Scritto da © Franca Figliolini - Ven, 03/12/2010 - 22:43
Ora andremo verso la rossa intensità di Marte
e poi via, al di là del possente Giove
incontro alla meraviglia degli anelli di Saturno
ed alla gelida opacità di Urano
Poi sarà notte, notte nera e oscura
Brividi di stelle ad attraversarla,
lontane, mute vestali del buio,
che indicano la via dei naviganti
Di balzo in balzo, alla ricerca di un nuovo Sole
che riscaldi i nostri corpi stanchi
ammutolisca i ricordi e la paura
nuova vita per noi, profughi dello spazio
Il canto si spense lentamente. Non mancava mai di commuoverci, tutte le volte che lo sentivamo. Era l'unica eredità che avevamo dei nostri padri, oltre a questa Nave sempre in viaggio. Non avremmo dovuto sapere come fosse stata costruita, né quando, né da chi. Per quanto ci doveva constare, eravamo sempre stati lì. La memoria era stata abolita. Le uniche cose scritte erano le istruzioni per il funzionamento della Nave e tutto quello che ci veniva insegnato era leggere e scrivere per poterla far funzionare. I racconti, scritti o orali, che si riferissero ad un passato superiore ai venticinque anni erano vietati.
La canzone però era rimasta, con quei riferimenti oscuri che nessuno capiva. Ma capivano che era importante, e bella.
Ho venti anni, secondo il grande contatore che domina la sala comune. La Nave è la mia casa, e quanti la abitano, i miei compagni. C'è un solido ordine gerarchico: gli Anziani e gli Adulti, nell'ordine, decidono quel poco che c'è da decidere, quello che non è preordinato dalle Macchine. Le Macchine sono l'eredità degli Antichi e i robot che vivono con noi ne sono l'emanazione. Gli Antichi era proibito nominarli, ma i giovani, ogni tanto lo fanno, speculando sulla loro natura, chiedendosi chi fossero e se esistessero ancora da qualche parte. E noi, noi chi eravamo? Cosa voleva dire profughi? Lo chiesi al mio robomaestro durante la fase di istruzione primaria, quando ci fecero studiare il canto, ma lui mi rispose che non era autorizzato a rispondere. E avvertì gli Anziani del fatto che avevo posto quella domanda. A quanto pare ero stata l'unica del mio gruppo di età. Fui messa sotto osservazione, isolata dai miei coetanei, condannata a vivere in un silenzio ancora maggiore di quello che già normalmente dominava la Nave.
Ma ormai era tardi: mi ero subito resa conto che il modo in cui si era espresso il robomaestro significava che una risposta esisteva. Vorrei non averla mai saputa. E pensare che ho fatto di tutto per trovarla. Non starò a dirvi con quali sotterfugi, con quale cieca ostinazione abbia perseguito il mio obiettivo, né come ci sia riuscita. Ma l'ho fatto. Il roboprofessore che avevo riprogrammato mi ha fatto vedere tutto, tutto. La bellezza del nostro pianeta d'origine e come l'avevamo ridotto. L'Arte e le guerre. Le meraviglie e gli orrori, la magnificenza e la crudeltà degli Antichi.
Mi fece vedere il gruppo di uomini e donne che migliaia di anni fa, quando la Terra era ormai morente, ideò, progettò e realizzò la Nave, sperando di garantire una nuova ripartenza all'umanità, in un qualche pianeta indicibilmente lontano. L'azzeramento della memoria, secondo il loro progetto, avrebbe dovuto eliminare le ragioni che avevano portato i loro contemporanei all'autodistruzione. Ma io non so se sarà così. E tremo all'idea di quando troveremo un nuovo posto in cui stare.
Perché lì, ricomincerà la Storia.
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