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Nel Tritacarne

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Per i non addetti al quotidiano ciclo di percorrenze orarie ed antiorarie sulla più grande rotatoria del mondo (l’immondo e strategico Grande Raccordo Anulare di Roma), è bene specificare subito cosa, per i motociclisti, si intenda con “Tritacarne”.
Per raggiungere la Consolare A dalla Consolare B mediante l’infrastruttura del GRA, il motociclista, nelle ore di punta, può decidere se partire ed arrivare sano (il più delle volte) alla Consolare B o rischiare di non arrivarci per nulla ed essere portato al più vicino ospedale, al suono acido dell’autoambulanza e lui ridotto più o meno a poltiglia  (gli infermieri più cinici spesso dicono “Oh, annamo che ce tocca raccoje artro ragù oggi..”). 
Ragù.
 
L’arrivare sano significa percorre illegalmente la corsia di emergenza con occhio vigile e attento.
 
L’arrivare all’ospedale significa infilarsi nell’entropico caos delle tre corsie preposte alla marcia legale, ovvero, infilarsi nel Tritacarne.
 
Negli anni ho visto scene raccapriccianti, che evito di descrivere per non rischiare di macchiare il foglio o peggio, i vostri vestiti.
Il problema di ogni mattina per gli improvvisati centauri romani è mettersi di fronte alle seguenti opzioni:
1.    Non ci vado proprio
2.    Arrivo in ritardo
3.    Arrivo in orario ma rischio dolorosa multa e punti patente
4.    Arrivo (forse) in orario ma rischio ospedale e in alcuni casi, la vita.
L’opzione 1 a volte ce la si riesce a regalare telefonando all’ultimo ed inventandosi crisi gastrointestinali sempre vendibili ma ormai inflazionate e poco credibili.
L’opzione 2 prevede l’accesso al Tritacarne, ma transitando unicamente su corsia veicoli lenti perennemente in coda e arrivo quando posso e come posso. Tale ipotesi è spesso scartata perché è ridicolo vedere un motociclista in coda dietro ad un pullman o camion che sputano fumo nero, mentre cerca di convincersi che è una cura miracolosa di aerosol a base di nafta.
L’opzione 3 si riferisce ovviamente all’utilizzo improprio della corsia di emergenza.
L’opzione 4 è l’oggetto del racconto di cui a seguire (quanto sopra, fino ad ora, era solo premessa)
 
 
INIZIO
 
Quella mattina, mi ero alzato ancora strafatto di birra con retrogusto di kebab dai contenuti non ben identificati (me ne ero sparati quattro durante la nottata di bagordi, e in effetti troppi sapori mischiati non mi permettevano di capire che diavolo stessi masticando, forse anche il tovagliolo inzuppato), era decisamente tardi e facevo decisamente schifo. Saltai mentalmente e  velocemente le opzioni 1, 2 e 4 e mi trovai dopo pochi minuti a sfrecciare in moto sull’amata e libera corsia di emergenza.
 
Fu subito chiaro che quella era la giornata “NO” per eccellenza. Ero ancora intronato, umore grigio topo, un caos assoluto e, debitamente nascosta dietro l’ansa di una piazzola, la pattuglia dei carabinieri che attendeva solamente il passaggio del sottoscritto.
Inutili le mie rimostranze, inutile l’esposizione delle mie teorie trasportistiche assolutamente inconfutabili, quali minor tempo di percorrenza = P.I.L. in aumento, emissioni di monossido di carbonio inferiori, sicurezza per la mia salute ed incolumità con risparmi sull’assistenza sanitaria. Insomma, una veloce analisi costi benefici per giustificare il transito illegale sulla corsia di emergenza.
 
Non servì a nulla, principalmente perché il brigadiere, credo, non capì una parola di quello che stavo dicendo. Mi resi conto che a malapena era riuscito a stendere il verbale, mi stese pure 5 punti sulla patente e una cifra che mi sarei bevuto invece volentieri con la barista disinibita del bar di fronte l’ufficio (adoro le bariste tettone disinibite).
 
La cosa peggiore fu che per proseguire verso l’ufficio (il ritardo stava diventando imbarazzante) io dissi ai carabinieri in divisa che ormai, da portatore sano di multa, avrei a questo punto proseguito utilizzando sempre la corsia di emergenza. I carabinieri in divisa la presero male intimandomi di infilarmi nel tritacarne altrimenti quel giorno in ufficio non ci sarei arrivano né presto né in ritardo, e sicuramente senza la mia moto.
 
Era l'opzione 4, me la stavano diligentemente forzando.
 
Avevano ragione. In ufficio quel giorno, non ci arrivai mai.
 
Successe che per evitare ulteriori incazzature ed incomprensioni, mi infilai nel tritacarne facendo attenzione ai camionisti che volevano violentare il metallo della mia moto, e ai golfisti che piroettavano sulle corsie come fossero su una pista polistil. Mi resi conto quel giorno che oltre ai golfisti, stava nascendo una seconda categoria di coglioni gommati che era quella dei Cooperisti. I maschi sotto i 50 anni al volante di una Mini Cooper ultima generazione, sono sostanzialmente dei criminali allo stato embrionale (insomma dei coglioni).
 
La rabbia che mi turbinava nella mente, il rivedermi scorrere davanti gli occhi la scena di poco prima con i carabinieri, le preoccupazioni per il lavoro, mi distolsero un attimo dall’attenzione totale di cui necessitava il veicolo davanti a me. Era appunto una Mini Cooper verde meraviglia che stava guizzando per passare dove non sarebbe passato neanche un ciclista. Fece un’improvvisa inchiodata che mi colse disattento e successe l’irreparabile.
 
Un brutto brutto incidente mi dissero poi, quando rinvenni in ospedale, avevo rischiato di morire dissanguato perché l’ambulanza non riusciva a raggiungere il luogo della disfatta (pare che ci fosse anche la corsia di emergenza intasata…). Trovarono il mio braccio staccato di netto solo dopo diverse ore. Era finito sotto il sedile del guidatore della Mini, un braccio ormai inservibile, troppo rovinato e spappolato.
 
Quando uscii dall’ospedale ringraziai tutto il personale che in quei giorni mi aveva dato assistenza. Ringraziai particolarmente Agata, l’infermiera del turno di notte, per tutto quello che aveva fatto per me di morale, di immorale (...), di legale e specialmente di illegale.
Il Brigadiere si chiamava Arsiero Carminati, me lo ero andato a rileggere sul verbale che mi aveva consegnato.
 
Sei anni di attesa e rimuginazione continua e costante. Sei anni di indecisione sul come agire, sul come fargli sentire la mia vendetta, sul dove fargliela sentire...
 
Poi…
 
Poi il caso ha voluto che la figlia del Carminati si fidanzasse con mio figlio (assurdo se consideriamo che a Roma siamo m i l i o n i… ), e quest’ultimo insistesse per farmi conoscere la famiglia di lei. Insistette a tal punto che dovetti forzatamente invitarli a cena una sera. La famiglia di lei era di fatto solo lei ed il Padre, la moglie li aveva abbandonati da tempo.
Posso provare a descrivervi lo stato d’animo? Rabbia, odio feroce, voglia di riscatto e… e io che lo riconosco subito, il suo volto stampato nella memoria, mentre io per lui sono nessuno, un romano qualsiasi, solamente senza un braccio.
 
«Lei non ne mangia?»
 
«No no Arsiero, da sei anni sono vegetariano convinto…»
 
Per sei lunghi anni ho tenuto il mio braccio mancante nel freezer di casa, ogni tanto lo tiravo fuori e pensavo a come modificarlo per piantarlo su per il culo al brigadiere Carminati. Al braccio mancavano già un paio di dita (ragù... ricordate?), e immaginavo di levare anche le altre arrotondando il tutto, dandogli la giusta forma per garantirgli una mia personalissima rettoscopia. Sei lunghi anni, a sognare fisicamente quel momento, per poi sentirmi dire un giorno da mio figlio che il tipo mi diventa consuocero.
 
Non potevo più procedere con l’impalamento, era evidentemente un gesto non consono alla situazione, tenendo conto anche del fatto che era pur sempre un carabiniere.
Mi limitai pertanto a godermi solo in parte la soddisfazione della vendetta, guardando con che appetito la famiglia Carminati stava spolpandosi lo speciale spezzatino che gli avevo con amore preparato.
 
 
FINE
 

 

P.S.

Esisteva anche l’opzione 5, ovvero passo per il centro, ma non mi era funzionale al racconto, tenendo anche conto del fatto che passare per il centro significa comunque affrontare sempre un tritacarne, anche se di tipo minore (l'equivalente di un sughetto fresco pomodoro basilico a fronte del ragù di cui sopra). Inoltre, passare per il centro per fare prima, significa fare crollare definitivamente la logica ingeneristica trasportistica che da 50 anni si tenta di pianificare e realizzare attorno alle grandi centralità più congestionate. (dissertazione da deformazione professionale acclarata).

 

 

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