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blog di Giovanni Perri

Dite a Kalavrì* (che la parola è terra)

la sagoma di un suono, 
piuttosto l'ombra interminabile di un corpo,
e quella sua agonia
di segno perenne, indivisibile,

in nessun luogo ovunque

Tra poco accadrò da qualche parte e sarò fatto di suoni.
A qualcuno verrà in mente di piangere

esserti dolce nel ricordo

rimetto in luce le tue lune distratte
quattro secoli d'acqua di pozzo
un soldatino tagliato nella pietra;
rimetto il pomeriggio intero del bosco il fosso e la paura

Della quiete

ancora non so
quale gioia verrà
tra le fatiche a tirarmi
le ossa dagli occhi
quale cane 
abbaiandomi
le inseguirà;

Dentro

dev'essere quando parliamo
che una voce non mia non tua
non una voce un segno piuttosto nella mente
una scultura, diversa da noi
perfettamente uguale 

Tornando

E' come se piovesse ancora:
a volte la pioggia continua
nelle orecchie per giorni, lamina jazz
delle foglie autunnali, 

Di sete

non gli erano piovute a caso le parole
giacché scrivendone il rumore le ballò
e fu di nuovo inciso il tempo sulla lingua

certe volte

barocco il mondo, dici, e la parola àncora e nido; 
e questo dito, invero, maledetto, che ti gira: tu non lo sai, 

Nostalgia

la pace scabra, essenziale: la pace
inverosimile;
scaltra, lungimirante, paga
la pace invece megera, fibra dell'ottusangolo

Ferite

ogni volta che un ponte saltava si piangeva
ed era un piede un occhio a lasciarci come quando
il vento si fermava e il primo a lamentarsi era il cane

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