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Dal libro dei vivi ignari di sè

 
1
 
Si sta così tanti sulla terra
che spesso mi chiedo
dov’è presa tutta l’argilla. Se viene da sola
a fare greti alla vita o dalle sponde degradi nel letto.
 
Lento e ignoto, accavallo le gambe
come un fiume i riflessi, un fiume pieno
di ginocchia piegate al sacramento
del risveglio: salve vecchia luce!,
e la vecchiezza è in questo giorno
da diverse settimane, ormai.
 
Pensiero che cambia, allora. Magari
dei miei piedi contro i piedi dell’altra
ed entrambi sostegno capovolto
consapevoli della frescura che ogni nuova
fiamma porta in sé (ho coscienza
che una passione sia il vero muscolo
della data).
 
Intorno la supremazia del calendario:
l’avvento di tutte le facce possibili
come acqua sul volto.
 
 
2
 
un germoglio unisce appena
le caviglie irrequiete
cresce veloce e sprigiona la chioma
 
non lega, appoggia
due punti di fuoco nell’ombra
perché nel fuoco ha la sua fotosintesi
 
spiana l’evidenza dei percorsi
compone nuovi angoli di luce
e modulando le foglie ad arte
nasconde e libera
 
 
          2.1
 
          ma poi che accade alle consorterie
          dei teneri petali? Fanciulletti inibiti che provano
          posizioni di fuga dalle gabbie di rami;
          cavallerie di rugiade che hanno zoccoli liquidi
          e un crine effervescente, esposto alla motilità
          filiforme, sedimenta
          i minerali del cielo dell'aria e del vento
          con il rito pagano del lascito
          secco, sereno, alla terra.
 
          Io non credo a questo astruso racconto
          benché lo osservi e ne parli definendomi in gergo
          un tronco di carne, un pendulo brown
          assiepato nei sensi.
 
          Piuttosto la vita contiene promesse
          di peronospora che imbianca, mangia la foglia.
          Così si mantiene l'ambiente
          e, forse, durerà la muffa.
 
 
3
 
sale.... di fretta,
dalla sepoltura sorge
e il lieve crepitio della vita
tutto si espande.
Esplode come acqua di sorgente,
fresco il pensiero ricade
e segna l'orizzonte
bersaglio di desiderio e ricerca
..di voluttuosa primizia.
 
 
4
 
...e voi
(voi)
cosa ne dite?
Con quei bicchieri di fiele sorbiti,
ubriachi di parsimonia
avrete sempre quella linea benevola d'orizzonte
oscurando le ombre con le pietruzze
le stesse
(sì le stesse)
che vi siete estratte dalla pianta dei piedi
così bisognosa di riposo
ma avete mai percorso chilometri di vita zoppicando di negligenza?
 
 
          4.1
 
          Per quanto la zoppia sia una stortura del passo
          non consegue che camminare, ceduta la gamba, renda colpa
          la negligenza. Si guardi alla chela: un granchio
          che ha perso dal fianco ogni uso di zampe
          sembra un'onda violenta. Costringe il corpo martire
          all'idea della giostra, e ruota - sì: ruota prendendosi in giro -
          finché la rabbia non lo inserra nella crepa d'origine.
         
          Così è la vita, come nelle alghe sommerse:
          intramare le correnti seguendo l'impulso
          che ci è antecedente.
          Comprendo le zampe, del resto,
          che non prendono piede quaggiù.
 
 
          4.2
 
          può regalare salvezze il deserto:
          non si cura della camminata zoppa
 
          lascia il passo profondo staccare
          sulla duna l’accenno dell’altro
          e lo ricopre
 
 
          4.3
 
          si mangia le illusioni il viandante scalzo
          celando le sue orme,
          ma, come segugi appresso,
          gli uomini di morale ne sentono l'odore
          e si fanno forza come il mistral che cresce sulla vela
          e soffiano,
          soffiano di prepotenza le sentenze scritte senza inchiostro
          nei secoli
          ...e nei secoli continua senza sosta quel passare controvento,
          le mappe sono benevolenze d'intenti
          e le linee racchiuse dentro al cranio
          portano a una meta orfana di confini
 
 
         4.4
 
        Lo sbilenco del lupo
 
        l'inciampare equilibri          
        degli zoccoli fessi
 
        zoppi di bisognosa fame
 
        il vecchio
        plasmato nell'uso
        non ha anche
 
       eretto e retto è retto
       molla la schiena
       china, all'erta
       è tardi.
 
 
      4.5
 
      è tardi,
      lo si doveva pensare prima.
 
      Ah!bastardi i ritardi,
      le pensiline,
      i treni che mai arrivano,
      le mete da raggiungere,
      appuntamenti in fumo per minuti secondi,
      i segni sul calendario di lune
      e la preghiera che il ritardo sia un errore,
      scherzi ormonali di natura
      e i pianti nelle notti senza lacrime,
      il pensiero del peso all'ombelico
      e la gioventù bruciata,
      l'amore non definito in cerca di una maschera
      e il mercato in testa che brulica
      ...il brusio
      (quel brusio di domande)
      ma è tardi ora
      e presto la coscienza sarà alla sbarra.
 
 
      4.6
 
      E' tardi!
      Dite forse per l'attesa?
      Perchè crocifiggere il tempo
      alla sua fine
      e cedere le grandi promesse
      agli stessi ladroni?
      Spingere il cuore
      sulle rotaie fuori uso
      non sarà mai una conquista
      ma la limpida certezza
      di vedere il sole...sorgere
      su due linee parallele.
 
 
5
 
Ammetto che vivere tralasci la consapevolezza
degli altri viventi, intanto certificherebbe l'utilità dell'anagrafe.
Non che tutti gli impiegati abbiano comunanza con gli iscritti
(molto spesso si ignorano persino i concomitanti, i prestatori
di biro, i profusori del buongiorno e buonasera - siamo tutti ignorati,
altro che ignoranti!) pertanto non si richiede una memoria
a latere se non per le omonimie dei componenti nelle descrizioni.
Perchè un nome è un nome, ancorché trattenuto
a labbra serrate, spesso indica l'area in cui parcheggiamo il pensiero
con una difficoltà di manovra crescente non per l'ora,
quanto per gli spazi tra le congiunzioni.
Diventa come una escursione alle pendici dei corpi
se davvero lo sussurro per ricevere risposta e risponde
l'intera cordata vuol dire che siamo in uno spazio vuoto
tra la ferita e la benda.
 
Ma a parole diventa semplice incontrarsi di spalle, senza guardarsi
certe volte più che sanare la piaga.
 
 
          5.1
         
          I sussurri s'intrattengono
          su bocche affamate
          il cibo che aspettano
          non vuole sapore
          ma un suono che sazia
          i deboli pensieri.
 
 
          5.2
    
          eppure, è nello sguardo che rimbalza nell'occhio dell'altro
          che trovo il giorno, la forza di muovere
          un passo dopo l'altro, verso l'a fortiori nulla
          che m'attende, per-scelta. nel suo nome scandito,
          diviso in sillabe e fonemi, reso segno
          di resa antica, totale; ammesso il saccheggio,
          la depredazione infinita.
          così potrei dire d'aver vissuto. forse saremo altro
          da ciò che siamo, soli.
 
 
                    5.2.1
 
                    ciascuno ha un nome
                    da portare silenzioso sulle labbra
                    come un sortilegio
 
                    una formula che annulla lo specchio
                    e chiude le dita al conto
 
                    non strette in un pugno
                    ma morbide a non dare peso
                    anzi, a volte, a quel nome si aprono
                    e fanno sulla terra un'ombra
                    proprio come di ali in volo
 
 
                    5.2.2
 
                   Provare una criniera, seguire il furore,
                   ma intenerirsi alla cadenza dei muti, nella pagoda
                   in cui anelano voce per urlare preghiere
                   e costantemente sopravvivere
                   all'incenso che ti vorrebbe cenere
                   dimenticato nei lazzi degli amici
                   però inserito negli esempi
                   da lontano, da più lontano ancora:
 
                   questo fa del nome un flusso continuo
                   una sorgente che gorgheggia.
 
 
          5.3
 
          Era la Roma dei priori
          abbastardita dai barbari
          gonfia di tutto
          l'eredità di Augustolo
 
         caprari che pisciavano
         ad arco sull'arco
         come prima dell'arco
 
         sti millenni passati
         per insegnare la fiacca
         l'occhio bovino
 
         la resa del sacco.
 
 
         5.4
 
         Nulla è più vero che l'assedio e la fiamma. Poi
         anche il sotterfugio della taglia
         che rende crudele il mercenario. Nello scambio
         tra sorriso e ghigno, nemmeno i denti guadagnano
         luce. Ho portato a lungo il desiderio di un Fratello
         sulle spalle, trascorrendo tempo nella Porziuncola
         del suo petto, timorato per la santità degli agnelli
         inconsapevoli, dei galli alle termopili del forno, dei maiali
         insaccati, con il fiume rosso dalla gola, per tutti quei respiri
         che non hanno più polmoni, dei tori, dei vitelli, delle lepri,
         dei tonni, delle quaglie, di ogni specie marina o aerea
         e persino dei metalli derubati dai polsi.
         Ma la grazia, credetemi, la grazia è una virtù
         degli alberi, e qualche filo d'erba.
 
 
 
 
6
 

 #
 
Se vieni nudo, se esponi la credenza
o il pane ti mostra farina, quindi la parola
spoglia il vero caprio, come speri
di essere visto per niente sacrificato?
Era il coltello così alto
che spinto alla carotide, il giorno
appena gorgogliava
e da un riflesso l’alba come chiamata
a cadere.
Pure, incide il vestito: poco male. 
 
 
 

 #
 
Attraversato dalla lama, giudichi
la punta un male necessario, ma ti apre
l’angoscia di doverlo estrarre. L’ora che non
ti parla abbastanza, ti ha colpito
celando il suo aspetto di assassina
che non si cura del tempo
necessario a ferirti. E’ muta perché vuota.
E’ vuota perché solo dal tuo intimo
nudo si riempiva. Consumato, ti anneghi e
ti graffi nei cordoli, esci, rientri e non
ti sei mosso. Mai nella casa
eppure sempre messo al muro.
Così la sera appare di corpo
primitiva
grazia.
 
 
 

 #
 
 
Dissero che morivano mentre il meccanismo
del fiato srotolava i sussulti. Per questo il punto
sfugge dalla bocca e cade nell’argomento
come pausa più corta del respiro.
Quando la sospensione sarà più ampia dei polmoni,
o più secca della vertebra che la spina,
potremo affermare la morte
nella coincidenza dello spettacolo
dal vivo. Solo perché assistiamo
mentre la botola si spalanca e l'inattuabile
precipita nel sottopalco
con l’applauso sulle spalle.
Si avrà così notizia
che siamo scomparsi. Che l’asse
del primo raggio è stato sorpassato.
Che nel termine terra siamo compresi.
 
 
 
 
 
 

ritratto di amara
 #
 
 
 
 
 
 
L’hanno vista andare.
Non io né lui che eravamo qui a parlare di lei
dopo averne sfiorato la pelle sottile di piaghe
 
Da tanto non era in vita:
una rinuncia senza appello che nessuno
ha saputo strappare dal diario nascosto
sotto le pietre, nei tornanti
ignoti ad ogni scienza
 
Ora è una notizia listata sui muri
fino al prossimo strato di colla
 
 
 
 
 

 #
Tutto quanto è, d'improvviso esce. O lascia,
si acquatta nella terra, balza nella sua eternità.
Questo dinamismo può apparire involontario
in realtà è il fermo immagine del buio che ci provoca.
E' la prova che il corpo non si trattiene
nella scena. E' la scena che si proietta
in altri occhi.
 
Siamo vivi per un balzo non fatto,
acrobati concentrati nel silenzio
per antonomasia.
 
 
 
 
 

 #
 
Non tutto si perde. Un riflesso nel vetro
non resta sospeso, genera la figura che sceglie
la mente. Se sai come fare, il desiderio
prosegue nel passo. In qualche modo tra il tuo nome
ed il suo, si conserva il viaggio. Non tutto si perde. 
Nella strada ogni cosa ha un senso. L'istinto 
mantiene il segno nel biancore originale, la mano
che attraversa i capelli, non ne ferma
le linee, ma riesce a farle convergere
abbassando l'orizzonte delle curve. Non tutto si
perde. Non tutto ti libera.
 
 
 

ritratto di amara
 #
 
 
 
 
 
 
Come davanti a un trucco da poco
sorride ironico lo spettatore, così fa
chi torna alla verità delle forme
dopo quella regalata dall’occhio parziale
 
Ma c’è del vero in quella visione
non tutto è perso
e non lo sarà neppure all’estremo
 
Non resta che offrire senza pudore
ogni segno residuo
allo sguardo che sta cercando
la fiamma attraverso le macerie
 
 
 

 #
 
Qualcosa ancora viene in mente. Appassiona
sottogola. Dove non la credi inaudita
dove gorgoglia il seno.
Temi sbianchi i colori più giovani di te:
quelli che dai panni sembrano pensieri.
Il pensiero stecca il giorno negli appartamenti cupi.
Porta i vestiti all’incanto. Escludili
dal corpo. Fanne misteri curiosi.
Qualcosa restituisce la luce
lascia il suo nome.
 
 
 

 #
 
Non tutti gli oceani passano nello stesso oblò.
L’uomo a perpendicolo nella quaresima
dice come affonda, poi riaffiora,
il camminatore delle onde.
 
Ma dentro il perimetro di un credo profondo
porto e getsemani hanno uguale rotta.
C’è un faro nel tronco. Una gemma lo segue,
vede la fioritura della mano tesa. Rotea sul bacio.
Precede la notizia che un traditore tace
ed ogni rumore è un omicidio esploso
come fabbisogno di luce.  
 
 
 

 #
 
 
Diventato ululato, il campo si accende
di tutte le pietre che mi spargono, ovunque parole.
Vederle risalire dal fondo
apre gli occhi, mette il minuto in ascolto.
Questo avviene da tempo ed è tempo la semina.
 
Quando guardo la piegatura dei frangivento
porto alle labbra l’amarezza di quell’aria. Il Cilento
diventa duro. Si ostina
a scavare tra i solchi una galleria
con il senso di ossa della Costa. Per sempre
si fermano su quel davanzale in vetta come alghe
albine, calcaree, recenti.
Gli altri sono miei fratelli, e fratelli mi restano.
Di entrambi ho amato il doppio, i primi congegni
a cui guardare, primo tessuto ad affetto. Dei quattro,
lei la più dolce, la congiunzione
senza genere, ma donna.
 
 

 #
Credo che questa sera si sia aperta
e un congegno di scale trasforma
il vano della notte in una chiocciola verticale.
So che sfondato il soffitto, si compromettono
le ombre ed in alto, più complesse
del volo del metallo e dei calabroni
appaiono le pareti della mente
come un normale ingresso multisala.
La verità è che si arriva qui
a spettacolo già iniziato.
Si entra dalla luce e si esce alla luce
per starsene al buio. Qui, scena dopo scena
ci tormentano di fare in fretta
le maschere che furono fari in platea.
Ma se ricordo le prime visioni
mi trovo piccolo
per metterci mano da solo.
 
 

ritratto di Manuela Verbasi
 #

Equilibri su corda fra cielo e cielo

Così lontane, le panchine nei parchi.
 
Le rose stese sui davanzali pietra
strappano il profumo al grigio
                                 e il freddo.
 
Verrà un rimedio al vuoto delle bocche
un cucchiaino di lucciole doratedolci
 
sguardi al di là d'un uscio socchiuso
d’istinto alla sera scesa sul collo.
 
 

 #
Dilata il metro la conta dei passi: tra cosa
e cosa c'è un abbrivio di corsa, così velocemente
o lenta o trascinata. Le misure hanno
un cuore temprato dalla distanza. Quando
trasporta l'originale sentimento dell'angelo
nessuna figura può sottrarsi
alla sua altezza. Sia detto lo stesso
per la diavoleria del suono come va?
che muta la gioia in attesa
nel mezzo dell'abbraccio.
 

 #
E' un bisogno istintivo che provo per far miei i tuoi versi in una lettura che è divenuta rilettura di sazia attenzione. E' un costrutto evocativo e descrittivo che dà la sensazione di assistere ad una fuga giocosa dei sentimenti che, impazienti, soffrono del bisogno d'aria per poi esaurirla in una nuova torsione di passioni. Le mie impressioni restano tali, tu puoi condividerle o meno.
Senza presunzione.
 

 #
ti ringrazio, e la condivisione appare superflua dichiarazione da parte mia.
è opportuno che io però dica ciò che vivo con questa esperienza testuale: essa è diventata per me non più la "corale" iniziale, ma un esercizio compositivo che chiamerei "dialogo verseggiato": stimolazione lirica, quindi.
la affronto come ad un patibolo: ad ogni dichiarazione corrisponde una corda (perchè è vero che spiriti spinti fustighino la percezione altra dalla visione intima del risponditore e richiamino una attribuzione dolorosa al confronto che giocoforza si verifica) e ad ogni risposta una grazia. ma è in questo lavorio che si tempra e si amplia la parola, si consolida l'impalcatura della costruzione verbale. sarebbe, vista da me, un vero cenacolo virtuale, una cantina da minatori pulsionali sopravvissuti.
ciò che più mi attrae è che qui io non intervengo in successione sui testi, ma lascio che restino come prodotti del tutto intonsi, proprio come intuisci dalla costrizione al grido.
perciò grazie per esserci, un grazie da sparring partner a chiunque partecipi ed alla tua generosa presenza e con questo non tento conversione di alcuno, nè di pensiero nè di forma.
 
god save the singularity. 
 
 

ritratto di Marika
 #
la vita mia si diverte
nelle foschie caste nelle siepi gentili
dissetano i fossi tardi sull'imbrunire
in cuor mio solo la colomba non sparisce
disperde ali di aquila sui pensieri
e avvolge gli amori
stanza che mi dichiari cielo
di fronte gli assi sereni
inebriami di fuoco, inamidami di spugna
nei cobalti intensi di albe e frutti
arrivami in schiena
dedicandomi pioggia
 

 #
Che cosa aspetta la tua pelle
a rimbalzare nella sua mano? Un colpo di tosse
spariglia il silenzio e gli rotea il capo.
Ora, nel primo angolo che rende uomo
la stanza, appare il piacere
saltando la finestra col suo panorama di corpi confusi.
Strade come scatole di passioni nei ripostigli
dell'aria. Marciapiedi che portano a scaffali.
Emeroteche di scontri ed incontri tra peggio e meglio e qualcuno
qualcosa resta.
Fuori il mondo è nudo come si richiede
quando lo vestirai di tuo.
 

 #
Il mio commento ai tuoi versi è quello che precede la poesia di Marika.
Buona giornata.
 

 #

 

In mezzo al fiume
scorre il segreto
dei miei anni.
 
Diventa come acqua,
acceca nel vortice
e dispiega verità.
 
Si disperde nel rumore
e trascina la sabbia
che zavorra il cuore.
 
In mezzo al fiume
scorre la furia delle parole,
è l’ombra di un riflesso.
 
S’inebria di freddo
torpore che inganna
e regala alla corrente
i gusci vuoti della vita.
 
 

 #
Mi dici dalla perla la valva giroscopica,
il suo clamore abbandonato al lobo
come traccia, come radio di una trasmissione
millenaria.
Ma tutta la voce del mare che accoglie il fiume
pacato e sospeso dall'argine
non rivela che il continuo percorso
dalla terra al cielo
e poi giù di corsa.
 
Siamo la goccia che ha almeno
un indirizzo noto. 
 

 #
E' dipinta col sangue
la veste del mondo
piegano agli estremi
i lembi dell'assenza
apparizioni e deserti
le voci sono pietre
distratte dai neon
ignari sventurati pensieri
dentro serrati occhi
 
della cenere rimane
l'acre indifferenza
 
 

 #
Il primo tessuto è quindi la macchia.
La sottomissione si riconosce dall'arrossamento
dell'orlo, giù e più giù dei polsi, quasi alla
deriva,
dove almeno un braccio arriva
interessato al resto del fuoco,
al suo monumento grigio
senza collocazione.
 

ritratto di Raggiodiluna
 #
Vigliacco il tempo
che non traduce
e lascia vago il pensiero.
Indossa abiti smunti
per fermare il sole
e sposta le orme
dentro pozzanghere di mare.
Ecco com'è vano il dolore
affligge e non consola,
traveste i desideri 
e versa nebbia
al suo passare.
 
 

 #
Nella nebbia che abbassa il suo velato gonfiore
s'alzano i coppi dal colmo dei tetti
rossi bollori che esplodono
a sciami nei ritorni di luce. Sono bussole
mute che indicano l'intimo
del cosmo dove ci sopporta. 
 

ritratto di Bruno Amore
 #

Come quei vermi, sempre
a brulicar la mente, mentre
rapidi a cibarsi che c'è poco tempo
si cresce, si mette l'abito nuovo
si attende il cambiamento
saremo come vorranno
o morti sociali, in un momento.
 

 #
Che ci sarà ora nel posto
dov’era posta la Terra? Un qualsiasi vuoto
suppongo.
O un bruco nero. Un terribile animale
che osserva le leggi. Un chironomidae stellare.
Il corpo mastodontico di un azzeccagarbugli planetario.
Perché io così immagino l’universo intero:
ricco di professioni speciali
di menti che incartano i morti
e ne prendono il posto
per mangiarsi le stelle.
 
 

 #
Siamo vecchi
per intorbidare l’acqua,
non scorre come un tempo,
e chiediamo nuove attese.
Siamo vecchi
per ripensare l’amore,
non si agita come un tempo,
e scrolliamo mani adunche.

Siamo vecchi
per restituire il dolore,
non corre come un tempo,
e lasciamo bocche scucite.

Siamo vecchi,
sulla soglia di gioventù
dimentichi degli anni,
per legare al cuore
i ricordi.
 
 
 

 #
Quanto accade alle pagine strappate
da ogni calendario ci situa a brandelli nel fumo.
Se brucia la carta dei giorni
nessuna cenere rivelerà che siamo noi
a volere le fiamme. Noi, che dalla prima vampa
abbiamo tratto sollievo
e dall'ultima scintilla, la paura del buio.
Osserviamo le date come un cero
che non si consuma, solo si scioglie
per un'altra forma di luce.
 
 
 

 #
Un tripudio di risate
scontenta il silenzio,
s’era chiuso in preghiera,
è pallido sulle bocche
contratte,smisurate,
un cerchio di denti nudi
tra le gengive scarmigliate.
Adoro il silenzio, custode
degli occhi segreti,
un velo copre le mani
al pensiero dei giochi
infranti.
 

 #
E come afferrare un sorriso
e tenerlo nel giro del segreto rivelato? Stupire
i cortili perchè mai davvero
ce ne siamo andati?
Per questo il cancello chiuso dal tempo
non fu mai sbarrato.
Nè la corsa ci ha lasciati.
 
 

ritratto di Marika
 #
vita direbbe che è sola
quando la mano fruga a perdere
gli occhi irridono in piedi scalzi
tirati dalle anche per procedere
il petto non vuole che lo si tocchi
quando si disseta dell'aria
colmo è lo spazio quando tenti un'orma
biscia, serpe, o nube spenta
triste è il suono dove la bocca cede
 il cuore, solo gesto di piuma
ad accogliere il nuovo
di lui si direbbe:
lascia che non conduca.
 

 #
lui non porta, non contiene, non è assorto
se lo scagli nel fuoco, sceglie il ceppo più avvampato
per esplodere; è una sedia di paglia, un conforto
per quei nomi che stanno ritti come cipressi nella gola.
E tutt'intorno un sangue di cicogne, viavai indelebile
di ossa che vuotano lo sterno dell'acqua viva
che vi stagna di continuo in continua morte continuamente un peso
in aumento di fibre.
Poi si ferma, perchè chi non conta diventa
l'uscita, il moto dal luogo, il plurale svanito.
 

ritratto di Sara Cristofori
 #
Sfonda l'asfalto
invade la strada
fermo sorride
lento togliendosi il velo
ignaro mostrando
il danno di mille ferite
negli occhi ormai spenti
di luce smarrita.
 
 

ritratto di Sara Cristofori
 #
Ostenta futuro il passato
entrambi distratti
al presente nebbioso
e notte e giorno
ombraluce che
tempo non è
visione distorta
di un unico intero
spezzato all’interno
da tutte le ubbìe
per l'attesa del sepolcro
che raggiungeremo soli.
 
 
 

 #
Ma vedi il convoglio? Si muore in tanti con una contemporaneità
ignorata. Distanti, ma simultanei nell'ultima mossa, separati
sui manifesti funebri. Solo i muri danno notizia
che ce ne siamo andati senza aver mai fatto
un convenevole, una smorfia:
siamo già inesistenti, siamo mai nati per troppi.
 
Il respiro non basta a più di tre passi.
 
Dovremmo per questo seguire le statue
praticare il marmo, detenere busti,
bronzi, indignati che ci ignori la storia?
 
Meglio il legno: la fibra segreta del giunco
si modella nella piena, umilia l'arroganza
con la curva sopravvissuta.
 

ritratto di Sara Cristofori
 #
sì, legno che è fedele, legno che rassicura
che come noi
prima era foglie e uccelli oggi è barca e letto
e come noi
poi sarà sarcofago e alla fine
croce
nell'illusorio intento
di raggiungere
l'eterno
 

ritratto di amara
 #
 
 
 
 
 
il progetto involontario del legno
accende mille camini moltiplicando i passi
e ogni pensiero spera
che quell’albero non sia ancora nato
 
in carne si dovrebbero  fuggire
sepolture approssimate
più efficaci dei gesti accurati del becchino
perché sommano anni impropri all’eterno
proprio quando d’eterno si chiederebbe
un’illusione lucida
 
 
 
 
 

ritratto di Raggiodiluna
 #
l'illusione compra
le stanze buie della vita
rende alla cenere
la luce ossidiana,
pietra su pietra
per uno scoglio a misura
dove il naufragio è preghiera
e sperare... l'unica attesa.
 
 
 

ritratto di amara
 #
 
 
 
 
Così è l’ignaro, attende.
 
Non di quell’attesa che a fatica
trattiene i battiti nel petto
che esplode visioni oltre ogni ragione
 
lui attende rimettendo ad altro:
alla marea più breve
al sasso spostato dalla talpa
al colpo di vento che devii
il granello dall’occhio.
 
Così è l’ignaro: fermo ed immune.
 
 

 #
Eppure l'ignaro sostiene i decolli. Transita la salita
per assegnarle un grado che sia il suo limite, l'interrogazione della pietra
o il profilo del dubbio irrisolto - come Cavandoli
con mr. Linea. Un personaggio in aperto dissenso. Un'erba
che fuoriesce dal prato, seppure un danno crea
evade per affollare le crepe.
 

ritratto di maria teresa morry
 #
Oggi hanno abbattuto  quindici  tigli,
la grazia degli alberi violata
nel  greve silenzio cittadino
rotto dallo schianto dei rami
tra fuggire sgomento  d'uccelli.
Abbattuti  come cristiani
quindici  tigli maggiori,
ferite irrorate  nella terra
ombre dimentiche  e frugate.
Non resta che la nostra vergogna  di umani.
 

 #

La vergogna è un lupanare, un viottolo esiguo
con un passeggio di folla dalla cintola in giù.

 

Non si riconoscono, non si guardano in viso,
se ne vanno frettolosi per meglio piacersi
per non avere rughe. E' una cosmesi.

 

Fanno fatica di schegge, le urla. La grazia
sostiene la foglia finché non squarcia il silenzio
l'altra metà del corpo.

 

Sia come diventare albero
mantenere il tronco unico
tra la radice e il ramo più alto
la stessa linfa cammina

ma la coscienza di sè è sempre un nodo
che solo il santo riconosce piaga prima del ceppo.

 
 

ritratto di Stefania Stravato
 #
ti rispondo come posso, se le mani
sanno ancora il gesto: di reggermi nel vuoto d'aria
che si finge cielo. avessi  tempo, sangue 
mi infilerei in un viaggio lungo vie strette
e case poggiate sull'acqua
 
i bambini nudi appesi al collo, da allattare.
che altro non ho fatto, non so fare.
qui passano barconi e alianti e io conto preghiere
che non posso più imparare.
 
 

 #
Quindi tu vivi e sei conscia. Il turbine ti include,
combacia il muscolo. Si vede l'epilessia
del desiderio nel groviglio della chioma. La risorsa
da cercare, diciamo, è il riparo: questa parete o
quell'altra santa.
 
Per quanto il sogno sembri un altare, ma è falsopiano.
 
 
 
 

ritratto di Stefania Stravato
 #
come dire: del turbine conservo
il segno sulla schiena. eppure ci giuravo
che avrei sorvolato indenne le scogliere. e la chioma?
quella, macchia il negativo deforme di una primavera fossile.
dunque, sono sopravvissuta
a troppi naufragi.
e ho abitato galere scavate nel vento.
non è bene sfidare la sorte, che in fondo poi 
non sono così certa di avere ancora scorte di sorrisi
da scambiare con le smorfie oscene del giostraio.
 
 

 #
No. Quando guardi l'oceano espugni la lontananza
con la paura del fragore. La certezza che non già un
leviatano atterrisca, ma ci sia qualcosa di più grande
esageratamente maestoso che ti viene incontro
con tutto quel rumore.
Ti prende la maglia dello spavento inconscio. Così
il sogno lega al collo l'avventura. Una
fuga che ti ha preceduto nella venuta al mondo.
Sembra che una direzione non gli basti: circonda,
avvolge. Pensi al granello, ti senti impresso,
sbattutto ovunque ed intanto sei fermo, piantato,
con il frastuono di un martello di onde che picchia
sul cranio per incavarti nello spavento sopraggiunto.
 
Questo solo perchè non registriamo il futuro. Abbiamo memoria
della prima battigia, della laguna, dell'onda bassa, nota
del chiarore boreale, del lago mediterraneo che ci compete.
 
Quindi la vicenda si sposta, va nel largo continente liquido
dove forze immense sono di un cavallo brado montato a pelo
indomabile e selvaggio, perciò noi
in coscienza
diamo alle rive l'aggettivo sicure, come per un corpo
vivere è consapevolezza del luogo
su cui il sole è serio e poggia al futuro.
 

ritratto di Stefania Stravato
 #
la lontananza è l'espediente del sangue
che si difende dagli assedi della memoria:
le vene inventano vie nuove, spostano gli ingombri delle frane
edificano dighe. le senti ansimare in bilico sui crateri dei vulcani
 
scavano tane.
alcune verso il buio, altre incontro al sole
 
hanno l'istinto di animale, l'adattamento di fiera, la caccia alla carne
 
naturale, feroce
la pulsione alla vita. poi, quantunque la natura ci ha fatto legionari
per saccheggiare la notte, la sconfitta non si esclude. 
è un probabile incidente.  prevedibile, perfettamente uguale al destino.
 

 #
eppure, è nello sguardo che rimbalza nell'occhio dell'altro
che trovo il giorno, la forza di muovere
un passo dopo l'altro, verso l'a fortiori nulla
che m'attende, per-scelta. nel suo nome scandito,
diviso in sillabe e fonemi, reso segno
di resa antica, totale; ammesso il saccheggio,
la depredazione infinita. 
così potrei dire d'aver vissuto. forse saremo altro
da ciò che siamo, soli. 
 
 

ritratto di amara
 #
 
 
 
 
 
ciascuno ha un nome
da portare silenzioso sulle labbra
come un sortilegio
 
una formula che annulla lo specchio
e chiude le dita al conto
 
non strette in un pugno
ma morbide a non dare peso
anzi, a volte, a quel nome si aprono
e fanno sulla terra un'ombra
proprio come di ali in volo
 
 

 #
Provare una criniera, seguire il furore,
ma intenerirsi alla cadenza dei muti, nella pagoda
in cui anelano voce per urlare preghiere
e costantemente sopravvivere
all'incenso che ti vorrebbe cenere
dimenticato nei lazzi degli amici
però inserito negli esempi
da lontano, da più lontano ancora:
 
questo fa del nome un flusso continuo
una sorgente che gorgheggia.
 
 

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