Enfant Prodigio...?! | Prosa e racconti | Maria Savasta | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Enfant Prodigio...?!

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Tornando ai ricordi della mia primissima infanzia, che è quella che segna indelebilmente tutta la vita, mi torna in mente come fu che a tre anni e mezzo leggevo e scrivevo speditamente.
Subito dopo l'episodio del cagnetto Sole, mi accorsi senza essere un genio che ovunque andassi davo fastidio, la mia presenza era di molestia un po’ a tutte.
Per qualche tempo la Superiora mi sopportò quando sfuggendo alla sorveglianza cercavo le sue braccia o le tiravo la tonaca per farmi vedere, fino al giorno che in una meditazione ancora più esaltata ed esaltante non ci parlò della morte e della bellezza del Paradiso a cui erano destinati tutti i buoni.
In Cielo non si soffriva più: le mamme erano sempre giovani, i bambini giocavano con gli angeli, le vergini cantavano e danzavano gioiose davanti all'Altissimo. Non c'era freddo o caldo, non si piangeva e non si aveva mai fame o sete, i fiori e i ruscelli erano sempre freschi e il cielo sempre azzurro; suoni di arpe e viole si udivano nell'aria e i cori celesti inneggiavano a Dio.
Mentre parlava il volto della Reverenda si trasfigurava, gli occhi le diventano brillanti e il suo sguardo andava lontano.
Io la guardavo ammirata, certo doveva aver visto il Paradiso per descriverlo così bene ed esserne tanto innamorata.
Non toccava a me, ero una bambina cattiva e piena di difetti e peccati, dovevo migliorare molto e diventare buona per poter aspirare al cielo, ma lei sì; poteva andarci anche subito.
Lei era così buona che Dio le aveva mostrato quel luogo di delizie in cui si va dopo morti se si è molto buoni...
Tutta la mattinata restai immersa nel pensiero del Paradiso in cui di certo la nostra Santa Superiora sarebbe andata. A mezzogiorno mentre aspettavamo la campanella del pranzo, guardai la Reverenda con grande ammirazione e le dissi:
“speriamo che tu muori presto, se vuoi prego che muori anche oggi, così vai subito dritta in Paradiso.”
Sento un urlo che mi perfora i timpani, mentre due braccia mi sbatacchiano con forza:
“disgraziata, che dici? Così auguri la morte alla Superiora. Che ti ha fatto se non darti un tetto e un piatto da mangiare...? bambina cattiva e irriconoscente, non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere.”
la Superiora tremava tutta ed era diventata gialla. La fecero sedere e chi le bagnava il volto chi le metteva sotto il naso aceto e profumi, chi la sventolava con grandi ventagli come facevano gli schiavi al faraone.
Volevo scomparire, cosa avevo detto di male?
La Superiora si riprese e molto magnanimamente disse con voce flebile come da moribonda: “lasciatela stare” ma non mi guardò ne mi volle più al suo fianco.
Da allora andai vagando come un'anima in pena: nessuno mi voleva e mi sentivo fuori luogo ovunque il mio musetto faceva capolino.
L'unico posto dove mi sentivo tranquilla e sicura era la Cappella.
Cominciai a frequentarla sempre più spesso. L'odore dei fiori e dell'incenso mi dava pace. Apprezzai presto il silenzio e la solitudine, imparai ad amare la preghiera.
C'era una grande statua lignea ad altezza reale di una Madonna col suo Bambino: era sempre sorridente e il Figlio stava buono fra le sue braccia.
Mi accorsi che mi guardava, ovunque andassi il suo sguardo mi seguiva, o si incrociava col mio. Era conforto, consolazione; lì trovavo la mia quiete perduta.
Così tutti i giorni quando le altre bimbe sfarfallavano verso la scuola, dopo le preghiere mattutine e la colazione, io pian pianino cercando di non farmi notare ritornavo in Cappella, vi restavo fino alle undici circa quando venivano le monache o le ragazze grandi per l'Ufficio alla Beata Vergine.
Finite le preghiere, tutti uscivano, io restavo, continuavo a seguire i miei pensieri, a cullare i miei ricordi, a dondolarmi nell'illusione che fossero braccia materne a farlo. Avevo tempo per pensare, ricordare, memorizzare... a modo mio pregavo.
La piccola Chiesa interna all'Istituto mi rapì talmente che diventò il mio pensiero fisso: ora non aspettavo più di rifugiarmi nel Suo grembo dopo colazione, ma la sognavo anche di notte e la mattina presto subito appena alzata correvo per andare in Cappella, spesso la trovavo ancora chiusa, veniva aperta alle 6,30 circa. Allora mi rannicchiavo in un angolino del gradino aspettando che la suora sacrestana aprisse la porta, e sgattaiolavo dentro: era il mio regno, non infastidivo nessuno e nessuno infastidiva me.
Dopo qualche settimana si accorsero del mio amore sviscerato verso il luogo sacro e ne parlarono al Parroco. Spesso sentivo aprire piano la porta, poi richiuderla lentamente.
Il buon Parroco disse: “è una predestinata” e mi regalava qualche santino.
Le monache mi lasciarono in pace.
Oltre che della Cappella mi innamorai anche della Chiesa parrocchiale: la Matrice. Quando si doveva andare a Messa o nel pomeriggio alla Benedizione, ero la prima ad essere pronta, non mi volevo perdere nulla dei canti gregoriani, le prediche e il Vangelo che ci spiegava il Sacerdote.
“Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi...” Lc 22,15
“Anche con me?”
<<Sì, anche con te. Gesù vuole venire nel cuore di tutti. Quando il Sacerdote dice “prendete e mangiate, questo è il mio corpo...” l'ostia che ha in mano diventa il corpo di Gesù e quando ci facciamo la comunione lui entra nel nostro cuore e ci fa tante grazie.>>
“Voglio fare la comunione.”
<<Sei ancora piccola.>>
“Gesù non ama i bambini?”
<<Certo che li ama.>>
“E perché non vuole venire nel mio cuore? forse sono troppo cattiva, ma diventerò buonissima...”
<<Devi sapere il catechismo e imparare  a leggere e scrivere. Per ora pensa a giocare.>>
Fu così che organizzai le mie giornate: la mattina la trascorrevo da sola in Cappella e nel pomeriggio cercando di farmi più piccola di un moscerino seguivo le altre bambine nella stanza del laboratorio dove ci veniva insegnato il catechismo e si facevano anche i compiti.
Non ditemi come successe perché non lo so nemmeno io, ma dopo un paio di mesi sapevo tutto il catechismo di Pio X° a memoria più le beatitudini e varie preci in latino e italiano; e... avevo imparato da sola a leggere e scrivere, o meglio seguivo le bambine che facevano i compiti e diverse di loro erano in prima elementare e ancora facevano fatica a scrivere e leggevano sillabando.
Divenni attentissima nell'ascoltare le lezioni della maestra del doposcuola e mi sembrava tutto così facile che non riuscivo a capire come bambine grandi sudavano sette camice e sbuffavano quando suonava il campanello per l'ora dello studio.
Per un paio di mesi restai zitta cercando di leggere di nascosto i bei libri delle mie compagne, finché un giorno mi cadde come una benda dagli occhi: assemblavo vocali e consonanti e sapevo leggerle.... le parole avevano senso compiuto ed era meraviglioso abbattere il muro del sapere.
Cominciai a prendere la parola quando l'insegnante chiedeva: “avete capito?”
“Siiiiiiiiii...”rispondevo felice
“zitta mocciosa”
“chi vuol venire a ripetere?”
“iooooo….”
“ancora tu? taci microbo”
mi rintanavo mortificata, mentre involontariamente memorizzavo altre belle cose che le ragazze grandi studiavano forte:
“Cantami o diva del pelide Achille l'ira funesta...”
“era già l'ora che volge al desìo e ai naviganti s'intenerisce il core...”
“addio monti, sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime ineguali...”
“la bocca sollevò dal fero pasto...”
“che vuol dire fero? “
<Sssss... taci moscerino>,
“ma che vuol dire?”
<Non lo so,  tutta sbagliata...> “
“cosa?”
<La Divina Commedia>,
“come sbagliata?”
<Sssssss, zitta, non sapeva l'italiano, ne sono certa.>
“ E com'è scritta?”
<Come parlava sua mamma.>
“la mamma di chi?”
<di Dante>
“ E fero, cos'è fero?”
< Sssssssss te lo dirò domani.>
 Ma il domani era sempre l'oggi ed io da sola scoprii cosa fosse il ‘fero – feroce’ pasto, ma sono ancora qui ad aspettare che mi istruisca la mia saputa compagna.
Fu così che quand'ero sola in cappella cominciai a declamare forte le belle cose che giornalmente imparavo a memoria. Cominciai a sbirciare anche i grandi libri che c'erano appoggiati su una panca, erano i messali, tutti scritti in latino; mi accorsi che erano un po’ strani, diversi dai libri delle bambine. Erano in una lingua che somigliava all'italiano, ma un po’ diversa; ma caparbiamente continuai a sbirciare e leggere. Leggevo così com'erano scritti: “Ave Maria gratia plena...” non leggevo 'grazia' ma 'gratia' e, il tempo volava.
La natura mi aveva donato, forse come risarcimento d'avermi tolto tanto, una memoria ferrea, qualsiasi cosa leggessi o sentissi mi restava impresso nella mente e ancor oggi che sono passate tante lune sul mio cammino ricordo benissimo tutti gli accadimenti e ciò che imparai nella primissima infanzia.
Fui scoperta mentre un giorno in Cappella volevo imitare il prete a dir messa e davanti all'altare con il librone in mano leggevo e declamavo il vangelo: Dominus vobiscum... in illo tempore...
Eravamo a ridosso del concilio e ancora la Messa era in latino.
Erano le monache: “tu leggi, vediamo, continua.”
Lessi tremando, avevo paura che negando l'evidenza avrei peggiorato le cose; ero così piccina sola e mortificata negli affetti; avevo trovato rifugio e sbocco alla mia solitudine in Cappella e nella lettura...
“non è possibile, non s'è mai visto una cosa simile...”
si spaventarono, pensarono ch'io fossi posseduta dal diavolo e mandarono a chiamare il parroco in fretta e furia.
“State tranquille, la bambina non è indemoniata, chi è posseduto ha in avversione tutto ciò che è sacro, odia le chiese e non prega. La piccola prega con fervore e preferisce la chiesa a tutti gli altri luoghi.”
“Padre, ma ha solo tre anni e mezzo e legge, legge anche in latino! Questo non è opera di Dio, non può essere... “
Ma che dite... a Dio nulla è impossibile. “fammi vedere come leggi” disse rivolgendosi a me porgendomi il suo breviario.
Ero terrorizzata e la lingua mi s'era attaccata al palato.
Mi fece una carezza sui miei riccioli biondi “non aver paura” mi sentii rincuorata e protetta e... lessi.
Vede? Legge come sta scritto, si capisce che non ha studiato il latino, se fosse stata indemoniata avrebbe letto perfettamente.
La Superiora non ne fu molto convinta e si mise a cimice perché il buon Parroco mi benedisse, finché per levarsela di torno mi inondò d'acqua santa. Credo che il cielo quel giorno rise e tanto.
Da allora mi lasciarono in pace, anzi mi guardavano con stupore, direi quasi come un fenomeno da baraccone o una scimmietta sapiente.
Quindi pensarono bene di sfruttare la situazione per trarne il massimo vantaggio, così quando all'Orfanotrofio venivano persone importanti come il Prefetto, o qualche onorevole o vecchi nobili dal sangue blu che lasciavano offerte per le orfanelle, la Superiora mi mandava subito a chiamare e, dopo avermi strigliata a dovere e infiocchettato il capo con enormi nastri bianchi venivo portata alla presenza degli illustri ospiti.
Nella foresteria c'era un tavolo enorme, senza troppi complimenti mi pigliavano dalle ascelle venivo issata sulla tavola.
“leggi” mi veniva ordinato dandomi un libro in mano.
La vanità è femmina, ero orgogliosa delle carezze e dei complimenti e..., leggevo.
Finché un giorno venne in visita un vecchio barone con il figlio dodicenne che non eccelleva negli studi.
Si sentì punto sul vivo, come se io per il semplice fatto di saper leggere e scrivere a meno di quattro anni, avessi fatto un torto a lui e alla sua famiglia.
“questa bambina non sa leggere, vi ha preso tutti in giro; avrà sicuramente una buona memoria e ha memorizzato le pagine e le cose che le volete far leggere. Vi dimostrerò che ho ragione.”
Prese il suo quotidiano, perché tutti gli intellettuali compravano due tre quotidiani al giorno e lui si sentiva molto sapiente e intelligente, e me lo porse:
“leggi, qui...”
Era un articolo di politica, lo lessi speditamene, ma onestamente non capii molto il senso.
Adiratissimo buttò il giornale sul tavolo e scappò dall'Istituto trascinandosi dietro il figlio.
Ovviamente non lasciò nessuna offerta e non si fece vedere mai più.
A titolo informativo questo figlio del nobilesco signorotto da grande diventò Professore Universitario e la sua debolezza per le donne e le ragazze in genere lo fregarono. Nei primi anni del nuovo millennio fu denunziato da alcune studentesse universitarie, per molestie e abusi: non dava la materia se non sottostavano alle sue voglie. Attualmente si trova agli arresti domiciliari.
Il padre morì suicida.
Li ebbi tutte addosso, mi tormentarono per la mancata offerta di beneficenza e per il perduto benefattore. La colpa era mia, solo mia: avrei dovuto capire subito che in quel caso sarebbe stato meglio fare la figura dell'analfabeta... e venivo strattonata, picchiata e rimproverata aspramente.
“Ma come potevo sapere…?!”
“No, dovevi capirlo... ci vuole naso, intuito... sei stata una scema” e giù a caricarmi di croci e acrimonie a iosa.
La pagai cara: per diversi giorni venni isolata, nessuno mi rivolse la parola, niente frutta e ricreazione.
Conoscete la storia della gallina dalle uova d'oro? Bene, chi ce l'ha se la tiene cara e cerca di trarne il massimo profitto.
D’improvviso venne a visitare l’orfanotrofio un pezzo grosso, molto grosso…, siciliano di Caltagirone ma che aveva avuto importanti incarichi a Roma; era stato amico di Don Sturzo e di Alcide De Gasperi: era l’On. Mario Scelba.
La Superiora decise seduta stante di tirare fuori dalla manica il suo asso vincente – me - per ottenere lauti assegni.
Fui acchiappata al volo e deposta sull’enorme tavola.
Mi rifiutai di leggere. Ancora non conoscevano la mia memoria  di ferro e credevano ch’io non ricordassi più l’episodio con il nobilotto, quando innocente pagai colpe non commesse.
Invece io ricordavo tutto benissimo e mi chiusi in un mutismo.
Nessuno fu capace di farmi aprire bocca. L’Onorevole mi guardava con un sorriso fra il sarcastico e il beffardo, io dritta sul tavolo con le lacrime agli occhi non aprii bocca.
Il pezzo molto grosso se ne andò consolando le monache: “non ha importanza Madre, capricci di bambina…”
Mi lasciarono sul tavolo per castigo; mi disperai e piansi molto, mi sentivo come un topo in trappola, avevo le vertigini e non potevo scendere perché avevano tolto tutte le sedie intorno. Camminavo avanti indietro stando bene attenta a non avvicinarmi troppo ai bordi per paura di cadere. I miei singhiozzi si udivano dalle quattro strade, almeno così disse il Parroco.
“Che è successo? Perché questa bambina è sul tavolo? E perché singhiozza da strappare l’anima?”
“E’ stata cattiva, molto cattiva… ha commesso un grosso peccato”
Io con tutta la mia disperazione e l’ira accumulata gridai: “tutti siamo cattivi e tutti facciamo peccati. Dovete salire tutti sul tavolo come me”
Il Parroco con un sorrisetto ironico disse: “la bambina ha ragione <<chi è senza peccato scagli la prima pietra>> , o saliamo tutti sul tavolo, o scende lei.”
La Superiora si fece di mille colori, le usciva fumo dalle orecchie e i suoi capelli di corda grigia le si arricciarono come serpi, i suoi occhi mandavano fulmini e saette; ma la volontà del Signor Parroco era sacra, non si discuteva: poteva rapportare tutto al Signor Vescovo.
E così con un broncio lungo da Kars a Siracusa mi presero per la collottola e mi misero giù.
Amavo il vecchio Parroco, ma da allora lo misi sul piedistallo; egli da parte sua mi considerava come un prodigio. Mi regalò un messalino e io gli leggevo il Vangelo in latino. Lui pensava che leggessi senza capire, ma stranamente capivo, se non tutte le parole almeno il senso.
Cominciai a torturarlo perché mi facesse fare la Prima Comunione, faceva orecchie da mercante, ma io caparbia la mattina a Messa mi mettevo in fila con gli altri fedeli per ricevere l’Eucaristia.
Mi saltava regolarmente.
Ebbi un’illuminazione: credetti di capire il perché mi saltava regolarmente: era ovvio…! non mi vedeva essendo io così piccina; e da allora quando arrivava il mio turno per farmi vedere salivo sul gradino del Sancta Sanctorum, ma non si accorse mai di me.
E così tutti i giorni: saltavo la colazione per non rompere il digiuno eucaristico, ma fu sempre inutile.
Finché il Parroco non parlò di me all’Ordinario Diocesano, il Santo Vescovo di Siracusa Monsignor Ettore Baranzini.
Venne d’improvviso per conoscermi e interrogarmi, risposi a tutto. Infine mi porse un libro:
“Nostro Signore parlava e predicava in aramaico, leggi e spiega”
Erano i Vangeli scritti in aramaico e greco, mi sentii persa: non avevo mai visto quei caratteri…!
“Imparerò, glielo prometto. Monsignore comincio subito a studiare.”
Sorrise e disse: “non è necessario, imparerai a suo tempo; ora ho capito che non posso andare contro la volontà di Cristo: <<lasciate che i fanciulli vengano a me>>. Ho da farmi perdonare molti peccati, ma questo no. Puoi ricevere Gesù”
“Quando?” chiese il buon Parroco.
“Subito” rispose il Vescovo. “E’ preparata molto bene”
Era Gennaio. Il tempo di confezionare il vestitino bianco e l’undici Febbraio, giorno di Nostra Signora di Lourdes, feci la mia Prima Comunione direttamente dalle mani del Vescovo.
Mi fecero leggere forte il ringraziamento; io ero emozionatissima, mi sembrò d’aver toccato il cielo.
Avevo quattro anni e due mesi.
Quando uscii dalla Cappellina mi sentii con i piedi così leggeri che camminavo come volando…
Il cielo era plumbeo, coperto di neri nuvoloni; salii sul terrazzino per essere ancora più in alto e restai a guardarlo, d’un tratto si aprirono le nubi e fui coperta dal sole.
Quel giorno la rigida Superiora disse alle monache di non disturbarmi, e io restai con la mia gioia per ore.
La figlia dei morti, piccola Cosetta, aveva ricevuto il sacramento dei vivi…!!!
 

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