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Sulle rive

Dipinte in queste rive son delle umane genti le magnifiche sorti e progressive.
Le rive sono quelle del Giappone, massacrato ieri da uno dei più feroci bradisismi a memoria umana. Con tre punti a beneficio dell’immemorabile: 1, il terremoto, 2, lo Tsunami, 3 il disastro delle centrali atomiche.
Allora, da sempre il pensiero reazionario -che si potrebbe meglio definire l’”entusiasmo” reazionario, che il pensiero- nutre una cieca fede nella tecnologia. A ben guardare, si rileva in ciò quel quid di sgradevolezza di una cosa come la fantascienza: un “pensiero debole” che non arriva mai a convincere del tutto (anche quando cerca di farsi “filosofica”, come in Kubrik, o in Blade runner). Perché il protagonista delle vicende fantascientifiche è sempre un tecnico, ossia un astronauta o uno scienziato, non mai qualcuno che fa il mestiere di pensare e basta, senza applicazioni concrete. In quanto tale, questo protagonista rappresenta solo un pezzo del pensare, e cioè la Techné, il pensiero relativo alla tecnica di applicazione delle cose pensate. Perciò è monco di tutta la gnoseologia servita da battistrada alla tecnica. Ma siccome è monco del pensiero che gli ha consentito di fornirsi dei mezzi che servono al suo dominio tecnico della natura, ecco che concentra tutta la sua attenzione e il suo favore (il suo entusiasmo), e quindi il concetto di principio di valore, su questi soltanto, deprivandoli della loro causa prima e necessaria: il concepimento, la creazione dei concetti, tra i quali anche quello di Techné. Conseguenza della conseguenza, l’entusiasta reazionario, accecato dalla sedicente potenza della tecnologia, ritiene possibile il dominio tecnologico della realtà e della natura e crede vie più che sia molto moderno, come dire?, avanzato questo modo di vedere le cose.
Ma invece è reazionario, e non solo perché comunque rivolge ad un’idea di dominio la propria attenzione, ma perché pensa con la pancia (l’entusiasmo), e non con la ratio. La ragione insegna a dubitare, anche dei propri traguardi. E’ solo così che è nata la scienza, dubitando, relativizzando, non cristallizzandosi in neo-ideologie positivistiche. Così, sono proprio gli scienziati, i creatori delle diavolerie tecnologiche, quelli che invitano a non trasformare in totem mitizzanti quelli che sono soltanto prodotti- dell’ingegno, certo, ma prodotti, non dèi. E sono invece i reazionari, i fruitori magari di tali beni, a montarci su un Pantheon apologetico che mostra la sola funzione di decantare la loro presunta e irriducibile forza. Una forza che, se e quando confrontata con la prova dei fatti, mostra davvero soltanto l’illusione che l’aveva insufflata. Un’illusione alimentata dal sentirsi molto moderni, molto up to date, nel credere nell’avvenire, nella scienza, nella tecnologia.
Questa coscienza è monca nel momento in cui sgarra nel cogliere il senso di ciò che afferma, il cui accento non cade sull’avvenire, la scienza, la tecnologia; bensì sul credere nell’avvenire, nella scienza, nella tecnologia. E’ questo meccanismo del credere che è antico, pregiudiziale, apotropaico. La scienza non è qualcosa in cui credere, è qualcosa di cui servirsi. Investirla di una fede significa capovolgerne il senso, traendo il suo freddo raziocinio in una sorta di apoteosi mistica che trasfonde nella superstizione antica l’apporto invece laico e coerente che essa consegna alla modernità. E’ una falla gnoseologica quella che fa credere invece di pensare…
Così, l’illusoria utopia modernista del reazionario mostra, al pari di una religione, il suo aspetto più retrivo ed arcaico in un fideismo “futurista” che non si realizza, per fortuna, ma che, quando ci prova, assume i tratti rituali ed inutili della superstizione. Come quelle danze scaramantiche atte a scongiurare la siccità, costoro si agitano additando a montagne da spostare, o a oceani da prosciugare, o a pianeti da civilizzare, salvo poi non riuscire neanche a parcheggiare uno scooter.
Ieri la grande tragedia del Sol Levante ha esplicitato la querelle in tutta gravità. Il Paese più tecnologico, più avanzato, più preparato e anti-sismico, più organizzato ed efficiente del mondo, in pochi attimi si trasforma in una gigantesca pozzanghera di ferro fango e morte, abbattendo in un sol attimo tutti quei “più” così lungamente e faticosamente consolidati. Mentre il pensiero corre necessariamente a quegli sventurati travolti da milioni di tonnellate d’acqua, ed all’umana solidarietà che ciò inevitabilmente risveglia, un altro pensiero, parallelo, si volge alle parole grandiose del grande poeta, a monito di quell’entusiasmo:
Venga colui che d’esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All’amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell’uman seme,
Cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
 
 
 

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