Scritto da © Gino Soloperte - Mer, 20/04/2011 - 17:18
Il varo
Amo la donna vergine, amo la donna che non sia solo femmina, che abbia i profumi della natura,
amo la donna che sa amare e che sappia cosa sia il rispetto, amo la donna senza una età, ma che sia donna,
amo la madre che ama i suoi cuccioli e quelli delle altre madri, amo tutto della donna, se donna,
femmina e madre insieme,
amo quella donna che sa dare, senza nulla pretendere di quello che le è stato promesso.
La prima volta che ho amato una donna questa era la mia nonna, vedova da oltre 20anni, mi accoglieva nel suo letto, dove stentavo a prender sonno, da prima per il sussurro delle preghiere recitate con fervore, poi per il calore ed il profumo che percepivo accanto a lei. Non capivo che mi succedeva, sentivo, prepotente ed involontario l’irrigidirsi del mio pisello, come quando dovevo fare pipì. Lenivo quella piacevole tensione con carezze che preludevano ad uno strano prurito. Poi qualcuno mi spiego cos’era che m’accadeva, capii..
Da allora guardavo le signore, più che le signorine , perche capivo che le prime erano a conoscenza di simili “esercizi” e ne comprendevano e corrispondevano voglie ed appetiti.
La mia prima amante fu la madre di un mio compagno. Era estate, giocavamo sul marciapiedi di fronte a quello dove lei lavorava una tela, la vedevo farsi vento sul il viso col lembo della veste, teneva le gambe larghe e smovendo la tela che scendeva da telaio, si ventilava sotto la veste allargando le gambe nervosamente, ogni tanto infilava la mano di sotto e faceva qualcosa, ero attento a quei movimenti, perdevo al gioco, ma quel suo gioco era più bello. Dentro gli ampi slip di un tempo si stava realizzando una piacevole reazione che da prima cercavo di contenere all’interno dei calzoncini, ma il bozzo era evidente.
Non so come ma i nostri sguardi si incrociarono e stavolta, come calamitati si fermarono per qualche istante l’uno sull’altro, non so cosa provai, ma mentre i suoi si fermarono sui miei calzoncini, io mi trovai a guardare spudoratamente tra le sue gambe. Come se rispondessero al mio desiderio si allargarono, vidi qualcosa di scuro tra bianche colonne. Poi si alzo e scomparve dientro l’uscio di casa.
Quando torno teneva un bicchiere colmo di una bevanda che comincio a sorseggiare mentre non mi staccava gli occhi di dosso, sentivo il suo sguardo addosso pungente, controllavo, sott’occhi, l’espressione del suo viso che, si sembrò strano, ma non era adirato. Poi d’un tratto ci chiamò, me e suo figlio, “venite prendete da bere, fa caldo” disse in un sussurro. Il figlio corse veloce io tentennai dubbioso ma lo seguii trainato dal suo sguardo. In casa c’era fresco, ci riempi i bicchieri di aranciata, quella fatta con le bustine, poi alla fine, quando era quasi finita disse al figlio “vai alla bottega a prendere altre bustine, passa pure dalla nonna che ti deve dare qualcosa per noi”. Io tornai fuori ad aspettare, lei si fermo sull’uscio e guardandomi mi disse “ne vuoi ancora?” io intesi come una musichetta, o Nausica, sogno? andai senza indugio, e mentre riempiva il bicchiere, mi diceva con fare malizioso “ ma cosa avevi da guardare?” sentivo più caldo di fuori e mentendo risposi “nulla” allora lei porgendomi il bicchiere con una mano, con l’altra mi tocco prepotente e decisa tra le gambe “ e questa? Perche è cosi?” non seppi rispondere direi male se dicessi che queste furono le sue precise parole ma di quegli istanti ricordo sempre che finimmo su un letto, ricordo in un’alcova, dove io, in piedi, e lei sulla sponda, mi teneva con le gambe strette i miei fianchi, mentre con le mani si toccava, mungeva più che altro, le sue tette.
La conclusione non fu come la premessa, o quello che mi avevano raccontato come avvenissero queste cose, non fu una delusione, perché si può essere delusi quando si è provato qualcosa e quindi la si è progettata in un determinato modo, ma i miei erano solo racconti, descrizioni illustrazioni di libri o giornali, cosa ben diversa quella breve ed insana esperienza. Ricordo il senso di smarrimento, l’essere bagnato, quel suo rassettarsi dopo quella tempesta di sensi, il suo modo di fare dopo, come fossi un fardello divenuto ingombrante. Mi prese pochi spiccioli che avevo da parte la gita dell’indomani e che stavo cercando di incrementare giocando col figlio, il suo non era imbarazzo il suo e nemmeno disprezzo né tantomeno un affettuoso arrivederci.
I nostri sguardi non si incrociarono mai più, presto cambio pure casa.
Quando la rividi io ero un adolescente, la incontrai per strada, vestita in modo vistoso, seppi che si era separata dal marito ed aveva abbandonato il figlio. S’era trasferita nel paese vicino, dove “esercitava la vita” così mi disse. Nei suoi occhi uno lampo già visto, quello di quando mi passò in rassegna, un brivido mi corse lungo la schiena, mi sentivo soppesato, ora era certo più curata e truccata, mi guardava e pensava, quasi come prendendo le misure per farsi un concetto, fu così, mentre ella mi guardava che, senza dare dell’occhio, ripensai in un baleno a quella estate, allora velocemente e con naturalezza, ma senza disprezzo le dissi “scusami, ho altro da fare, ciao”.
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