Scritto da © Franca Figliolini - Sab, 19/11/2011 - 21:08
Non so perché ma mi punge vaghezza di rispondere alle tante critiche che leggo in questi giorni, da destra e da sinistra, nei confronti del cosiddetto 'governo dei tecnici' presieduto dal Prof. Mario Monti. Mi ero ripromessa di non scrivere post politici, ma tant'è, ora sono qui.
Partiamo da un presupposto che mi sembra comunemente accettato: i politici che attualmente siedono in Parlamento non erano capaci di fare quello di cui c'è bisogno. Non con questo intendo avallare l'idea che Monti sia un 'tecnico': io credo che lui sia un politico, nel senso primordiale del termine. Un politico di centrodestra, ovvio: non farà la rivoluzione, né mai l'ha promessa. D'altronde, chi mai la farà? Vendola con la narrazione? Bersani coi leopardi? O addirittura Grillo, dal suo eremo dorato in Svizzera dove non paga le tasse italiane? O anche noi, cittadini tutti, che per tre volte abbiamo dato la maggioranza a Berlusconi?
Ma torniamo a bomba: a quello di cui c'è bisogno. Si dice: freghiamocene del debito, denunciamolo e amen. I soldi che dovremmo utilizzare per ripagarlo, li usiamo per rilanciare l'economia, dare un sussidio ai disoccupati, mettere la carta igienica nelle scuole, comprare le fotocopiatrici e i computer per le procure etc. etc.
Sembra un'idea geniale, no?
Certo, a parte la dubbia morale di non ripagare un debito che abbiamo collettivamente contratto; a parte i pensionati di altri paesi i cui fondi andrebbero a carte quarantotto perché erano stati così sciocchi da acquistare debito italiano; a parte gli italiani che vedrebbero volatilizzarsi i propri risparmi investiti in titoli di stato; a parte le banche italiane che andrebbero fallite, senza nessuna possibilità che il fondo interbancario di garanzia possa intervenire a compensare i correntisti, non essendo più lo stato in grado di emettere titoli per finanziarlo; a parte che diventerebbe impossibile contrarre mutui per finanziare l'acquisto di una casa e avviare un'impresa, ben più di quanto non lo sia già adesso... a parte tutto questo, insomma, è un'idea geniale.
Un paese che "scelse" il default, nel 2002, fu l'Argentina. Alcuni nostri risparmiatori ancora se lo ricordano. Ma vediamo quello che successe agli argentini: "La crisi [susseguente al default] provocò per mesi un quasi totale blocco dell'economia, con un drammatico aumento di disoccupati e di nuovi poveri, una crisi di liquidità del sistema, un aumento della piccola criminalità e di atti di vandalismo contro banche ed esercizi commerciali, un'allarmante instabilità sociale" (Wikipedia).
Mi si dirà: ma adesso l'Argentina è più bella che pria! Vero, ma dopo un bel po' e grazie soprattutto all'alto prezzo raggiunto dalle materie prime agricole e minerarie, di cui quel paese - contrariamente a noi - è ricchissimo e che esporta a milioni di tonnellate.
Veniamo all'Islanda ed al suo "default pilotato", che tanti propongono anche per l'Italia. Qui uso come fonte una rivista marxista che in un interessantissimo articolo analizza la genesi della crisi di quel paese di appena 300.000 abitanti (come il mio quartiere romano). Dopo un periodo durissimo - e questo, sia ben chiaro, non ce lo risparmia nessuno - "l’Islanda - si legge nell'articolo - si è però risollevata. La valuta si è stabilizzata, il Pil si stima crescerà del 2,8% nel 2011 e la disoccupazione è tornata a scendere. La cosa forse più sorprendente è che dopo pochi mesi dal default, il paese è riuscito a tornare sui mercati internazionali emettendo, a giugno del 2011, 1 miliardo di dollari di titoli di stato. Emerge anche che nel 2011 proteggersi dal rischio islandese è costato meno che dal rischio Italia".
"Di fronte all’agonia della Grecia - continua l'articolo - è logico che molti non possano che considerare il caso islandese è un successo grazie al ripudio del debito. La scelta è stata giusta ma l’analogia inefficace. Innanzitutto, all’Islanda è stato concesso di ripudiare il debito delle proprie banche (non quello pubblico) per due ragioni fondamentali: la ridotta dimensione assoluta del default (60-70 miliardi di euro, una goccia nel mare dei mercati mondiali) e perché era impossibile che anche mettendoci secoli, l’Islanda potesse ripagare un debito pari a 12 volte il proprio Pil". (...)
"Ciò che distingue Atene da Reykjavik - continua ancora - è che la prima non può svalutare, mentre il deprezzamento del 60% della corona è ciò che ha arrestato il crollo economico dell’isola. La Grecia dovrebbe dunque ripagare i debiti in euro con una dracma svalutata di almeno il 50%, il che significherebbe perdite nell’ordine dei 100-200 miliardi di euro per le grandi banche. Per l’Italia tale cifra supererebbe i 1000 miliardi.
Ciò che non funziona nell’esaltazione del default islandese è proprio l’idea che si possa fare una cosa del genere in sordina, senza far arrabbiare nessuno anzi con l’accordo dei creditori. Chi propone il “default pilotato” della Grecia o dell’Italia pensando che i mercati lo accoglierebbero come un interessante detour, vive fuori dal mondo. Una cosa sono pochi miliardi, un altro il debito pubblico italiano che è il terzo al mondo. Ripudiare il debito pubblico italiano è un atto di guerra contro i mercati finanziari mondiali, l’idea che si possa vincere questa guerra con un tratto di penna o una scheda nell’urna è come convincere con un bel discorso una tigre affamata a non mangiarti. O si è pronti alla guerra, sacrosanta, contro i mercati con tutto ciò che ne consegue (uscita dall’Unione Europea, nazionalizzazione delle banche e delle multinazionali, ecc.) o chiacchierare di default senza prepararsi allo scontro serve solo a illudere gli ingenui".
Ecco, di questo articolo, l'unica cosa che non condivido sono le parole che ho sottolineato in rosso, "giusta" e "sacrosanta"e la successiva conclusione, cioè che sia giusto ingaggiare una guerra contro i mercati finanziari mondiali, preparandosi a una lotta dura senza paura...
Quante alle soluzioni che saranno proposte da Monti, a parte che non sappiamo ancora quali siano, non potranno che rientrare nel quadro di quelle ammissibili. Come lui stesso ha detto, nel suo discorso programmatico alle Camere - la cui lettura integrale vi consiglio vivamente, essendo una delle poche volte in tempi recenti in cui si siano sentite parole serie, non populistiche e non messe insieme per conquistare qualche lancio di agenzia e qualche titolo sui giornali - "Ciò che occorre fare per ricominciare a crescere è noto da tempo. Gli studi dei migliori centri di ricerca italiani avevano individuato le misure necessarie molto prima che esse venissero recepite nei documenti che in questi mesi abbiamo ricevuto dalle istituzioni europee".
Cosa volevate che si inventasse? Quale rimedio miracoloso per creare un milione di posti di lavoro, quale barzelletta? Non siete stanchi di chiacchiere? Io sì. Per questo, al Presidente Monti ed al suo tentativo va il mio appoggio, per quel che vale. La teoria del tanto peggio tanto meglio, fatta sulla pelle di milioni di persone, non mi ha mai convinto.
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