Scritto da © taglioavvenuto - Ven, 25/03/2011 - 11:24
Ci incontrammo in un parco con un laghetto relativamente proporzionato alla sua artificialità: la mano dell’uomo. Sulle prime propaggini della Alpi austriache, credo dopo la ventesima o trentesima uscita dell’autostrada che partendo da Tarvisio porta a Vienna.
Un parco assolutamente anonimo ma carino voluto appositamente, penso io, da volenterosi cittadini che a dar lustro ai loro Borghi natii ci tengono eccome.
E poi servono a chi viaggia e ci capita per caso per sgranchirsi le gambe e intanto respirare aria che non sappia di abitacoli e di gas di scarico, per ridarsi aria ai polmoni ecco.
Portava scarpe comode, probabilmente da tennis o basse da passeggio e, assai probabilmente, di quei calzini che fuoriuscendo dalla calzatura appena raggiungono il collo della caviglia e che da qualche tempo vanno tanto di moda tra gli pseudo sportivi. Quelli che, di trama sottile come una pellicola, non permettono alla stoffa, comunque, di incollarsi come ormai inusuali, dimenticate carte moschicide, alla vittima predestinata e fanno si che la traspirazione avvenga in modo controllato, quella della scarpa intendo. Quasi diabolica la mente dell’uomo industriale.
Io venivo da sinistra ricordo, ed avevo appena superato un piccolo poggiolo, di quelli progettati apposta dagli architetti per rendere all’occhio l’idea della natura dopo aver fatto sbancare dalle macchine e rasare come un foglio di carta A6 i dislivelli che già c’erano.
Lei assolutamente veniva da qualche punto alla mia destra, perché altrimenti come avremmo fatto ad incontrarci, ragionandoci. Voglio dire, se avessimo camminato in parallelo su quel sentiero di ghiaia molto fine, sminuzzata, quasi rena, il suo profumo l’avrei dovuto sentire prima.
Fatto sta che quel profumo mi sorprese piacevolmente, non sapeva di trappola; piuttosto di sguardo svagato, come se tutto ciò su cui apparentemente si fissasse fosse ininfluente, solo apparenza.
Non che l’apparenza non serva, anzi, forse è ciò che ci sfugge.Vi sono diverse probabilità che appartenga al regno di ciò che ci ostiniamo a chiamare con diverso nome.
Pur abituato ormai da tempo a scansionare lo spazio a me circostante col bastone bianco talmente ritraibile che una volta chiuso avrei potuto metterlo in tasca e dimenticarmene ma che mi piaceva tenere in mano come un vezzo, un ricordo, una qualsiasi cosa che ti riporta al piacevole, non m'accorsi che fosse così bella fino a quando non chiese:- e queste cosa sono, che fiori?
Lo chiese nella sua lingua, ma era come avessi nelle orecchie gli auricolari di un traduttore simultaneo.
Soltanto che nemmeno io li conoscevo; sono tutt'altro che un esperto di floricoltura.
Dopo un attimo risposi :- se ha pazienza che passi qualcun altro davanti a questo cespuglio, potremmo chiederglielo, sperando che se ne intenda. Venendo fin qua ho sentito che c'era una panchina nella curva così lei mi potrebbe ancora fare ascoltare la sua voce.
Beh, vi giuro che la vidi sorridere; non capì, ma quella linea d'aria che ci separava d'un tratto s'avvolse come una spirale attorno alla mia bocca.
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