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Il ciclo della vita umana

Credenze e usi dalla gestazione, nascita, infanzia e fanciulezza
 
Nella tradizione popolare tutta la vita dell’uomo, viene scandita da pratiche e credenze che danno alla vicenda una traccia e un significato. Nella fase  che precede la nascita, degne di attenzione sono le pratiche per ottenere la fecondità della donna, quelle riguardanti la condizione della gestante, le previsioni del sesso del nascituro e i mezzi per assicurarsi un parto agevole. Per il popolo, la fertilità è considerata un dono della Provvidenza e la sterilità una punizione. Tuttavia per guarire da questo stato basta che la donna indossi la camicia di una che ha già avuto figli, ciò sul principio della magia per contatto. Nel bresciano, le giovani da marito che desideravano sposarsi entro l’anno, usavano baciare il bulsù ( il catenaccio) della chiesa di S. Andrea di Barbaine, le spose per ottenere la grazia della fecondità e per il latte. Ma nell’ambito della religiosità popolare la santa più invocata è Sant’Anna alla quale si ricorda: “trent’anni steste che figlioli non aveste” oppure ”di Maria foste mamma…”   Nel periodo della gestazione, sia per il popolino che per la chiesa,  la donna è considerata impura, quindi capace di danneggiare ciò che tocca (piante e fiori per Toscana e Veneto) e la si ritiene anche più attaccabile dalle forze malefiche dalle quali deve ben guardarsi.  Stessa cosa valeva quando la donna aveva le mestruazioni, quindi non era degna nemmeno di entrare nella casa di Dio.    Le prescrizioni, dalle quali è bene che la donna in attesa si astenga sono: non indossare collane e tessere matasse, non attraversare una cavezza o il timone di un carro poggiato a terra, perché il parto sarebbe “legato” o impedito. Deve anche astenersi di mangiare alcuni cibi come, per esempio un’anguilla, il destino di suo figlio sarebbe quello di morire annegato.  Le voglie della futura mamma sono importanti e pertanto vanno esaudite altrimenti il figlio nascerà con segni più o meno deformanti e le si raccomandava, quando sentiva una voglia di non toccarsi, ché dove lei si fosse toccata al figlio restava un segno.  Ai tempi che non esistevano le ecografie il desiderio di conoscere il sesso del nascituro era forte e come si poteva fare se non rivolgersi a chi sapeva ben interpretare la forma della pancia dell’interessata e decretare il sesso del bambino.  In Emilia il ventre a punta indica un maschio(“panza agozza-en porta scoffia” = pancia aguzza non porta cuffia), mentre in Basilicata indica una femmina (“ventra pizzuta vuol lu fusu-ventra chiatta vuol la zappa”) in Lombardia come in Lucania si dice: “quand la panscia l’è guzza-cussin e gugia-quand l’è larga al fianchet-un bel mas’ciett”. Altro modo per sapere è con la forcella, cioè lo sterno di pollo spezzato tra due contendenti: se in mano alla futura madre resta il pezzo più corto sarà un maschio, femmina per quello più lungo e con la “cuffia”.  
Tra pratiche ispirate o magia simpatica, o meglio ancora forme devozionali, tutto viene preparato con cura affinché il parto sia “sciolto”. Si invocava persino la forza virile del padre, trasmessa alla partoriente da alcuni indumenti  appartenenti a quest’ultimo. Già presso i romani per alleviare le doglie del parto alla sua sposa, il marito l’avvolgeva con la cintura, che poi scioglieva. Oggi c’è una forma similare costituita dalle “cinture benedette” quella più miracolosa è quella della Madonna di Loreto.  Appena il bambino è nato gli viene fatto il bagno, non tanto per lavarlo ma come rito purificatore e rinvigorente. Nell’acqua vengono messe delle foglie di noce, oppure del vino, costumanze che per fortuna stanno scomparendo come quella di fasciare il piccolo. Era un brutto segno se il neonato nasceva avvolto nella placenta chiamata: “la camicia della Madonna” questo poi se la doveva portare addosso, custodita in un sacchetto, per tutta la vita ( nel Veneto). Il pezzetto di ombelico era considerato un talismano, in Toscana usavano nasconderlo sotto il focolare se era quello di una femmina (in modo che la creatura non lasciasse mai la casa), o farlo beccare dagli uccelli se di un maschio. In Veneto la puerpera e il neonato venivano sorvegliati giorno e notte per un certo periodo perché facili prede di forze maligne, specialmente della fata cattiva, detta la Pagona che entrava nelle stanze delle giovani mamme per soffocarle assieme ai loro figlioli per questo tenevano accesso un lume, e al collo del piccolo venivano messi vari amuleti che variavano dal pelo di tasso o dal cornetto di corallo, o il “breve” che conteneva immagini sacre.
Ancora molto radicato è il desiderio di battezzare il piccolo molto presto. I padrini che sono stati scelti accompagneranno il bambino alla fonte battesimale, in molti luoghi sono essi che scelgono il nome della nuova creatura, prima di tutto il nome del nonno paterno (perché imporgli il nome del padre se è ancora vivo porta male) poi  di quello materno altrimenti si optano per quelli di amici o parenti importanti. I regali preziosi sono d’obbligo. Di regola si veste il neonato con un abitino lungo e bianco, simbolo di purezza, segni indicativi per il sesso sono il nastro azzurro per il maschio e rosa per la femmina. La persona che porta il piccolo in chiesa deve reggerlo col braccio destro se è maschio, con quello sinistro se è femmina: non deve mai voltarsi indietro altrimenti il bimbo crescerebbe pauroso. Deve anche pronunciare bene il Credo se non vuole che questi diventi balbuziente. In alcuni paesi all’uscita dalla chiesa venivano lanciati i confetti. Quando la madrina riconsegna il neonato alla madre diceva questa frase: ”tu me lo hai dato pagano e io te lo porto cristiano”, in Sardegna battezzare si dice fare cristiano un moro. Per la culla dove il piccolo dormiva esistevano due forme tradizionali: in un’area circoscritta del meridione si usava la “naca” dal greco vello di montone, che era generalmente di tela e appesa al soffitto in modo che si potesse cullare il bambino e allo stesso tempo svolgere le faccende domestiche, nelle restanti regioni c’era la culla a dondolo, in legno, spesso scolpita dal padre con simboli protettivi. A Napoli e in Campagna ai trovatelli veniva imposto il nome del santo del giorno e per cognome Esposito cioè esposto.
Passando ai giochi dell’infanzia, nel Folklore di ogni regione esisteva, molto più di adesso, un trattato pedagogico empirico e non scritto, ovvero delle forme per rendere agili le dita o per sciogliere la pronuncia delle parole difficili. Gli indovinelli servivano per aguzzare l’ingegno e le fiabe per risvegliare la fantasia; con tutta una serie di giochi si agevolava lo sviluppo fisico ed intellettuale del fanciullo. L’antichissimo gioco di origine greco-orientale degli astragali (ossa del piede di forma cuboide), sopravvive ancora oggi in Puglia e in Calabria. Si può dire che esso sia l’antenato dei dadi, ricordato da Omero e usatissimi dai romani. Tra i giocattoli che i bambini siciliani costruivano da sé c’è il lupani ( fatto con un bottone infilato in un incrocio di spaghi) così chiamato perché quando veniva fatto volteggiare produceva un ronzio simile a quello di una grossa ape. Qualcosa di similare lo troviamo anche in Sardegna. Esso è una sicura sopravvivenza del rombo, strumento analogo, millenario tuttora usato da popolazioni primitive nei riti di iniziazione. La trottola che vive tutt’ora ma in forme meccaniche, era già utilizzata dai greci e dai romani. I giochi di società più diffusi e cari anche agli adulti sono mosca cieca, collegato specialmente con il Carnevale. Guardie e ladri che nel Settecento attirava l’aristocrazia fuori dalle mura cittadine: anche Napoleone si compiaceva di parteciparv i.
Le tappe dello sviluppo del fanciullo sono contrassegnate e solennizzate dai cosiddetti  riti di passaggio iniziati col battesimo per passare poi alla Comunione e alla Cresima. Assai diffusa in Romagna era la credenza che nella cresima il fanciullo sarebbe stato “segnato” con un colpo di martello sulla fronte, datogli dal Vescovo, e che a proteggerlo da ciò serviva la fascia di seta legata al braccio destro.  Tra le usanze intese a scandire i vari momenti dell’entrata dell’individuo nella società si trovavano le associazioni giovanili, la cui tradizione viene ricollegata alla Juventus romana e alle medioevali abbazie dei folli che ebbero un’impronta sociale notevole non solo in Italia ma anche in Francia e altri paesi Europei.
 
ricerca da Folklore edito da Touring Club Italiano

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