D’improvviso sul vetro dello sportello dello scompartimento apparvero le quattro rotelline d’un automobile. Fecero una giravolta e tornarono a strisciare sul vetro con un suono raschiante. Poi apparve il volto del bimbo che stringeva la piccola vettura tra le sue dita. L’uomo in nero lo vide, e d’immediato calcolò quanto inoffensiva fosse quella presenza. Ma non tralasciò di seguire i suoi gesti. Il bimbo lo guardò attraverso il vetro, facendo il rumore della sua Ferrari. Uno sguardo innocente che si tramutò in un sorriso. L’uomo in nero non seppe corrispondergli, e allora guardò fuori, dietro le spalle del bimbo. Ma non c’era nessuno. Guardò meglio: proprio nessuno. Allora si volse verso il finestrino, e lo chiuse, mentre il bimbo spingeva l’uscio scorrevole e metteva un piede nello scompartimento.
- Si può? chiese, per niente timido.
E l’uomo gli fece un verso strano col volto. Un sì o un no, o forse un non so, o qualcosa del genere. Il bimbo lo prese per un gesto d’affermazione ed entrò per sedersi a un lato dell’uscio rimasto aperto.
- Quì c’è posto. Molti posti liberi, disse ancora il bimbo. E tornò a sorridere, e a muovere sull’altra faccia del vetro la piccola Ferrari rossa.
L’uomo con la testa lucida e gli occhi oscuri lo guardò come un intruso, ma non disse che già. Poi diede un’occhiata all’orologio che teneva stretto al suo polso e si girò a guardare il mare. Il treno correva parallelo alla costa, rompendo al suo passaggio l’aria salmastra che saliva dalle spiagge popolate di barche e di reti.
Fu allora che entrò la madre del bimbo. Come una chioccia, attraverso la porta. Prese il bimbo per un polso, riempiendolo di parole espresse con una certa durezza, e senza degnare d’uno sguardo l’uomo che la osservava, portò via il suo bambino.
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