Follie epatiche (1^ parte, Il pilota dell'anima) | Poesia | Francesco Andrea Maiello | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Follie epatiche (1^ parte, Il pilota dell'anima)

Nel rinvenire alla vita

mi diagnosticai una falla

che, tra pensieri folli,

la mente mi spegnea.

Fu con estremo sforzo

di ciò che mi restava

dopo immani tentativi

di colpo la tappai.

Non era altro che

l’amara epatopatia

di familiar riscontro,

d’emblée riconosciuta,

che tanti e tanti danni

a me avea arrecato.

Per la sua etiologia

non altro vi trovai,

sono le “amorevolezze”

a queste alfin pensai.

Son quelle cose che

s’ingurgitano per sommo amore e,

quando troppe sono,

il mal ti vai a cercar

con questo inglorioso termine

di tal epatopatia

che può significar niente

o grave mal celar.

Ma io cosciente e dotto

in breve la combatto,

lo si vedrà il più forte!

Perfida ingannatrice,

mi cambi pur di sembianze,

da iena dissanguatrice

mi passi a mo’ di talpa

e scavi, scavi, scavi

tentando scacco matto

con i tuoi paladini della glissoniana.

Tu, prima mia corazza,

sostegno in ferratura

della primiera struttura,

che fai, mi ti rivolti

con aggressor impavidi,

ma resta nei tuoi limiti,

non sconfinar

nella limitante sacra,

perché, perso questo presidio,

la pugna è ormai fatta.

Di voi protettori epatici

è meglio non parlare,

ché, in caso di battaglia,

il vostro posto so.

Passivi e da lontano,

miei cari vil codardi,

se mai il sisma fosse,

le spalle voi dareste

ai pochi sopravvissuti

dello scempio letal.

Per l’incombente sisma

proprio sulla mia persona,

con voi fieri banditi

di glissoniana banda,

arrivo a certi patti:

se rimarrete inermi

nei vostri legal confini,

non più “amorevolezze”,

giammai ingurgiterò.

Non voglio, sì, per scienza,

ancora in coscienza,

per quegli incoscienti stadi,

passare a grado a grado

nella follia epatica,

che, per sconosciute strade

dai maleodoranti olezzi

e tra spie impenitenti,

ti arreca tanto danno.

Le “amorevolezze” no,

ma cosa introitar

per le cadenti membra?

Ma benedetto fegato,

pignolo precisone,

non metterti a far capricci

vedendo ovunque impicci

di falsi trasmettitor,

perché, in un tozzo di pane,

finanche non puoi vagliar,

che proteine in più,

ma cosa ci può star.

E tra le altre cose,

non metterti a far le bizze,

ché qualche fugace stipsi

la mente non può offuscar.

Tu, che da sempre il tramite

tra il monte e la valle,

concedi nuovamente ascesa

alla materna linfa vital

per quella miracolosa via

solerte ritentrice

d’ammonio iniquità.

Non far che questa linfa

per arrivar al monte,

dopo travagliosi circuiti,

viziosi e snaturati,

vi giunga ancora impura

per irrorare i suoi fusti

e infin, per tremori e scosse,

ciò che verde era,

trasforma irriverente

in arsi e secchi arbusti.

Mamma mia cara,

pazzo nel tuo nome,

non più ti tormenterò

con firme e giochi vari,

ma non ti lamentar

per fiumi di sciroppo,

miracol di catarsi,

e miscele nauseanti:

ancor altro non c’è.

Ma, pur tra tante pene,

non invocar più il nome

di un grande professore,

ché, con pousèe ed emblèe,

il mostro non si doma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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