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Se non m'ami...m'amerai!

Certo che era stato amore.     
Di quello a brucia pelo, colto al volo, immediato, vero.
La passione, la confidenza, l’empatia, il capirsi all'istante. 
Il volersi, il cercarsi, il non poter fare a meno l’una dell’altro.  Così, semplice, puro.     Così la vita doveva scorrere, come un fiume in piena, carica di ogni aspettativa, di domani condivisi, di ore da spendere assieme.
Portafogli appoggiati al cuore; noi.    I nostri segreti, le  nostre carte profumate da giocare e spiccioli di vita rubati da cerniere socchiuse.     Io per lui, lui per me.
Frenetiche corse per incontrarsi al buio, sottane appena scostate tra pareti piegate al nostro viso.   Carezze rubate sotto tetti di fortuna, sguardi furtivi raccolti da occhi in cerca, respiri brevi solo per sentirsi vivi.      Ossigeno puro.     Aria.     Finalmente aria.
E mordersi le labbra sapendo che tu, sperando che tu, aspettando che tu.
Poi.    Poi tu che non arrivi.
Ed io.  Io che aspetto.    Che immagino il traffico, la fila, l’auto che non parte, il telefono scarico, il credito esaurito, un incidente, tua moglie che ti trattiene, una riunione improvvisa, il troppo vento, il troppo sole.     Io che ti regalo un alibi.       Te lo offro anche.     Certo.
Te ne offro uno, cento, mille.
Pur di saperti mio.   Anche per poco;   ma mio
E non arrivi.  Non mi chiami, non mi cerchi, non mi pensi.
E allora io,  che ti cerco.  Ti cerco io.   Sì, dai.    Ho tempo io.   Ti arrivo sul lavoro.  Ti aspetto dietro ad ogni angolo che so che sfiori.    Dentro alla cabina del telefono davanti all’ufficio. Dal tabaccaio.    Ma fumi?    Non lo so.   Forse fumi.   Fumavi.  Sicuramente ne avrai voglia, ora.
Ma continui per settimane a non vedermi, non mi senti nemmeno. Scappi. E corri oltre i nostri giorni.     Mi sfuggi.
Allora.    Allora io che ti telefono.    Mi fingo quella della Wind.   Poi un’intervista, sono quella del caffè, dell’olio, dell’abbonamento a Sky, delle enciclopedie che non esistono più.  E tu che attacchi.     Solo il tuo “pronto” e attacchi.     Il tuo respiro e attacchi.
Allora ti scrivo.   Va bene ti scrivo.   Una lettera rosa, una pagina di diario di noi, una poesia sul cielo, sul mare, sui fiori, sul cuore.    
Un sms, due, dieci, cento al giorno.      Quelli li leggi.       Dai amore leggili, ti prego.  
Ti scrivo sul muro davanti casa tua, ecco.   Disegno un cuore con la mia Vu e la tua Erre. Così lo vedrai.     Saprai che è il nostro cuore.     Al mattino uscirai.    E sarò lì.   Alla sera tornerai e sarò con te.    Lì.     Su di un muro davanti ai tuoi occhi.   Così non potrai scordarmi, non potrai.   No.  Non avrai scuse. E tua moglie saprà.     Ora capirà perché tardavi, perché non rispondevi alle sue chiamate.  Perché profumavi di buono, ridevi, cantavi.
Sono sicura che ora mi pensi. Ti vedo pensieroso.    Forse ti manco.   Le mie mani, i miei capelli, le mie labbra, le mie cosce, il mio sussurrarti.    Ci pensi, lo so che ci pensi.
E poi il postino.  Che suona alle undici. Ma non è il postino. Sono i carabinieri con l’ingiunzione di starti lontano.  Di non avvicinarti. Né a te, al tuo lavoro, alla tua macchina, al tuo tabaccaio, al muro di fronte a casa.   Alle ore rubate al mondo.
E allora. E allora porterò ogni giorno un pensiero  a tua figlia.  Ecco.  Fuori dalla recinzione dell’asilo.   Alla ricreazione.    La chiamerò e le darò quel  pensierino che porterà ogni giorno a casa.
E così sarò lì.   Con te.    Tra le tue mura alzate, fra le nostre ore strappate, nel caldo dei nostri ricordi.
Per sempre con te.
 

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