Era lì, immobile, sotto il gigantesco olmo che svettava in mezzo alla piazza, incurante del continuo stillicidio gelato che le pioveva addosso.
Sorda alla cacofonia di suoni e di voci che la circondava. Piccolina che pareva uno scricciolo. I lunghi capelli neri che le coprivano il viso pallido ma grazioso dalle fossette smunte le cadevano disordinati sulle esili spalle coperte, a malapena, da uno scialle blu che aveva visto giorni migliori. Gli occhi chiari fissi in un punto lontano senza vedere nulla. Con una manina scarna stringeva al petto una scatola di legno intarsiato, con l’altra cincischiava il pizzo del scialletto, si capiva che era nervosa, quasi sull’orlo di una crisi. Accucciata ai suoi piedi, calzati da ciabattine non adatte a quella stagione pungente, una grossa borsa gonfia dalla quale spuntava un pezzetto di stoffa bianca e lucida che ogni tanto, anche a quella luce spenta, brillava come fosse accesa dai raggi del sole che ironia della sorte, quel giorno era coperto dalle nubi plumbee d’acqua.
Ogni tanto un profumo dolciastro e il forte aroma di caffè le stuzzicavano le narici e le faceva annodare lo stomaco che, per dispetto e senza vergogna, si metteva a brontolare. Insieme a quel soave profumo una voce bassa e cantilenante le giungeva all’orecchio destro: << Calda la mandorla, calda la mandorla signori!>>
Uno stimolante richiamo quello, ma non per lei, anche se Dio sa quanta voglia avesse di gustare almeno una di quelle piccole leccornie. Un poco più lontano un uomo gridava: << El pesse, el pesse donne!>> Di fonte a lui una vecchia gesticolava per attirare l’attenzione sul suo misero banchetto di verdure appena raccolte e odorose ancora di terra. Più avanti un bimbo passando rubava una mela dal carretto della frutta, più avanti ancora, sotto una bancarella riparata da un tendone di cerata bianca, spintonandosi un manipolo di donne rimestava a piene mani, magliette, gonne, giacche e pantaloni d’ogni tipo e colore.
Che ci fosse il sole o nevicasse o piovesse come in quel momento, il mercato del mercoledì delle Ceneri c’era, c’era sempre. La gente del posto e dei dintorni non aspettava altro che quel mercato per animarsi, incontransi, parlare, stare in compagnia di amici e parenti che vedevano solo in quell’occasione, per bere, mangiare e gustare le prelibatezze che venivano offerte, o comprare, vendere e barattare cose che non servivano più con cose che erano più necessarie.
Bancarelle e baracchini erano disposti a cerchio intorno all’olmo secolare in cinque e a volte sei gironi fino a riempire la piazza che era grande, molto grande e molto affollata, oltre ad animali da cortile, mucche e cavalli potevi trovare di tutto, dalle cose antiche a quelle più moderne belle o brutte che erano, non importava.
In un angolo riparato la banda del paese suonava marcette allegre, per la gente che si fermava ad ascoltarla non faceva nessuna differenza se quello era il primo giorno di quaresima, almeno una volta all’anno voleva togliersi i pensieri cattivi dalla mente.
Ma lei era sempre lì immobile, apatica e sempre più pallida, solo di tanto in tanto le spalle le tremavano ma cercava di resistere, di trattenere il groppo che le gravava nel petto.
Le persone che le passavano acconto la guardavano con sospetto, nessuno la conosceva, nessuno l’aveva mai vista da quelle parti, ogni tanto la spingevano per accertarsi se era viva e non una statua messa lì bell’apposta, lei sospira flebilmente al contatto delle loro mani ma non si muoveva restava fissa, ancorata al suolo come un palo in chissà quali pensieri persa. Una coppia di giovani ridendo si fermò davanti a lei scambiandosi un bacio poi proseguì, la ragazza mosse appena gli occhi per seguirli e sulla sua guancia caddero non solo fredde gocce di pioggia ma anche calde lacrime che subito si cristallizzarono all’angolo della bocca con la lingua le leccò via. Lentamente abbassò lo sguardo per guardare la borsa posata ai suoi piedi, ora ricordava perché era venuta al mercato.
Lì posata a terra e stretta tra la braccia c’era tutta la sua ricchezza, alzando di scatto gli occhi cercò i due giovani tra la folla e pensò “ Chissà se a loro può interessare un abito da sposa a me non serve proprio più. Mi dispiace nonna, lo so che lo hai ricamato con tanto amore e indossato con orgoglio al tuo matrimonio e dopo di te lo ha fatto la mamma, ma io non lo metterò ne ora ne mai, nessuno mi prenderà dopo che lui se ne è andato lasciandomi sulla soglia dell’altare ad aspettarlo come una povera allocca. Perdonami nonna ma io ho bisogno di qualche soldino per andarmene da qui, andare in città a cercare lavoro.” Poi con la mano gelata accarezzò la scatola di legno. Era una bella scatola tutta intarsiata con rami e fiori e dipinta a bei colori, al suo interno, adagiato su una pezza di seta rossa, dormiva uno specchio d’argento massiccio incastonato di pietre verdi, rosse, blu e due perle a forma di stella, era il regalo per il decimo compleanno da parte della sua madrina, il più bel regalo che in tutta la sua breve vita avesse ricevuto. Quando la sua madrina glielo diede, guardandola seria negli occhi le disse: << Mi raccomando piccola mia conservalo bene come fosse la tua vita stessa perché è uno specchio magico e nel momento di vero bisogno esaudirà ogni tuo desiderio, ma stai attenta di non romperlo altrimenti ti porterà solo guai.>> Ma ormai non ci credeva più, erano giorni che guardando la sua immagine riflessa gli chiedeva una grazia ma fino allora non era successo niente, n i e n t e. Tanto valeva che lo vendesse e chissà che insieme al vestito non sarebbe riuscita a ricavare un bel gruzzoletto. Ancora avvolta nei suoi ricordi non si era accorta che la piazza era deserta, come per incanto si era svuotata. Bancarelle, banchetti, carretti e tutte le persone che poco prima l’affollavano erano sparite, volatilizzate, non capiva, quando era successo, perché? E ora lei come avrebbe fatto, a chi avrebbe venduto la sua mercanzia? Ma perché era così sfortunata!
“ Dio dammi la forza di andare avanti.”
Proprio in quel momento un rombo fortissimo di tuono ruppe l’aria e un fulmine squarciò il cielo in due abbattendosi su un fianco del vecchio olmo a poca distanza da lei che per la paura si mise a gridare mentre il cuore le faceva le capriole nel petto. L’acqua scendeva a fiumi dalle nuvole basse e nere e lei era zuppa e gelata. Doveva fuggire da lì e subito se non voleva essere fulminata. Piegò le ginocchia per raccogliere il grosso borsone reso pesante dall’acqua che vi era penetrata da una fessura, un altro fulmine illuminò tutta la piazza e prima che il buio la ricoprisse nuovamente vide che vicino alla sua borsa avvolto in un sacchetto di plastica c’era un rotolo di carta che assomigliava tanto, ma tanto a delle banconote, incurante della pioggia che continuava a caderle adosso, lo raccolse e lo esaminò, si erano proprio delle banconote e formavano una bella sommetta. Chissà chi le aveva perse o le stava disperatamente cercando. A chi le avrebbe restituite, come? In quel paese non c’era polizia ne chiesa, in quel paese non c’era niente solo quella enorme piazza v u o t a. Ancora titubante sul da farsi aprì la scatola di legno che spasmodicamente stringeva al petto per depositare il denaro all’interno e proprio in quel momento di colpo, la pioggia cessò di cadere, le nuvole si aprirono un po’ e un raggio incerto di sole si posò sullo specchio facendo sfavillare le stelle di perle e le pietre rosse, verdi, blu che intrecciandosi mandarono bagliori colorati su, su sulle nuvole disegnando mille arcobaleni. Incantata da quella meravigliosa visione abbracciò forte la sua preziosa scatola e sorridendo gridò: << Allora è vero che i desideri si avverano nel momento del bisogno. Grazie madrina.>> Raccolse i suoi averi e ritornò contenta a casa.
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