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Come non fu l'Uomo ad inventare la ruota

Come non fu l’uomo ad inventare la ruota.
Cadde una pianta, sotto quell’incredibile temporale, e rotolò per il baratro sul cui orlo era  vissuta pericolosamente, inconsapevolmente, anni e anni, forse secoli.
Esperienze, come esperimenti che tacciono per tempi prolungati, le nostre: poi d’un tratto la deflagrazione, all’interno del cranio, una bomba dissepolta di cui fai appena in tempo a scorgere la ruggine.
Ci viene alla memoria lo sfacelo di un ventre corroso dalle termiti, le foglie che s’involavano alte, gli arti dell’albero che si spezzavano ad uno ad uno disarticolati, battuti dalle gocce di un’acqua nebbiosa, ricordiamo GRR, mio fratello, che v’era salito a caccia di uova, aggrappato ad un’inforcatura dove aveva trovato un doppio nido, GRR, il quale continuò a rimanervi incollato, sedere e mani, con il pensiero di perderseli.
Quella fuga in basso, sempre più veloce, stabilizzatosi il balzo allo stomaco, ora lo stava divertendo come mai gli era capitato; gonfio di adrenalina, curvò le spalle cercando di divenire un tutt’uno con il ramo cui era rimasto attaccato; si accalorò nella sfida e ritrasse dagli occhi il timore.
Il tronco, nonostante rimbalzasse impazzito lungo lo scosceso, a suo parere non sarebbe più riuscito a disarcionarlo; ci avrebbe scommesso GRR, se appena avesse avuto consapevolezza di chi non rischia in proprio, di chi pensa di essere, sempre e comunque, fuori dalla mischia.
Le risa, sue e nostre,  raggiunsero il loro apice quando scorgemmo all’improvviso, nel terreno a circa tre quarti della discesa, un bagliore scaturire da uno spezzone di roccia, quando ormai  si pensava che ce l’avrebbe fatta.
Quando lo raggiungemmo, sulla bocca aveva ancora stampato il riso della sfida.
Le formiche d’altronde avevano già iniziato l’opera di disinfezione. Così pensammo che altra soluzione non vi fosse che quella di lasciarlo dov’era, il ventre segato in due come quello dell’albero, senza toccarli, anche perché le termiti rosse ti si attaccano anche da vivo e non ti si scrollano più di dosso, e poi chi ce l’avrebbe fatta a risalire il burrone con quell’omone sulle spalle?
Che utilità ne avremmo ricavato noi e lui?
Da allora, io e SLAM eravamo tornati a quell’orrido sia per ascoltare i canti degli uccelli che nel posto sembravano più melodiosi che altrove, ma soprattutto perché GRR ci aveva fatto scoprire che lì, fra quelle chiome protese sul vuoto, gli uccelli nidificavano a due nidi due, a volte anche tre, in luogo di uno.
Immaginatevi la soddisfazione quando scoprimmo che a causa di ciò potevamo far ritorno alla grotta che il sole era ancora alto nel cielo invece che al tramonto.
E’ pur vero che il luogo era segnato dal fatto che altri tre miei fratelli, per precipitosità, erano caduti giù anch’essi, ma non tutti insieme, no, uno alla volta ed in stagioni diverse, e poi ci avevano già gettato sulle mani tese una molteplicità di uova che, fossimo stati meno ingordi, avrebbero potuto saziare anche chi era rimasto a casa.
 
Quel mattino io e mio padre ce ne stavamo distesi nella piccola radura antistante il precipizio, le mani sotto la nuca, aspettando a chi dei due fossero toccati i primi morsi dalla fame, quando gli vidi pulsare le tempie come se il sangue volesse raccogliersi in quei due punti per poi da quella via aprirsi un varco all’esterno. O in quella posizione gli dovessero spuntare le corna come ai bovidi che stavamo cercando di addomesticare.
Qualsiasi fosse il motivo, gli stava letteralmente scoppiando la testa.
Questo accadimento, che già avevo avuto modo di osservare durante i suoi accessi d’ira, si ripeteva ogniqualvolta la sua volontà di potenza doveva trovare uno sfogo.
Allora diveniva una minaccia per tutti noi, ma non c’era alcun motivo logico, quel mattino, perché dovessi associare tali rigonfiamenti ai piccoli furti che da qualche tempo perpetravo nei suoi confronti, all’interno del suo harem.
Difatti, da quando una mia zia per prima, vedova più delle voglie di GRR che delle sue, aveva lasciato in un cespuglio sul mio sentiero di caccia le tracce dell’estro, mai mi ero lasciato prendere dall’intemperanza, e se avevo aggredito lei ed altre femmine, lo avevo sempre fatto trascinandole all’interno della foresta, lontane da qualsiasi sentiero battuto da mio padre.
Cominciai ad allarmarmi comunque, e a farmi vigile, quando egli raccolse da terra una grossa selce nera e lucida, tagliente, iniziando a fissarla e a fissarmi, soppesandola ripetutamente fra le dita.
Fu allora che dalle pieghe più risposte della materia grigia trassi l’Idea del rotolamento.
Come lo vedessi di nuovo l’albero sul quale GRR era salito!
Imitazione dietro imitazione, raccolsi anch’io da terra una selce tagliente come quella di mio padre e con quella mi scagliai, con un furore che sinceramente mi parve eccessivo, contro una sorella della povera pianta fulminata, badando bene a che fosse una con la cima protesa verso l’abisso.
Sotto gli occhi sconcertati e sorpresi di SLAM, la accettai appena sopra le grandi radici demolendone a poco a poco l’arborea resistenza al crollo ed alla fine della fatica mi bastò spingerla leggermente verso la sua rovina, e la mia salvezza.
Come la prima, essa cominciò lentamente, poi con sempre maggior velocità, a ruzzolare su sé stessa, mentre io, raggiunta una posizione equidistante sia dal precipizio sia da SLAM, ma da cui potessi comunque osservare i movimenti di mio padre e dell’albero, saltellando, per l’entusiasmo grugnavo” RU RU RU”.
 
 
 
 

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