Scritto da © Andrea Occhi - Mar, 09/08/2011 - 08:49
Colmo dei miei divertenti sentimenti, come una valigia troppo piena da cui s’intravedono stoffe colorate ai lati, mi sono presentato a te, dopo mesi di ristrutturazione interna, non ancora terminata. Gli odori del cemento fresco e il fischiettare di qualche operaio pervadono ancora le mie stanze. Ti ho detto con la voce tremante che sei ancora qui, indicandomi il cuore. Che sei una parte di me. Sei arrossita. Non hai detto nulla. L’espressione del tuo viso era tra lo stupito ed il “chissenefrega”. Mi hai amato, ma mai lo hai ammesso. "Io avrei fatto qualsiasi cosa. Tu no." - hai detto. L'utilizzo del condizionale è significativo. Volevo essere solo la tua famiglia. Che imbecille, vero? Non sprecherò più tempo e cuore. Ti auguro di trovare la solitudine e lo schifo che cerchi con tanta ansia e frenesia. "Ti faccio ancora sesso" - hai aggiunto. Mi fai solo pena. Sei solo feccia sul fondo della tua becera e grama esistenza, priva di alcun valore. Non concedo il mio cuore a tutti, come tu il tuo corpo infetto. La mia vita nelle tue lorde mani incerte? Mai più. Impiccati ai lacci della tua inutilità e ciondola ai margini della dignità. Non verrò più a salvarti con la mia felicità.
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