Scritto da © Andrea Occhi - Ven, 05/08/2011 - 12:26
Le giornate scorrono lente e pigre, senza alcun sobbalzo, se non quello causato dalla percezione della tua assenza. Sarò patetico nello scrivere che mi manchi, ma la tua distanza, seppur dolorosa, è stata una mia scelta. Di nessuno ho mai sentito il silenzio, prima. Mi sono sempre bastato, poi sei arrivata tu. Se hai letto sino a questa riga, significa che, almeno, hai aperto la busta. Tutto ciò è davvero comico e la parte più ridicola dello spettacolo sono io. Non è una lettera di scuse, né ha l’ambizione di una lettera d’amore, e neppure vuole riavvolgere il nastro, per modificare ciò che è stato, ma è solo una lettera ad un'amica lontana. Forse una perdita di tempo per chi legge, ma un sollievo per chi scrive. Puoi anche stracciare ora. Ne saresti capace. Conosco il rapporto di totale chiusura con la tua nonna. Voglio solo che tu sappia chi sei per me. Non te l’ho mai detto. Suona molto come il titolo di un romanzo scontato, non solo nel prezzo. Probabilmente, riderai di me con le tue amiche, per la mia ingenua e sensibile debolezza. Sicuramente penserai che dovrei indirizzare altrove questi miei pensieri e li disprezzerai. Consapevole di ciò, proseguo comunque, data la mia testardaggine, pari alla tua. Io sono così.
Rammenti la celeberrima favola dello scorpione e della rana? Lo scorpione deve attraversare un corso d’acqua, ma non è un nuotatore. Allora si rivolge ad una rana e le chiede se può trasportarlo sull’altra sponda. La rana rifiuta il passaggio di cortesia, motivando che lo scorpione l’avrebbe colpita con la coda nel bel mezzo della traversata. Lo scorpione ribatte dicendo che se lo avesse fatto sarebbe annegato. La rana, tranquillizzata dalla risposta, si carica sulle spalle lo scorpione e inizia la traversata. A metà del tragitto, la rana lancia un urlo di dolore e, rivolgendosi allo scorpione, domanda: “Perché l’hai fatto? Perché mi hai punto con la tua coda? Ora moriremo entrambi! Io per il veleno, tu annegato” E lo scorpione: “E’ nella mia natura”. La morale, per me, è che la natura umana è intrisa di stupidità. Se non ci arrecano danno gli altri, ci pensiamo da soli. Sia che siamo rane, sia che siamo scorpioni.
Spero che non troverai privi di significato questi pensieri sparsi. La mia impulsiva immaturità (a quarant’anni suonati!) mi impone di scrivere. A che serve? A te nulla, ma devo lasciare che le mie emozioni escano, per renderle meno dirompenti dentro. La scrittura ha un effetto, per me, catartico. Come una doccia ristoratrice, che non lava via i ricordi, ma addolcisce, attenua il bruciore della malinconia.
Sei una parte importante di me. Volevo che lo sapessi. Tu volevi essere partecipe della mia vita, così mi dicesti una volta. Lo sei. Sei dentro di me. Non ci siamo mai spogliati; mai abbiamo messo a nudo, oltre alla nostra pelle, i nostri sentimenti. Nulla ci siamo detti, ci siamo vissuti, così, senza confidarci cosa provassimo; ci bastava nutrirci l’uno della compagnia dell’altra. Ero ammattito. Non potevamo smettere di baciarci. Tu mi chiamavi "Stupido". Ero ubriaco e prigioniero dei tuoi abbracci. Della tua voglia di me. Non voglio recuperare il nostro rapporto. Tu stessa non lo vuoi. Altre braccia ti stringeranno. Tu sei giovane ed io non più, o, almeno, non così tanto. Io ho tutto da perdere, tu no. Dovrei cancellare diciassette anni della mia vita. Io mi farei molto male, tu no. Tu ti stancheresti presto di me, io no. Io non potrei sostenere i tuoi ritmi di vita. Tu puoi permetterti scelte, percorrere strade diverse e nuove. Io no. Non ho tutto il tempo che hai tu. I cambiamenti, alla mia età, sono più complicati. Come vedi il bilancio è per me, unicamente, negativo. Il mio comportamento è stato, essenzialmente, volto a proteggere me, non a ferire te. Non ho avuto coraggio...forse sì. Come essere impavidi di fronte ad una decisione che a quarant'anni stravolgerebbe la mia vita? Compltamente. Per buttarmi tra le braccia della tua incertezza. Non sono più un ragazzino. Ti ho amata tanto. Lo sai anche tu, perché lo sentivi. Ero felice. Anche tu eri raggiante. Ci siamo divertiti tanto. Sei una persona speciale, anche se penso che, ogni tanto, ti butti via. Come se volessi rimanere nella semplicità estrema, pur non essendo tu una persona semplice. Per questo mi piaceva la tua compagnia. Sei intelligente, arguta e complicata.
Sei arrivata in un momento in cui ero povero di luce. Non avevo una situazione serena in casa. Erano anni che mi sentivo ignorato, non amato. Chi vive con me mi aveva relegato in un angolo. Problemi esterni, non miei, ma che ho vissuto e, tentato di risolvere come miei, avevano aggredito tutto ciò che avevo, sentivo, tutto il mio entusiasmo. Avevano assorbito ogni mio bagliore. E tu, come una stellina, hai attraversato il mio cielo un poco buio e cupo, strappando il nero. Mi hai illuminato. Hai svegliato ciò che dormiva. Prima di te, il lavoro mi bastava per non sentire il mio silenzio, mi riempiva. Poi mi sono riempito di te. Della tua voglia di me. Il nostro primo bacio, un pomeriggio al mare. L’emozione, la passione. Era come volare. Mi avevi restituito le ali che avevo perduto. Avevi acceso la mia polvere pirica, ero, di nuovo, un fuoco d’artificio colorato. I colori erano tuoi, come sempre.
Eri un gioco divertente, all’inizio, come io lo ero per te. Eri una carica di adrenalina pura. Un’amica, un amante, una donna in cui annegare. Pian piano sentivo che il rapporto era in mutazione. Non riuscivo a capire, però, se fossi io, tu, la tua situazione personale, o la nostra situazione ad infondermi tanta gioia e tanta energia e tanta voglia di stare insieme. Ho sempre pensato di essere un vecchio, al tuo fianco; quattordici anni di differenza non sono pochi. Potresti essere mia figlia. A te piaceva esibirmi ai tuoi amici. Io ero sempre restio. Il ciliegio è sempre nei miei pensieri. Che meraviglia! La sensazione di sentire sulla pelle la voglia di mangiarci, senza alcuna remora, solo perché avevamo voglia l’uno dell’altra, sulla terra di un campo in collina. Il mio cuore era nelle tue mani. Le mie risate che riempivano l’aria dopo l’amore. Tu ridevi con me. Fare l'amore con te era davvero strabiliante, come essere su una giostra di colori e sapori. Un viaggio leggero, dolce e delicato. Ti annoieranno queste parole, ma non credo che altri te le abbiano scritte prima. Se mi vuoi bene, come dicevi di volermene, spero che leggerai tutto. Anche solo per mera curiosità. Non attendo risposta. Non ci sono domande.
Improvvisamente, la tua gioia (anche la mia) è stata aggredita, fatta a brandelli. La morte del tuo amato babbo ti ha investita, travolta. Ti sono stato accanto, cercando di darti di me quanto più potessi, per alleviare il dolore che non mostravi. Sapevo che stavi soffrendo e tanto. Io ero lì, con tutto me stesso al tuo fianco. Credo di averti donato quanto più potessi. E così è stato, infatti. Qualcuno, presente alla cerimonia funebre, ha visto nei miei gesti i miei sentimenti e te lo ha riferito. Così mi hai detto tu. Mi sono sentito stringere il cuore, perché qualche settimana prima, con le lacrime appena velate, ti parlavo del mio impegno. Non sono riuscito a mantenerlo, mi spiace. Quando manifestasti il desiderio di regalarmi una cravatta di tuo padre, mi sottrassi perché non mi sentivo degno di tanto onore. Mi sentivo in imbarazzo. Era un dono troppo grande, importante. Ebbi paura.
Ti ricordi, quando, con lo scooter in avaria, ti trainai, io in bici, sotto un sole cocente. La tua pelle sudata…Dio, il solo pensiero mi rende leggero. E poi la colazione e altre dolcezze, dopo un tuo viaggio da sola, in treno, per raggiungermi. Un uccello dispettoso fece bersaglio dei tuoi capelli con una micidiale scarica. Ho il cuore pieno di sentimenti che scorrono violenti. Si abbattono fragorosamente e mi riempiono di gioia e solitudine al tempo stesso. Mi piaci perché siamo così diversi dagli altri, ma così uguali tra noi. Non siamo persone semplici. Abbiamo un sentire e un vivere le emozioni molto più intenso di quanto lasciamo trasparire. Siamo entrambi orgogliosi e cocciuti. Nessuno vuole mai cedere all’altro. Credo per autodifesa e narcisismo. E così giungiamo all’auto distruzione. Come è successo. Sono sparito, me ne sono andato senza una parola, perché non riuscivo più ad essere spensierato. Non ho rimpianti. Avevo percepito, a ragione o a torto, che tu stavi per interrompermi. Mi si sarebbe spezzato davvero il cuore. Così ci ho pensato io a prevenire il doloroso momento. Non mi bastava più quello che c’era, non mi sfamava più. Mi stavo innamorando di te, sentivo che eri così grande dentro, che mi sono spaventato. Sapevo di non essere ricambiato. Che avremmo fatto? Tu sei una donna giovane ed io solo un uomo che non può permettersi ferite.Così ho preferito dissolvermi, senza dirti una parola. Volevo che mi odiassi e disprezzassi, così non ci saremmo più cercati. Così è stato. Tu l’hai definita una bella scusa. Non avrei saputo cosa dirti. Solitamente si lascia qualcuno se non c'è più alcun sentimento ad unirli. In questo caso, dalla mia parte, il legame iniziava a formarsi, così ho preferito soffocarlo prima che crescesse. Se ti avessi aperto il mio cuore, immagino che sarebbe andata così: “Credo di essermi innamorato di te” E tu mi avresti risposto con una bella risata in faccia. No, meglio una disonorevole fuga che una sfacciata onta. Se ti avessi detto la mutazione dei mei sentimenti, tu mi avresti spezzato il cuore, il gioco si sarebbe rotto. Perciò sono sparito. Prima che il tuo coltello mi trafiggesse. Non volevo sanguinare, soffrire. Le ferite alla mia età sono molto più dolorose. Ovviamente, il mio scopo è stato raggiunto a metà. La tua fiamma si è spenta, ma non la mia. Sono innamorato dell’amore. Un romantico suicida e testardo.
In questi mesi trascorsi non ti ho mai detto quanto mi mancasse la tua compagnia. Non credo di non esserti mancato. Non ti ho cercato, neppure per chiederti come stavi ovvero se avessi bisogno di me. Né tu me lo hai chiesto, pur sapendo che ti avrei aiutata. So che sei stata male e che io non c’ero. Oramai è tutto superato, almeno per te. A me, invece, manca la tua allegria. Non voglio rimanere ancorato al passato. E’ impossibile. Sarebbe un suicidio. Tutto, banalmente, scorre in un continuo e perenne divenire. Eraclito, un filosofo presocratico, disse “Tutto scorre, non ci si può immergere due volte nello stesso fiume, perché né l'uomo né le acque del fiume sono gli stessi”. Pensiero semplice, ma quanto mai profondo come l’acqua che scorre e ci attraversa. Se sarai giunta sino a qui, a sopportare la lettura, avrai capito che le emozioni che vivevano in me e ho mutato in lettere all’inizio dello scritto, sono passate, trascorse, dissolte. Ciò non significa che esse non siano mai esistite. Sono semplicemente mutate in altre. Se rileggessi (il congiuntivo può avere come soggetti sia la prima sia la seconda persona singolare) queste righe domani, sembrerebbero gli sciocchi pensieri di un adolescente. L’ultima volta che ci incontrammo, sul tuo posto di lavoro, mi domandasti se mi facevi ancora effetto. Io mentii. Risposi di no. Dopo mesi di silenzio, in preda ad uno dei miei vacui vaneggiamenti, ti ho riempito di sms dagli inutili contenuti. Le incomprensioni e le pugnalate hanno definitivamente ucciso, anche un probabile rapporto di educata amicizia, che forse, si sarebbe potuto salvare. Sono sempre più convinto che coloro che si “vogliono bene” nel senso più elevato dell’espressione, riescano a farsi male più di acerrimi nemici. Quando “si rompono i bambocci”, come si dice, non c’è collante che tenga. Anche tu, comunque, dissolta come nebbia al vento. Perciò non comportarti come l'unica persona offesa. Tu scrivesti: “Ci hai rimesso solo tu, te ne accorgerai” – e - “Hai perso il treno”. Se sono stato l'unico a rimetterci, allora la mia scelta è stata giusta. L'affermazione e la previsione del mio futuro dimostrano la tua indifferenza nei miei confronti. Poi, il treno...sei arrivata alla banalità pura, senza offesa. Non ti sei mai fermata nè ti volevi fermare. Mai lo hai detto. Non avevamo mai parlato di partire insieme. Illusione. Tu, invece, hai perso me. Non il treno. Me. E questa non è un’illusione. Lo stupido che ti faceva ridere e sentire importante. Non potevi essere innamorata di me. Non credo che le donne impieghino così poco tempo per non amare. Le mie risposte non sono state da meno. Non le ricordo neppure perché mi uscirono così, senza pensare. Forse solo per ferirti, immotivatamente. Solo risentimento reciproco, culminato in una tua esclamazione, peraltro a te non consona (non pronunci quasi mai termini volgari), quando ti ho detto che non avrei stampato il ricorso. Questo dopo le tue risa, in risposta, alla comunicazione della mia depressione. Quando ti dissi che avevo bisogno di aiuto. Mi rispondesti di cercarlo altrove perchè ti avevo fatto capire che non avevo bisogno di te. Ti ho telefonato e tu con sms mi hai intimato di lasciarti in pace. E così sarà. Le taglienti frasi che ci scambiammo possono avere un significato per me ed uno per te. Potremmo essere entrambi nella stessa situazione da te descritta, così asciuttamente. Credo che entrambi abbiamo perso qualcosa. Abbiamo lasciato morire qualcosa di bello: la nostra amicizia. Non comprendo, però, il tuo risentimento nei miei confronti, dato che anche tu sei scomparsa. Sapevi che sarei capitolato alla tua prima incursione. Un fiume ha sempre due argini. Credo che fossimo arrivati alla nostra parola fine. In ogni caso, nessuno dei due ha tentato, quantomeno, di riavvicinarsi all'altro.
Non capisco, però, perché ti debba arrabbiare così tanto, quando dico che sono felice per te. La mia solita incapacità di comprendere. Quando ti chiesi se fossi felice, tu rispondesti: “Ora, sì”. Bene, perché non potrei essere contento per questo? Come potrei non volerla, la tua felicità? Sei stata importante nella mia vita. Non sono scomparso nel silenzio per fare felice te, ma per proteggere me. Non è stato un atteggiamento paternalistico, non volevo farti sentire inutile o inferiore. Non sono superiore a te. Non era questa la mia intenzione. Ora non hai che risentimento o, meglio, indifferenza nei miei confronti e ciò migliora la situazione. Io, invece, ti porto dentro di me, come gioia preziosa. Una parte del mio cuore ti è rimasta appiccicata addosso, anche se non ti importa e non la percepisci. Ho eliminato il tuo numero dal telefono, per evitare la tentazione di chiamarti, e il tuo indirizzo di posta per evitare di inviarti i miei scritti. Così, quando sento e sentirò la tua mancanza, non ti importunerò con sciocchi sms o vane mail.
Il nuovo lavoro ha un poco fiaccato il mio spirito e avrei dovuto percepirlo prima di arrivare al tracollo. Nessuna gloria. Come dicevi tu: un numero buttato in mezzo al nulla. Tu che amavi la mia intelligenza. Che sapevi quanto fossi stimato tra gli avvocati. Sapevo che non era ciò che mi si addiceva, come lo sapevi tu, ma non potevo più continuare così. Ora, però, non mi sento più io. La depressione è un mostro orrbile. Sono depresso per totale mancanza di stimoli. Io, che sono in perenne movimento, mi sento sempre insoddisfatto, sarà la mia natura, e devo sempre avere un pensiero nuovo al minuto, un progetto che mi occupi e mi stimoli, ora mi sento come bussola senza ago. Inutile. Chi è causa del suo male... Dentro di me c’è un vuoto che sta crescendo, come una palla in espansione vorace delle mie emozioni che le divora prima ancora che sorgano ed io le percepisca. Un suono silenzioso, un ronzio fastidioso che mi impedisce di sentire la mia voce. Per ora mi sto curando con prodotti naturali, se non bastassero, cercherò rimedi più incisivi e mi rivolgerò ad un medico specializzato. Non voglio tediarti con le mie paranoie esistenziali, tu, in quest’ultimo anno, hai sofferto molto più di me. Ed ora che sei felice non voglio importunarti. Scrivere serve a me. Non sono uno scrittore, traccio solo lettere e parole su un foglio. Ho necessità di scrivere. Dopo mi sento sollevato. La noia e l'abitudine le combatto scrivendo, non giocando con le persone.
Voglio solo che tu sappia che sei una preziosa parte di me. Attingerò dai ricordi l’episodio che più mi piace. Lascerò che il gomitolo si srotoli osservando ogni immagine, rivivendone le emozioni. Perché le rivivo, come se fossero reali, anche fisicamente. Non mi importa cosa tu senti per me o cosa sono io per te. E’ il mio sentirti che mi piace. Che mi rende vivo. Io, senza falsa modestia, mi reputo sopra la media, sia come intelligenza, sia come percezione della realtà, sia come cultura, sia come interessi. Diversamente non ti sarei piaciuto. A volte vorrei avere il potere di trasformarmi e diventare ovvio e banale, come il classico "uomo qualunque", dalla vita omologata e impersonale. Al solo fine di non subire così le emozioni. Sono capace di grandi sentimenti, anche se, in questa fase della mia vita mi pare di essermi perduto in un labirinto, in cui l’uscita è davvero arcana.
Ora, questa sorta di depressione, forse la mia vera natura. Il lavoro meno intenso l'ha liberata, le ha aperto le porte. Avevo colmato le mie buche interiori di terra, sigillandole con lastre di marmo, ma un enorme verme ha distrutto la quiete. Il mio sentire la vita, ora, è questo, come lo vedi su questo foglio. Lo sai che non sono normale. Un vascello tra onde che cerca di non sprofondare negli abissi del proprio sentire. Vorrei essere sordo. La vena di follia che attraversa la mia famiglia mi è stata trasmessa unitamente al cognome. Ti ricordi quando ti parlavo del mio lato oscuro? Bene, la mia oscurità è talmente profonda che nel buio non immagino cosa possa esserci, ne ho una grande paura. In questi ultimi giorni ho parlato di te con una cara amica, una sorella. Mi sono confidato e le ho raccontato tutto ciò che mi sta capitando. Le ho parlato anche di te. Mi ha detto che dovremmo incontrarci per parlare a quattrocchi, perché crede che tu sia un sintomo del mio confuso scoramento, ma non la causa. E’ preoccupata per me. Crede che ci sia altro che mi disturba, che trae origine non dai sentimenti, non dal lavoro. Queste le sue parole: “Io vorrei capire cosa ti angustia nel profondo e vorrei che ci riflettessi anche tu. So che lo fai già perchè sei una persona capace di un pensiero profondo e sei sensibile. Lo sei sempre stato.” E dopo altre affettuose parole ha scritto: “Spero che questo ti aiuti un po’ a pensare che te la sei cavata sempre più egregiamente di molti altri!”.
Ritroverò il mio antico splendore, spero senza troppi sacrifici. Il piccolo cavaliere tornerà luminoso più che mai. Ho un gran cervello, spalle larghe e profondità di sentimenti. Non male per un vecchietto!
Ogni volta che ne sentirò la necessità scriverò qualche riga su questo foglio, che, forse, mai ti consegnerò. Tutto scorre, Piccola. Anche tu. Dentro di me.
Rammenti la celeberrima favola dello scorpione e della rana? Lo scorpione deve attraversare un corso d’acqua, ma non è un nuotatore. Allora si rivolge ad una rana e le chiede se può trasportarlo sull’altra sponda. La rana rifiuta il passaggio di cortesia, motivando che lo scorpione l’avrebbe colpita con la coda nel bel mezzo della traversata. Lo scorpione ribatte dicendo che se lo avesse fatto sarebbe annegato. La rana, tranquillizzata dalla risposta, si carica sulle spalle lo scorpione e inizia la traversata. A metà del tragitto, la rana lancia un urlo di dolore e, rivolgendosi allo scorpione, domanda: “Perché l’hai fatto? Perché mi hai punto con la tua coda? Ora moriremo entrambi! Io per il veleno, tu annegato” E lo scorpione: “E’ nella mia natura”. La morale, per me, è che la natura umana è intrisa di stupidità. Se non ci arrecano danno gli altri, ci pensiamo da soli. Sia che siamo rane, sia che siamo scorpioni.
Spero che non troverai privi di significato questi pensieri sparsi. La mia impulsiva immaturità (a quarant’anni suonati!) mi impone di scrivere. A che serve? A te nulla, ma devo lasciare che le mie emozioni escano, per renderle meno dirompenti dentro. La scrittura ha un effetto, per me, catartico. Come una doccia ristoratrice, che non lava via i ricordi, ma addolcisce, attenua il bruciore della malinconia.
Sei una parte importante di me. Volevo che lo sapessi. Tu volevi essere partecipe della mia vita, così mi dicesti una volta. Lo sei. Sei dentro di me. Non ci siamo mai spogliati; mai abbiamo messo a nudo, oltre alla nostra pelle, i nostri sentimenti. Nulla ci siamo detti, ci siamo vissuti, così, senza confidarci cosa provassimo; ci bastava nutrirci l’uno della compagnia dell’altra. Ero ammattito. Non potevamo smettere di baciarci. Tu mi chiamavi "Stupido". Ero ubriaco e prigioniero dei tuoi abbracci. Della tua voglia di me. Non voglio recuperare il nostro rapporto. Tu stessa non lo vuoi. Altre braccia ti stringeranno. Tu sei giovane ed io non più, o, almeno, non così tanto. Io ho tutto da perdere, tu no. Dovrei cancellare diciassette anni della mia vita. Io mi farei molto male, tu no. Tu ti stancheresti presto di me, io no. Io non potrei sostenere i tuoi ritmi di vita. Tu puoi permetterti scelte, percorrere strade diverse e nuove. Io no. Non ho tutto il tempo che hai tu. I cambiamenti, alla mia età, sono più complicati. Come vedi il bilancio è per me, unicamente, negativo. Il mio comportamento è stato, essenzialmente, volto a proteggere me, non a ferire te. Non ho avuto coraggio...forse sì. Come essere impavidi di fronte ad una decisione che a quarant'anni stravolgerebbe la mia vita? Compltamente. Per buttarmi tra le braccia della tua incertezza. Non sono più un ragazzino. Ti ho amata tanto. Lo sai anche tu, perché lo sentivi. Ero felice. Anche tu eri raggiante. Ci siamo divertiti tanto. Sei una persona speciale, anche se penso che, ogni tanto, ti butti via. Come se volessi rimanere nella semplicità estrema, pur non essendo tu una persona semplice. Per questo mi piaceva la tua compagnia. Sei intelligente, arguta e complicata.
Sei arrivata in un momento in cui ero povero di luce. Non avevo una situazione serena in casa. Erano anni che mi sentivo ignorato, non amato. Chi vive con me mi aveva relegato in un angolo. Problemi esterni, non miei, ma che ho vissuto e, tentato di risolvere come miei, avevano aggredito tutto ciò che avevo, sentivo, tutto il mio entusiasmo. Avevano assorbito ogni mio bagliore. E tu, come una stellina, hai attraversato il mio cielo un poco buio e cupo, strappando il nero. Mi hai illuminato. Hai svegliato ciò che dormiva. Prima di te, il lavoro mi bastava per non sentire il mio silenzio, mi riempiva. Poi mi sono riempito di te. Della tua voglia di me. Il nostro primo bacio, un pomeriggio al mare. L’emozione, la passione. Era come volare. Mi avevi restituito le ali che avevo perduto. Avevi acceso la mia polvere pirica, ero, di nuovo, un fuoco d’artificio colorato. I colori erano tuoi, come sempre.
Eri un gioco divertente, all’inizio, come io lo ero per te. Eri una carica di adrenalina pura. Un’amica, un amante, una donna in cui annegare. Pian piano sentivo che il rapporto era in mutazione. Non riuscivo a capire, però, se fossi io, tu, la tua situazione personale, o la nostra situazione ad infondermi tanta gioia e tanta energia e tanta voglia di stare insieme. Ho sempre pensato di essere un vecchio, al tuo fianco; quattordici anni di differenza non sono pochi. Potresti essere mia figlia. A te piaceva esibirmi ai tuoi amici. Io ero sempre restio. Il ciliegio è sempre nei miei pensieri. Che meraviglia! La sensazione di sentire sulla pelle la voglia di mangiarci, senza alcuna remora, solo perché avevamo voglia l’uno dell’altra, sulla terra di un campo in collina. Il mio cuore era nelle tue mani. Le mie risate che riempivano l’aria dopo l’amore. Tu ridevi con me. Fare l'amore con te era davvero strabiliante, come essere su una giostra di colori e sapori. Un viaggio leggero, dolce e delicato. Ti annoieranno queste parole, ma non credo che altri te le abbiano scritte prima. Se mi vuoi bene, come dicevi di volermene, spero che leggerai tutto. Anche solo per mera curiosità. Non attendo risposta. Non ci sono domande.
Improvvisamente, la tua gioia (anche la mia) è stata aggredita, fatta a brandelli. La morte del tuo amato babbo ti ha investita, travolta. Ti sono stato accanto, cercando di darti di me quanto più potessi, per alleviare il dolore che non mostravi. Sapevo che stavi soffrendo e tanto. Io ero lì, con tutto me stesso al tuo fianco. Credo di averti donato quanto più potessi. E così è stato, infatti. Qualcuno, presente alla cerimonia funebre, ha visto nei miei gesti i miei sentimenti e te lo ha riferito. Così mi hai detto tu. Mi sono sentito stringere il cuore, perché qualche settimana prima, con le lacrime appena velate, ti parlavo del mio impegno. Non sono riuscito a mantenerlo, mi spiace. Quando manifestasti il desiderio di regalarmi una cravatta di tuo padre, mi sottrassi perché non mi sentivo degno di tanto onore. Mi sentivo in imbarazzo. Era un dono troppo grande, importante. Ebbi paura.
Ti ricordi, quando, con lo scooter in avaria, ti trainai, io in bici, sotto un sole cocente. La tua pelle sudata…Dio, il solo pensiero mi rende leggero. E poi la colazione e altre dolcezze, dopo un tuo viaggio da sola, in treno, per raggiungermi. Un uccello dispettoso fece bersaglio dei tuoi capelli con una micidiale scarica. Ho il cuore pieno di sentimenti che scorrono violenti. Si abbattono fragorosamente e mi riempiono di gioia e solitudine al tempo stesso. Mi piaci perché siamo così diversi dagli altri, ma così uguali tra noi. Non siamo persone semplici. Abbiamo un sentire e un vivere le emozioni molto più intenso di quanto lasciamo trasparire. Siamo entrambi orgogliosi e cocciuti. Nessuno vuole mai cedere all’altro. Credo per autodifesa e narcisismo. E così giungiamo all’auto distruzione. Come è successo. Sono sparito, me ne sono andato senza una parola, perché non riuscivo più ad essere spensierato. Non ho rimpianti. Avevo percepito, a ragione o a torto, che tu stavi per interrompermi. Mi si sarebbe spezzato davvero il cuore. Così ci ho pensato io a prevenire il doloroso momento. Non mi bastava più quello che c’era, non mi sfamava più. Mi stavo innamorando di te, sentivo che eri così grande dentro, che mi sono spaventato. Sapevo di non essere ricambiato. Che avremmo fatto? Tu sei una donna giovane ed io solo un uomo che non può permettersi ferite.Così ho preferito dissolvermi, senza dirti una parola. Volevo che mi odiassi e disprezzassi, così non ci saremmo più cercati. Così è stato. Tu l’hai definita una bella scusa. Non avrei saputo cosa dirti. Solitamente si lascia qualcuno se non c'è più alcun sentimento ad unirli. In questo caso, dalla mia parte, il legame iniziava a formarsi, così ho preferito soffocarlo prima che crescesse. Se ti avessi aperto il mio cuore, immagino che sarebbe andata così: “Credo di essermi innamorato di te” E tu mi avresti risposto con una bella risata in faccia. No, meglio una disonorevole fuga che una sfacciata onta. Se ti avessi detto la mutazione dei mei sentimenti, tu mi avresti spezzato il cuore, il gioco si sarebbe rotto. Perciò sono sparito. Prima che il tuo coltello mi trafiggesse. Non volevo sanguinare, soffrire. Le ferite alla mia età sono molto più dolorose. Ovviamente, il mio scopo è stato raggiunto a metà. La tua fiamma si è spenta, ma non la mia. Sono innamorato dell’amore. Un romantico suicida e testardo.
In questi mesi trascorsi non ti ho mai detto quanto mi mancasse la tua compagnia. Non credo di non esserti mancato. Non ti ho cercato, neppure per chiederti come stavi ovvero se avessi bisogno di me. Né tu me lo hai chiesto, pur sapendo che ti avrei aiutata. So che sei stata male e che io non c’ero. Oramai è tutto superato, almeno per te. A me, invece, manca la tua allegria. Non voglio rimanere ancorato al passato. E’ impossibile. Sarebbe un suicidio. Tutto, banalmente, scorre in un continuo e perenne divenire. Eraclito, un filosofo presocratico, disse “Tutto scorre, non ci si può immergere due volte nello stesso fiume, perché né l'uomo né le acque del fiume sono gli stessi”. Pensiero semplice, ma quanto mai profondo come l’acqua che scorre e ci attraversa. Se sarai giunta sino a qui, a sopportare la lettura, avrai capito che le emozioni che vivevano in me e ho mutato in lettere all’inizio dello scritto, sono passate, trascorse, dissolte. Ciò non significa che esse non siano mai esistite. Sono semplicemente mutate in altre. Se rileggessi (il congiuntivo può avere come soggetti sia la prima sia la seconda persona singolare) queste righe domani, sembrerebbero gli sciocchi pensieri di un adolescente. L’ultima volta che ci incontrammo, sul tuo posto di lavoro, mi domandasti se mi facevi ancora effetto. Io mentii. Risposi di no. Dopo mesi di silenzio, in preda ad uno dei miei vacui vaneggiamenti, ti ho riempito di sms dagli inutili contenuti. Le incomprensioni e le pugnalate hanno definitivamente ucciso, anche un probabile rapporto di educata amicizia, che forse, si sarebbe potuto salvare. Sono sempre più convinto che coloro che si “vogliono bene” nel senso più elevato dell’espressione, riescano a farsi male più di acerrimi nemici. Quando “si rompono i bambocci”, come si dice, non c’è collante che tenga. Anche tu, comunque, dissolta come nebbia al vento. Perciò non comportarti come l'unica persona offesa. Tu scrivesti: “Ci hai rimesso solo tu, te ne accorgerai” – e - “Hai perso il treno”. Se sono stato l'unico a rimetterci, allora la mia scelta è stata giusta. L'affermazione e la previsione del mio futuro dimostrano la tua indifferenza nei miei confronti. Poi, il treno...sei arrivata alla banalità pura, senza offesa. Non ti sei mai fermata nè ti volevi fermare. Mai lo hai detto. Non avevamo mai parlato di partire insieme. Illusione. Tu, invece, hai perso me. Non il treno. Me. E questa non è un’illusione. Lo stupido che ti faceva ridere e sentire importante. Non potevi essere innamorata di me. Non credo che le donne impieghino così poco tempo per non amare. Le mie risposte non sono state da meno. Non le ricordo neppure perché mi uscirono così, senza pensare. Forse solo per ferirti, immotivatamente. Solo risentimento reciproco, culminato in una tua esclamazione, peraltro a te non consona (non pronunci quasi mai termini volgari), quando ti ho detto che non avrei stampato il ricorso. Questo dopo le tue risa, in risposta, alla comunicazione della mia depressione. Quando ti dissi che avevo bisogno di aiuto. Mi rispondesti di cercarlo altrove perchè ti avevo fatto capire che non avevo bisogno di te. Ti ho telefonato e tu con sms mi hai intimato di lasciarti in pace. E così sarà. Le taglienti frasi che ci scambiammo possono avere un significato per me ed uno per te. Potremmo essere entrambi nella stessa situazione da te descritta, così asciuttamente. Credo che entrambi abbiamo perso qualcosa. Abbiamo lasciato morire qualcosa di bello: la nostra amicizia. Non comprendo, però, il tuo risentimento nei miei confronti, dato che anche tu sei scomparsa. Sapevi che sarei capitolato alla tua prima incursione. Un fiume ha sempre due argini. Credo che fossimo arrivati alla nostra parola fine. In ogni caso, nessuno dei due ha tentato, quantomeno, di riavvicinarsi all'altro.
Non capisco, però, perché ti debba arrabbiare così tanto, quando dico che sono felice per te. La mia solita incapacità di comprendere. Quando ti chiesi se fossi felice, tu rispondesti: “Ora, sì”. Bene, perché non potrei essere contento per questo? Come potrei non volerla, la tua felicità? Sei stata importante nella mia vita. Non sono scomparso nel silenzio per fare felice te, ma per proteggere me. Non è stato un atteggiamento paternalistico, non volevo farti sentire inutile o inferiore. Non sono superiore a te. Non era questa la mia intenzione. Ora non hai che risentimento o, meglio, indifferenza nei miei confronti e ciò migliora la situazione. Io, invece, ti porto dentro di me, come gioia preziosa. Una parte del mio cuore ti è rimasta appiccicata addosso, anche se non ti importa e non la percepisci. Ho eliminato il tuo numero dal telefono, per evitare la tentazione di chiamarti, e il tuo indirizzo di posta per evitare di inviarti i miei scritti. Così, quando sento e sentirò la tua mancanza, non ti importunerò con sciocchi sms o vane mail.
Il nuovo lavoro ha un poco fiaccato il mio spirito e avrei dovuto percepirlo prima di arrivare al tracollo. Nessuna gloria. Come dicevi tu: un numero buttato in mezzo al nulla. Tu che amavi la mia intelligenza. Che sapevi quanto fossi stimato tra gli avvocati. Sapevo che non era ciò che mi si addiceva, come lo sapevi tu, ma non potevo più continuare così. Ora, però, non mi sento più io. La depressione è un mostro orrbile. Sono depresso per totale mancanza di stimoli. Io, che sono in perenne movimento, mi sento sempre insoddisfatto, sarà la mia natura, e devo sempre avere un pensiero nuovo al minuto, un progetto che mi occupi e mi stimoli, ora mi sento come bussola senza ago. Inutile. Chi è causa del suo male... Dentro di me c’è un vuoto che sta crescendo, come una palla in espansione vorace delle mie emozioni che le divora prima ancora che sorgano ed io le percepisca. Un suono silenzioso, un ronzio fastidioso che mi impedisce di sentire la mia voce. Per ora mi sto curando con prodotti naturali, se non bastassero, cercherò rimedi più incisivi e mi rivolgerò ad un medico specializzato. Non voglio tediarti con le mie paranoie esistenziali, tu, in quest’ultimo anno, hai sofferto molto più di me. Ed ora che sei felice non voglio importunarti. Scrivere serve a me. Non sono uno scrittore, traccio solo lettere e parole su un foglio. Ho necessità di scrivere. Dopo mi sento sollevato. La noia e l'abitudine le combatto scrivendo, non giocando con le persone.
Voglio solo che tu sappia che sei una preziosa parte di me. Attingerò dai ricordi l’episodio che più mi piace. Lascerò che il gomitolo si srotoli osservando ogni immagine, rivivendone le emozioni. Perché le rivivo, come se fossero reali, anche fisicamente. Non mi importa cosa tu senti per me o cosa sono io per te. E’ il mio sentirti che mi piace. Che mi rende vivo. Io, senza falsa modestia, mi reputo sopra la media, sia come intelligenza, sia come percezione della realtà, sia come cultura, sia come interessi. Diversamente non ti sarei piaciuto. A volte vorrei avere il potere di trasformarmi e diventare ovvio e banale, come il classico "uomo qualunque", dalla vita omologata e impersonale. Al solo fine di non subire così le emozioni. Sono capace di grandi sentimenti, anche se, in questa fase della mia vita mi pare di essermi perduto in un labirinto, in cui l’uscita è davvero arcana.
Ora, questa sorta di depressione, forse la mia vera natura. Il lavoro meno intenso l'ha liberata, le ha aperto le porte. Avevo colmato le mie buche interiori di terra, sigillandole con lastre di marmo, ma un enorme verme ha distrutto la quiete. Il mio sentire la vita, ora, è questo, come lo vedi su questo foglio. Lo sai che non sono normale. Un vascello tra onde che cerca di non sprofondare negli abissi del proprio sentire. Vorrei essere sordo. La vena di follia che attraversa la mia famiglia mi è stata trasmessa unitamente al cognome. Ti ricordi quando ti parlavo del mio lato oscuro? Bene, la mia oscurità è talmente profonda che nel buio non immagino cosa possa esserci, ne ho una grande paura. In questi ultimi giorni ho parlato di te con una cara amica, una sorella. Mi sono confidato e le ho raccontato tutto ciò che mi sta capitando. Le ho parlato anche di te. Mi ha detto che dovremmo incontrarci per parlare a quattrocchi, perché crede che tu sia un sintomo del mio confuso scoramento, ma non la causa. E’ preoccupata per me. Crede che ci sia altro che mi disturba, che trae origine non dai sentimenti, non dal lavoro. Queste le sue parole: “Io vorrei capire cosa ti angustia nel profondo e vorrei che ci riflettessi anche tu. So che lo fai già perchè sei una persona capace di un pensiero profondo e sei sensibile. Lo sei sempre stato.” E dopo altre affettuose parole ha scritto: “Spero che questo ti aiuti un po’ a pensare che te la sei cavata sempre più egregiamente di molti altri!”.
Ritroverò il mio antico splendore, spero senza troppi sacrifici. Il piccolo cavaliere tornerà luminoso più che mai. Ho un gran cervello, spalle larghe e profondità di sentimenti. Non male per un vecchietto!
Ogni volta che ne sentirò la necessità scriverò qualche riga su questo foglio, che, forse, mai ti consegnerò. Tutto scorre, Piccola. Anche tu. Dentro di me.
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