Scritto da © blinkeye62 - Mar, 02/08/2011 - 09:09
Quest’oggi, il vostro Franz, all’interno di tale consesso, ha deciso di proporvi una chicca letteraria. Desidero tratteggiare uno dei tanti lati sconosciuti di uno degli autori più fecondi ed eclettici del nostro panorama letterario: Giacomo Leopardi. Qui, in questo spazio, non mi dilungherò intorno agli argomenti che si possono rintracciare su qualsiasi manuale di liceo, ma piuttosto su un aspetto interessante del carattere leopardiano, sul quale poco si è dibattuto. Prima d’entrare nel vivo della questione, desidero ricordare che il Recanatese, pur avendo costrizioni che gli impedivano di muoversi liberamente, possedeva uno spirito pioneristico spiccato. Ed è proprio all’interno di tale sua pulsione che si svilupperà questo scritto. Il nostro inimitabile poeta visitò alcune città italiane, offrendone tratteggi lucidi e spesso sorprendenti. Alternò pareri sferzanti a momenti di elevata commozione mostrando quasi sempre un senso di spaesamento. Entriamo ora nello specifico. E’ opinione comune ritenere il Leopardi come un recluso, come un uomo sedentario, come un artista che non possedeva il desiderio di viaggiare…Ebbene, era tutt’altro che pigro, pantofolaio e casalingo, egli visitò gran parte della penisola sostando in quelle città che, con l’eccezione di Venezia, costituivano le stazioni dei viaggiatori; il riferimento è esplicito a Goethe e a Stendhal. S’intuisce subito che il clima di quel periodo è in un certo senso europeistico, in cui gli artisti si spostano e colgono emozioni dagli spostamenti, e anche il Leopardi ne fu inevitabilmente contagiato. Di tali città ci ha lasciato prospettive di una forza penetrante, ove l’emozione si carica di una positività che sorprende ancora adesso. Ad esempio, in una lettera scritta alla sorella Paolina, scriveva: “In certe passeggiate solitarie che vo facendo per queste campagne bellissime, non cerco altro che rimembranze di Recanati” e aggiunge ”Qualche giorno fa, passeggiando per Bologna solo vidi scritto in una cantonata Via Remorsella. Mi ricordai d’Angelina e del numero 488, che tu mi scrivesti in una cartuccia la sera avanti la mia partenza. Andai, trovai Angelina, che sentendo ch’io era Leopardi, si fece rossa come la Luna quando s’alza”. In queste parole s’alza un fervore punteggiato di malinconia, quasi a dire che l’attaccamento della città natale non può essere in alcun modo dimenticato, seppur si gusta al contempo la necessità di evadere… Di ben alto tenore le parole che ha usato nello Zibaldone per descrivere Firenze (…) Il che è ben ragionevole in quella sporchissima e fetidissima città, per li cui amabili cittadini ogni luogo, nascosto o patente, è comodo e opportuno per li loro bisogni, e soprattutto ogni cominciamento o entrata di viottolo o di via (due cose poco diverse in Firenze): onde nessun luogo è sicuro da tali profanazioni senza tali ripari ed antemurali, e conviene moltiplicarli senza fine. Non entrerei però garante della validità di siffatti ripari per l’effetto desiderato, né in Firenze né altrove (Pisa. 22 novembre. 1827).(…). Parole forti, dure e persine aggressive se paragonate invece all’estasi di Henry James [ 1843 – 1916 ] di fronte alla città gigliata. Ma non ci si deve meravigliare è il Leopardi. E ancora più insensibile quando si reca dal Vieusseux e, attraversando i viottoli tangenti al Mercato Vecchio, il suo umore si adombra e abbassa gli occhi in segno di delusione. Poi, sempre a Firenze, come non ricordare quel suo lamentarsi di alcuni malesseri agli occhi e al capo, che lui paragona alla morte, un’immagine che il poeta sente addosso, gli pare addirittura che la signora in nero s’acquatti dietro ad ogni angolo pronto a ghermirlo. Mentre il ritratto che propone di Bologna è più smorzato, lievemente piacevole, quasi fosse un padre che rimprovera il figlio amorevolmente…Della “dotta” apprezza l’atmosfera di calda umanità che regna nel borgo in contrapposizione allo spaesamento della città, dove la gente ignora quella bontà di cuore che in quelle strade si trova…Nell’elogio della città emiliana il Leopardi lascia trapelare la nostalgia per un altrove desiderato, è evidente un un moto laconico, ove le qualità letterarie leopardiane s’intuiscono come un soffio sottile. Per Leopardi Roma resta un luogo non simpatico, anzi, si può affermare con certezza, gli è molto estranea per l’immensità dei palazzi e per i tanti spazi gettati fra gli uomini. Con il suo solito cipiglio espressivo descrive la città come un enorme scacchiera su cui ci si muove come piccole pedine, si sente fuori posto in tutta quella confusione, in tutto quel andirivieni. Solo a Pisa l’autore delle Operette si sente a suo agio, perché ciò che l’attrae è la realtà urbana che non distrae e, al contempo, non opprime…In queste poche righe, ho voluto presentarvi un Leopardi inconsueto, un artista che riesce ad essere se stesso persino nella quotidianità. La sua forza sta nel modo in cui s’approccia alla vita, vita che per certi aspetti gli è ostile, contraria e avversa, ma nonostante ciò il suo genio analitico si apre alle esperienze, qualsiasi esse siano…Grande Leopardi…
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