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Su "Vita di Pietro Giannone".

La “Vita di Pietro Giannone” ci descrive l’esperienza di un uomo settecentesco che si imbeve di illuminismo e concepisce il principio di non potersi ritrarre, di non poter retrocedere dalla misura di verità che il suo “assorbire lumi” ha comportato. Così si applica alla Storia, e nello specifico, alla storia dello Stato di cui è suddito (non ancora cittadino), il Regno di Napoli.
Nella descrizione illuministica, cioè laica, cioè disincantata e franca dei “successi” (cioè gli eventi) di quella storia, non può evitare il semplice racconto delle soperchierie politiche di “madre-chiesa” onde proteggere e blindare il proprio assolutismo. Segnando così per sempre il proprio destino.
La chiesa di Roma non perdona, inutile prestare orecchio alle giaculatorie con cui, al giorno d’oggi, rivendica le proprie (filistee) vocazioni umanitaristiche e pacifiste. Quello vaticano è, era e sarà lo scranno di un potere ultramondano, che supera il contingente per inocularsi nel senso di colpa e di sudditanza dell’intero genere umano. Per sottometterlo, per soggiogarlo alla sua incolmabile presunzione insieme assolutista e metafisica. La Chiesa Romana è il ricettacolo assoluto di un concetto proprietario della realtà per il quale questa resta in assoluto arbitrio dei suoi “apostoli”, e questi, e soltanto loro, son posti come amministratori unici dell’unico senso ammesso dell’essere, che è quello d’essere cristiani. Per santa madre chiesa non c’è modernità che tenga, non c’è scienza, non sapere, né laicità o costituzione civile che dirsi voglia. Il pensare è roba sua, lo spirito è un bene immobile ed è conservato, murato e sotto chiave, nei meandri della potestas vaticana…
I preti se ne ridono dei filosofi, così come dei marxisti, e persino di Voltaire. Questi dilettanti hanno la spocchia di chi vorrebbe detronizzarli dalle alte sfere di un cogito, di un logos che loro rivendicano a sé per diritto di discendenza. Nessuno, ripeto, nessuno strapperà loro dalle mano questo scettro. Arrivano persino a fregarsene del potere fisico, temporale sul mondo. Lo regga il Cesare statunitense, se ci tiene. Ma la sua testa, ovvero la sua anima, è cosa loro: il protestante Bush si inginocchi davanti alle ossa del papa polacco. Lui, Giovanni Paolo, invece non ha fatto che umiliarlo e rimbrottarlo. La Chiesa detiene la realtà, non Bush, non i Russi, i Cinesi o il Comunismo. La Chiesa imbraccia il fucile della realtà. Gli altri si sparino pure addosso.
E Giannone il laico, Giannone l’illuminista, paghi per l’assurda istruzione con cui, svolgendo la sua funzione di storico, intende ammaestrare il prossimo, cioè che le opere, gli atti e la legislazione, in sostanza il Diritto, dello Stato, sia pure monarchico e assolutista, sia altro e separato da quello canonico. Ossia che Cesare si occupi di ciò che è di Cesare e la Chiesa di ciò che è di Dio. Ecco, per aver solo osato supporre una tale discrasia fra il diritto legislativo e quello canonico (il che comportava ai tempi delle dure dispute sui diritti di eredità che sia la Chiesa che i sovrani rivendicavano a sé), fra Stato e Chiesa, Giannone avrà rovinata la sua intiera esistenza. Grazie alle mene dei gesuiti e di altri lestofanti ecclesiastici, si vedrà costretto a lasciare Napoli per sempre, rifugiarsi a Vienna per una dozzina di anni, poi andare ramengo qua e là per le frammentate corti italiche, per giungere infine a cadere in un tranello dei suoi persecutori, che lo seppelliranno nelle carceri sabaude, facendolo sprofondare nell’ombra, fino alla morte.
Una fine ingiusta, specialmente perché quando lui ancora rivendicava il diritto del sovrano contro gli appetiti della chiesa in materia di legge (ma anche di storia, di verità storica), il mondo s’era di già rigirato altrove e aveva prodotto Voltaire, fondando un altro Diritto che avrebbe surclassato e definitivamente stralciato dal presente quello oramai “vecchio” dell’aristocrazia e quello addirittura arcaico di santa madre chiesa. (Ma questa non demorde, non demorde ancora. L’ho sentita io stesso inveire ancor oggi, dopo quasi tre secoli, contro Voltaire…)
Così l’errore benintenzionato di Giannone si volgeva contro quello assatanato e insaziabile della chiesa di Roma, mentre si annunciava già nella nascente morale borghese, non già l’errore ma la virtù che avrebbe a breve ribaltato ambedue i presupposti, rivelandone l’arroganza avida e la vuota alterigia. 
Leggendo il bel romanzo della sua “Vita”, si potrà constatare quanto strisciasse basso il clero e con che mezzi subdoli e viscidi, e insomma che verminaio di bugiardi e di leccapiedi fosse in realtà il santo soglio pontificio. Non stupiamoci di ciò che accade ora, leggendo quelle premesse, non ci stupiamo più.
La nostra “santa madre chiesa” è il frutto del più spettacolare colpo gobbo della storia: il furto dell’Impero Romano. Una cosa mai riuscita a nessun altro, e mai neanche pensata da qualcun altro. E il Sacro-romano-impero non è che la pallida copia tentata dagli ingenui nordici dall’elmo bicornuto per tentare di tener banco alla scaltrissima plurisecolare confraternita di bricconi installati a San Pietro con l’arma dialettica trafugata ai grandi Greci, e quella secolare estorta ai Romani.

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