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Heimat

Il nostro tempo è la formula uno dello stare al mondo. Siamo oberati, tallonati, perseguitati da una fretta assurda e insignificante, una fretta di nulla che ci assorbe in una olimpiade insensata il cui senso è di non farcene percepire l’insensatezza. Altrimenti smetteremmo, e si vedrebbe come tutta la società umana non conta niente e non va da nessuna parte.
Una di queste “nessuna parte” che non conta niente, è oggigiorno assolutamente in auge, anzi in pompa magna, perché oggi la nostra patria (la nessuna-parte) fa gli anni, e ne fa 150. Già, un secolo e mezzo poco lusinghiero, ove, quando il valore di una specie di assoluto come l’Italia, ossia uno dei referenti “forti” della intiera civiltà umana, è emerso alla luce, immediatamente qualcuno ci si è messo di buzzo buono per infamarlo, umiliarlo e ridurlo al silenzio. Per esempio, Verdi e Garibaldi, eroi umili di un riscatto quasi millenario, risarciti dall’Italia col disprezzo o con la riduzione al silenzio (salvo poi, appena morti, re-incensarli gattopardescamente).
C’è una differenza fra l’idea di patria e qualcos’altro che, nella nostra lingua, non trova neanche posto. Qualcos’altro di sostanziale e di positivo, contrapponibile legittimamente a quell’idea precedente, reazionaria, militaresca…- senza scordarsi quello che ne diceva un inglese: la patria è l’ultimo rifugio dei mascalzoni.
Guardando in un vocabolario tedesco, si vedrà che la parola “patria” trova due possibili traduzioni: Vaterland, traduzione letterale; e Heimat, praticamente intraducibile. E’ questo secondo termine quello che considero positivo. E’ un concetto complesso, che implica insieme la casa dove siete nati e lo Stato, la lingua e la cultura in cui siete nati. Qualcosa in cui ne va della propria essenza, delle proprie radici e dell’amore come causa di ogni cosa. Lo Heimat è qualcosa che si deve amare, per forza e senza costrizione. E’ la patria interiore. Lo stato di appartenenza di ciascuno di noi ad una qualche genealogia, a una fenomenologia. Infatti Heim significa casa. Non nel senso comune, che infatti si traduce con Haus. Ma nel senso di nido, di tana antropologica, di caverna cosmica onde cui la cultura umana è generata e trasmessa. E in tal senso l’appartenenza acquisisce una sua legittimità morale, per la quale può anche diventare motivo di orgoglio e soddisfazione, qualche volta, ammetterlo: ebbene sì, sono italiano.
 

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