi volsi fremendo, con i miei occhi nei suoi, ed un pensiero: "E adesso? Come si bacia?".  Ella mi spogliò d'ogni imbarazzo. Improvvisa, velocissima, imprevedibile, una mano si abbattè sulla mia guancia e vidi le sue spalle allontanarsi. Immobile e sgomento, rimasi lì con il mio rossore in espansione. Non ci rivolgemmo più la parola per l’intero periodo di vacanza. Cancellato con uno schiaffo. Con convinta certezza, questa mia prima esperienza mi ha impedito sino a tempi recenti, di scrivere il nome di chi amo sui muri dei cessi.

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