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blog di Bruno Amore

Aspettare

La bianca mi guarda
aspetta, io penso altro
ho in mente azzurro
non so bene se di mare
o d'occhi luccicanti.
e fisso il vuoto
un mestolo appeso
una sciarpa un cappello
la giacca al beccatello.
mi monta la voglia di andare
che qualcosa in qualche posto
lo so devo alfin trovare
per calmare questa fame o sete
questa inebriante voglia
di aspettare.
 
 

Met(à)a del poeta

sente male
coglie pene diverse
provenire d'oltre la siepe
percepisce il pianto d'altri
nel vento venire e di lontano
rivestitolo d'ansia col dolore
lo versa dalla proprie ciglia
ne verga mesto un lamento
al passare di amori tremori
frementi passioni fortunate
oppur contrasti ardenti
delle mani sbiancate
sfiorare fianchi
gode lui pure
scrive
echi
 

Su

                                                                           su
                                                                         nel
                                                                     cielo
                                                                  colgo
                                                               nuvole
                                                         colorando
                                                       ogni sogno
                                                   delle vicende
                                               oramai passate

Ieri & oggi

 
un monte
fiorito dall'infanzia
una trapunta colorata calda
diventata, un sorriso di malizia
gonnella spiegazzata accende occhi
tra pieghe di vissuto, dai toccamenti
incerti trepidi pudichi nate carezze
lievi sapienti prolungate e frenetici 
mordicchi su tumide labbra rosse
efluvio di parole vanno al corpo
e anima che serena coglie
questo momento
di felicità.
 

Volatile

su questa cima solitaria dove rifugio
mentre m'aggiusto la livrea nuova
se il dubbio scarnifica il senso
del volo che plano adesso
se il rimorso prosciuga
il sangue nelle vene
che sfama le ali
libranti il mio
volare
lucido
astro struggi
la cera che lega
le penne della mia
forza di provare sicché
io cada a velocità spaziale
per provare l'ultimo brivido
vitale nel precipitare che su questo
scoglio sicuro io non voglio più posare.
 

Gli occhiali a specchio

Tom Smith era un ex ispettore di polizia, di un comune commissariato della città, collocato a riposo anticipatamente per i suoi gravi problemi di salute, dovuti alle molte sigarette fumate ogni giorno e che avevano finito per impedirgli di respirare agevolmente. Così si era trasformato in "topo" d'archivi giudiziari, ai quali aveva non ufficiale accesso, grazie alle vecchie amicizie allacciate quando era in servizio. Cercava, per conto di scrittori di gialli, thriller e storie horror, stralci di rapporti o sentenze su fatti di sangue del passato, archiviati al termine di infruttuose indagini che furono svolte al tempo in cui avvennero oppure a seguito di sentenza passata in giudicato. Fatti cruenti da sensazione o mistero. Aveva già fornito spunti per racconti ma, a tuttora, niente di veramente eccezionale, almeno per i suoi committenti. Durante una delle sue ricerche, in una delle stanze dove conservavano i documenti più vecchi, che parevano dimenticati dalla burocrazia giudiziaria, si imbatté per caso, come pare sia di prassi nelle cose di eccezione, in un fascicolo cartaceo legato con spago grosso alla regolare cassetta dei reperti e con la indicazione dei dati salienti sulla copertina: Omicidio Sue One Saint, 23 marzo 1766; Autore sconosciuto; Indagato n.n.; Esito procedimento: archiviato. Dopo tanto tempo il fascicolo avrebbe dovuto essere distrutto ma, inspiegabilmente, era lì. Polveroso in disordine apparente, ma sul ripiano dei documenti conservati. Dette una scorsa alle prime pagine del rapporto: vittima una donna di circa quaranta anni, nubile prostituta, uccisa a coltellate, in un vicolo della zona peggiore del più tristo quartiere della città. Nessuno reclamò la salma, nessuno si presentò a testimoniare; mai trovata l'arma del delitto.

Andare per sogni.

Solo quando mi rinfilo
i calzoni corti sogno meglio
libero dai lacci alle caviglie
da dietro alla lavagna fuggo
là nelle praterie intonse
nelle foreste di sempervirens
e nessuno può raggiungermi
sono il più veloce
degli Irochesi.
Son falco non più allodola
non valgono gli specchietti
i veli i profumi le ciglia
siediti accanto a me
stringimi la mano
e fammi sentire che
non sei di qui.
 

Lucignolo

tenere accesa questa vita
una lanterna che brucia sangue
e non ha fatto mai luce
davvero
un lucignolo nella notte
a rischiarare appena sassi
aguzzi
e nessun altro a seguire e
neppure è dato sapere
se poi accenderò
un fuoco di lauro
purificatore.

Primavera

Nascerà per te
un bucaneve bianco
stigmato giallo
 
è primavera
è parola antica
e torna vita
 
porta profumi
promette dolci suoni
freschi sapori
 
frementi labbra
vellutate posano
carezze lievi
 
diviene ovario
gravido appassendo
lucido fiore
 
sé custodendo
aspettando domani.

Nella neve

Lievi petali di neve
sul mio sorriso
mi coprono come piume
del bianco cigno che
con l'ali m'abbraccia
col collo cinge il mio
e sei subito tu
mia dolcissima Leda.
 

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