Scritto da © Franca Figliolini - Lun, 11/04/2011 - 21:52
Viorica lavora ai margini del parco alla periferia della città. Poco distante ci sono i bambini che giocano, sente le loro voci, le risate, i richiami delle mamme.
Arrivano con la lieve brezza che scuote le cime degli alberi, sventagliando una pioggia di petali rosa, come nella scenografia di un qualche film romantico. Roma sa essere bellissima anche qui, tra i palazzoni, lungo questi viali desolati. D'altronde lei ha visto ben poco del centro della città: è qui per lavorare, mica per fare turismo.
Lavora tutto il giorno e per buona parte della notte: vuole rimanere in Italia il minimo possibile per mettere da parte un po' di soldi e tornarsene a casa.
All'inizio non credeva fosse possibile, pensava che non si sarebbe mai abituata, ma poi era diventato un lavoro come un altro. Gli uomini arrivavano, facevano quello che volevano fare, pagavano e se ne andavano.
Tanti uomini, di tutti i tipi. Dolci, sbrigativi, imbranati, violenti. Tanti nomi: ciao, io sono Mario, Franco, Giuseppe, tu come ti chiami? Viorica? E che nome è? Di dove sei?
Lei ha imparato a limitare le chiacchiere al minimo, a sbrigare la faccenda in tempi rapidi. Ma ci sono quelli che dicono, ti do di più, stiamo insieme di più. Le compagne le hanno detto di diffidarne, ma questo ha offerto così tanti soldi...
Così si appartano. All'inizio tutto sembra normale. Poi lui comincia a menarla. Botte dure, cattive. Lei piange, grida, cerca di liberarsi dal suo peso. Ma quello continua, sempre più violento.
La lascia lì, per terra. «Mama mea, ajută-mă...», geme Viorica. Sente la vita che le scivola via. Pensa a tutti quegli uomini, tutti quegli uomini....
Uno si avvicina, richiamato dalle grida. Ha un viso tondo e rubizzo, un cappotto liso sui gomiti, un mazzo di palloncini colorati in mano. E' l'ultimo uomo di questa storia.
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