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Appunto di viaggio dalle dune di Mimizan (ed ogni cosa è sospesa nel tempo, nel silenzio)

 
 
E’ quel confine incerto tra terra e mare che non si può definire. E’ tutto sospeso, conteso. Indefinito e indefinibile. Sulle dune di Mimizan, di fronte l’Atlantique.
 
Lo vedi e non lo cogli. Come gli occhi dei pescatori, che sfiorano il confine dell’oceano e sanno che oltre esistono altri confini. Altre realtà. E le case sono tutte raccolte, come un guscio a difesa dal nulla, con le porte dello stesso colore degli occhi di chi le abita.
 
Quel nulla delle dune, che non sono ancora terra, e non sono ancora mare. Ma un’attesa infinita.
 
Lo puoi ascoltare, l’Atlantique. Se si sta attenti, la musica del Titanic risuona ancora in quelle onde che non dimenticano. La memoria dell’oceano, eterna. Come la sua attesa, la sua presenza. Il suo morire tutte le notti al tramonto per rinascere ad ogni alba. A contendere sabbia alla duna, a cercare altra terra da rubare agli uomini.
 
Esiste un luogo in cui ognuno si sente solo. Provate a restare seduti sulle dune, tra mare e terra, a guardare il cielo, e vi accorgerete di essere polvere di fronte all’infinito azzurro di mare e cielo che vi strappa l’anima a morsi.
 
Provate a dire dove finisce il mare e dove inizia la terra. Non lo potete sapere. Nessuno lo sa. E’ una linea incerta, priva di tempo, di luogo, di consistenza. Eppure tremendamente reale. Vi prende il cuore. E il tempo si attorciglia come un gomitolo, che non importa ieri, oggi, domani. Esiste un eterno presente nel quale risuona tutto il tempo del mondo, del cielo.
 
I porti sono come dita protese sull’oceano. Qualcuno osa partire, qualcuno ritorna, e il suo sguardo non è più quello di prima. Ha lo stesso colore del vento, la stessa paura del cielo.
 
Qualcuno non torna più. E la sua voce si confonde con quella delle onde, del vento. Con la tristezza infinita d’ogni tramonto, quando il sole muore, ma l’oceano continua a parlare, onda dopo onda. A rosicchiare sabbia alla duna, che resiste, alimentata dal vento che riporta la sabbia rubata dall’oceano. Granello dopo granello.
 
Le chiese sono tutte rivolte all’Atlantique. Che ogni sposa, quando esce, offre il suo uomo all’oceano, perché ogni uomo, qui, è pescatore, ed ogni donna conosce l’amaro dell’attesa di una vela. Ed ogni donna ha un sorriso per ogni giorno che passa a scrutare quella linea scura, tra oceano e cielo, che è speranza e terrore.
 
Come le dune. Ferme nel nulla che aspetta. In un equilibrio di forze che somiglia all’equilibrio di dio. E fa venire una voglia di dolcezza che annega ogni cosa in un colore rosso di cielo.
 
 
(Tra Mimizan e Biscarrosse, a due passi dalla dune du Pilat. – 17.08.2011 – Andando verso Carnac.)
 
 
 

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