Scritto da © Franco Pucci - Lun, 21/03/2011 - 22:55
Nel pomeriggio assolato di una domenica di Maggio, in una di quelle domeniche di primavera ormai inoltrata, quando l’aria tersa rende i colori più vividi e il cielo sembra una tavola cobalto appiccicata lassù da qualche artista in vena di omaggi a un pubblico spesso indifferente e distratto, una brezza dispettosa, ritardataria, dimentica di Marzo, scarmigliava le chiome ormai rigogliose degli alberi, che parevano usciti da un salone di bellezza, tanto il make-up e il look erano attraenti e decisamente alla moda. Il vociare dei bambini che si rincorreva tra le panchine del parco, le gote rosse, gli occhi ridenti e i giochi a cavallo tra fantasia e sogno faceva da cornice a un’istantanea che per poesia e colore avrebbe ispirato il sogno, la bravura e i colori del grande Monet. Lo scampanellio argentino del carretto del gelataio suonava indiscreto a interrompere la magia del momento, mentre in un angolo un venditore di palloncini offriva ai bambini la magia e il sogno coloratissimo di quei compagni sorridenti, sospesi sempre tra la terra e il cielo grazie ad un filo che la mano tratteneva come leggero ed etereo guinzaglio. Il capannello dei bimbi che circondava il dispensatore di sogni era lì a testimoniare l’amore e la forza d’attrazione che il multicolore mazzo stretto tra le mani dell’uomo spandeva tutt’intorno. A uno a uno, come in un’allegra processione i palloncini passarono dalle mani del venditore in quelle dei bambini e si sparpagliarono tra le panchine e il verde degli alberi. Tanti magici fili li trattenevano e sospingevano in danze a volte leggere e morbide a volte in evoluzioni frenetiche e sussultorie. Ben presto la tavola blu del cielo si trovò punteggiata da una miriade di anarchici puntini colorati che gioiosamente ondeggianti festeggiavano, sospinti dalla complice brezza birichina, la libertà conquistata sfuggendo alle inesperte e dimentiche mani dei bambini. Volteggiando e danzando interpretarono il loro inno sino a che la stanchezza non li avvinse e lentamente, dolcemente atterrò lontano, sparendo alla mia vista. Si stava facendo tardi, il sole arrossiva colorando il cobalto di viola e le prime ombre si stagliavano sul parco. I bambini a poco a poco, a malavoglia, abbandonando i giochi, avevano risposto ai richiami delle mamme e avevano lasciato il parco orfano della loro chiassosa allegria. Chiusi il libro, mi alzai dalla panchina e m’incamminai lungo il vialetto che attraversava il parco con andatura calma, sorridendo e respirando l’aria dolce e profumata che Maggio sa offrire in serate come queste. Benché primavera inoltrata, verso sera l’aria si fa più sottile, dispensando ancora qualche leggero brivido, retaggio di un inverno testardo che ha faticato ad accettare la dipartita. Passi frettolosi dietro di me distolsero i miei pensieri e incuriosito mi girai verso il punto da dove proveniva il rumore. Non vi era anima viva. Il mio sguardo fu attirato da una macchia multicolore che ondeggiava leggera e faceva capolino altalenando da dietro una siepe. La curiosità prese il sopravvento e mi avvicinai. A mano a mano l’indistinta, coloratissima macchia prendeva forma. Erano palloncini, sì coloratissimi, gioiosi palloncini. Fui colto da un dubbio, poi da una certezza, sicuro! Erano i palloncini sfuggiti di mano ai bimbi poco prima. Accelerai il passo e, giunto alla fine della siepe, svoltai. Mi ritrovai in uno spazio circondato da panchine prospicienti il laghetto artificiale che recentemente era stato ricavato nel parco. In un angolo, laggiù, mezzo nascosto dalle fronde di un giovane salice, sette giovani palloncini anarchici ondeggiavano calmi trattenuti dai loro fili saldamente in mano ad un uomo seduto sulla panchina. Il buio ormai avvolgeva il parco, mi avvicinai e la luce fioca del lampione mi presentò l’ultimo attore di quella giornata talmente bella e colorata che si stava chiudendo con note malinconiche. Ha un viso tondo e rubizzo un cappotto liso sui gomiti, un mazzo di palloncini colorati in mano. E' l'ultimo uomo di questa storia.
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