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blog di Bruno Amore

Una di quelle, bambina.

 
un rosso sfatto sulle labbra
pochi centesimi di fard
su gote che si negano
a rendere puttano un viso
di bambina aliena spaesata
buffi trampoli colorati
inutilmente cercano eleganza
nelle movenze improvvisate
delle sue forme degne
d'un principe d'arabia.
su un laido giaciglio
tutta la fan proporre
e lei soggiace indifferente
con le monete a chiudere gli occhi.
alle volte sorride e ride anche
quando il di più che il carceriere lascia
le appare un'abbondanza che non sa
e non conosce il senso di utopia
e crede d'aver tra le cosce
una cornucopia.
 

Quando perdo

quando perdo
quella serenità dei sensi
che la tua presenza o il sogno
la notte mi consentono quieta
non mi basta continuare
ad intrecciare la canapa
della lunga corda
di vicende
che ormai mi lega
a questa vita.

Promemoria

lo so m'aspetti ma'
e sto per arrivare ma, prima
due o tre cose ancora devo fare
dire ad Asia sempre di studiare
per conquistarsi spazio e dimostrare
a se stessa tutto quel che vale
lasciarsi uno spiraglio per poetare
e quella dolcezza innata coltivare.
 
Veder se riesco a fargli bene il conto
spiegar ai figli se non ho fatto tanto
non fu malanimo ma soltanto incanto
quando presi per l'aere a librar le penne
che il peso della domestica giornata
m'uccideva più d'una bipenne
e feci in ver per loro quel che doveva
un padre non eccelso che la covata alleva.
 
Finire questo canto da lasciare
non a memoria che non voglio restare
per metterlo sulla bilancia e misurare
se almeno c'è stato del buono da gustare.

Passano i giorni

giorni come tomi
non ne aprirò più uno
non leggerò una pagina
un rigo in futuro, li metto
impilati sulla mensola
a raccogliere polvere
nel tempo che mi resta
perché se quelli che ho scorso
non sanno darmi serenità
e mi sembra di aver perso
il tempo a trasportar acqua
con un paniere di vimini
allora siedo sotto una ficaia
aspetto qualche frutto fatto
e se per l'impazienza
memorabile ansia goliardica
qualche volta mi urticherò le labbra
aspetterò di cogliere quello dopo, morbido
appena grinzo con la goccia di ambrosia
e mi addolcirà la bocca più
della solita marmellata.

Dormire o vegliare

c'era un tempo in cui dormire
era partire per lontano
conoscere chi o cosa
non sapevi mai e incontrare
immagini del giorno
e cercare di stamparle
rifilmare inquadrando
più intimamente un vissuto
adattarlo al desiderio
che sempre avevi vivo.
Ora l'ansia di uscire dal sonno
al più presto per tuffarti
nella corrente che tutto
obnubila nasconde falsa
e rende uguale
tranquillamente uguale
a quanto hai sempre detestato.
 

Il canto del cigno

un abito da cigno
sto cercando
anche dismesso
prendo lezioni
da una vissuta insegnante
per andare sulla proda del lago
di questa vita ormai noiosa
e proverò a cantare.
almeno una volta
fosse l'ultima non importa.
venisse fuori una melica
degna di attenzione
un po' romantica nostalgica
malinconica anche
commovente insomma
che essere stato
quasi nulla a bracciate
mi è più pesante
d'una carro di sassi
da tirar su dal fiume.

Il partigiano

Arturo Lenzi, un bell'uomo sulla cinquantina, funzionario nazionale del partito, grazie ai suoi trascorsi bellici nella guerra di resistenza e liberazione, capo squadra assaltatori, si era fatto nome di coraggioso fino all'incoscienza e godette e gode, ancora, stima e reputazione. Finita la guerra, lasciò il paese natio e tutte le conoscenze, per la politica. Neppure il suo amore giovanile, del quale aveva sempre serbato un nostalgico ricordo, si peritò di salutare, d'altro canto - alla macchia - aveva allacciato una relazione con la figlia del Comandante, che faceva da staffetta da e per la montagna, come portaordini. Ora era di ritorno, per assolvere un mesto dovere di esequie ma, pensò molto, alla sua vecchia fiamma amorosa, durante il viaggio da Roma. E giunto in paese, da appena un giorno, nella piazza principale, quasi fosse un appuntamento...
- Ciao Giulia, come stai? quanto tempo....e tua mamma?
- Ciao Arturo, ti ho visto in paese, ieri ma, anche se mi avevi visto, ti sei girato dall'altra parte.
- Bhe! sai, avevo appena saputo che avevi sposato Marco. Ricordi? lo consideravamo una nullità, anche tu, perché non aveva preso parte ...
- Quando sei andato in montagna, mi aspettavo notizie. Nulla per mesi. Che dovevo pensare? e poi, dicevano che ti era messo con la Jolanda, la staffetta, e lei in paese, si vantava di essere la tua ragazza. Non sei neanche tornato a casa, subito a Roma per il partito.
- Niente, niente, non voglio recriminare. Hai dei bambini, lo so e Marco ha un buon lavoro,. Insomma state bene e tua madre, la Maria. Era terribile, a quei tempi, sempre a farti la guardia.
Giulia, abbassando la testa e sorridendo:
- però gliela abbiamo fatta, ricordi? Te lo ricordi, quella notte ...
- Io non l'ho scordato mai, Giulia, mi ha fatto compagnia tutto il tempo della guerra e ancora mi torna in mente, con una nostalgia infinita. Sai, io non mi sono sposato...poi la politica mi ha preso tutto il tempo. Oggi sono qui per le esequie di Molotov, ricordi? il padre di Jolanda. Era il mio comandante nella Brigata Vallelunga.
L'imbarazzo cresceva in entrambi e nel tentativo di fugarlo, si guardava attorno e salutavano i passanti, indifferenti, anche a distanza. Giulia sembrò, un attimo, voler aggiungere qualcosa ma, restò interdetta, Arturo stava guardando qualcuno e gli porse, distrattamente la mano, come a volersi necessariamente congedare. Così si separarono con un attimo di titubanza, come un rincrescimento.
Arturo, che durante il breve incontro con Giulia, si era tolto il fazzoletto rosso dal collo riponendolo in tasca con le decorazioni da esibire nel corteo funebre, si stava risistemando mentre si avvicinava al suo sorridente interlocutore:
- Ciao Marco, come stai? Come va qui in paese? Ho visto Giulia, poco fa. E' ancora bellissima.
- Tutto bene, ah! Giulia, si stiamo bene tutti ,anche i ragazzi. Nell'ultima campagna di iscrizioni siamo aumentati del tre e mezzo per cento. Grande adesione e l'Amministrazione Comunale, funziona bene. Vieni, devi prendere posto in testa al corteo, vicino al sindaco agli altri e la Jolanda.
La lucida macchina nera, con il feretro, seguito da una donna corpulenta in gramaglie, il sindaco, un anziano dall'aria battagliera e Arturo con a fianco Marco, prese a passo breve a percorrere il corso principale, dalla sede del partito, dove era stata allestita la camera ardente, verso il cimitero. Seguivano un centinaio di persone e qualcuno faceva ala al passaggio del corteo.
D'improvviso, provenienti dalla parte antistante il corteo, si udirono dei botti, esplosioni di artifici, simili a quelli che si usava far esplodere per Pasqua.
- Cosa succede Marco?
- Deve essere quel bastardo del Camerata, oh scusa!
Intanto un gruppetto di giovinastri, correndo inseguita da due Carabinieri, risaliva i lati del piccolo corteo, sbeffeggiandolo con il lancio di buste d'acqua colorata.
- Mario, Camerata, bastardo. Poi facciamo i conti.
Gli gridava dietro Marco, evidentemente inferocito.
- Ma chi è? Chiese Arturo, di chi è figlio. Avete fascisti qui, ancora?
- Nessuno ti ha detto nulla? Neanche la Giulia?
- Cosa vuoi dire? cosa c'entra la Giulia.
- Ho sposato la Giulia che era incinta. Quel nazi skin, alto, con gli orecchini, è suo figlio e ...
- E...? Domanda inquieto Arturo.
- E' anche tuo figlio.
 
 
 
 
 

Il guscio

 
io gasteropode di vita
coi versi mi son fatto
una conchiglia tonda
avvolta a spirale curva
alla bisogna l'epiframa
pongo all'ingresso e
con la radula combino sensi.
guscio tuttavia fragile
ripara se non pensi che
mille piedi passano sempre
sulla strada che fai
con scarpe grosse chiodate
indifferenti.

Aiutami parola.

aiutami parola
vesti quelle emozioni
spoglie dei battiti del cuore
randage tra i pensieri e l'anima
corrono a frastornarmi
indifeso incapace di frenarle
mi tremano le mani e il labbro
aiutami che potrò cantarle.
 

Un giorno vivo

quando le nubi accastellate
a scolpire sogni
lentamente aprono il velario
sulla scena della vita
e si recita un racconto
dal vero anche breve
l'anima mi succhia il senso
e ne esce a volte
lacera e contusa ma
un altro giorno vivo.
 

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