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Memorie

Se ne vanno, non so se dire finalmente oppure rammaricarmene; o rimanere indeciso sulle due opzioni, riservarmene la sospensione, che non costa.
Intanto, sono già scorsi via dall'interno della fronte, da quella fontana da vacche che si distingueva dall'altra per le quattro maschere di bronzo. Dai sentieri stretti e polverosi, da quella concavità di calcestruzzo di un fondo algoso tremolante al di sopra degli occhi, nella quale, per la frazione dell'attimo in cui s'erano materializzati, avevano, come polsi stanchi, trovato appoggio e ristoro dalla calura estiva, facendone risorgere il trasparente.
Ora che non ci sono più, che mancano le siepi vertiginose che opponevano al calore maculato dei campi il selvaggio dei biancospini invasivi da penetrare e assaporare di nascosto bestemmiando a piedi nudi contro le zolle, che svaniscono quegli orli sfrangiati e pizzuti di donna, che mancano le guide verso l'odore fresco delle acque che risaliva su al naso dal basso, la rupe che le proteggeva curvata su di esse come una madre, ora, sulla ghiaia degli argini rimasti aspri e taglienti, così come adesso scivolosi, giunto in fondo prima di immergervi i piedi e gridare contro l'argento delle schiene dei cavedani, contro le loro grotte, permane un rumore sordo di macine lasciate al loro sottofondo di ossa, al lento rivoltarsi verde delle pance di carpe che sguazzano abbandonate a se stesse nel rivolo del mulino dall'impiantito di legno: quello da cui si assisteva alla spartizione dei secchi.
Non vorrei che fosse il petalo del fiore del pesco a prevalere, la rugiada dell'alba dorata di primavera. Non lo sopporterei dopo l'estate, dopo le messi del grano, dopo aver provato a me stesso il morso del pesce ed il fiore rosso tra gli steli, aver chiuso al masso con il torace ogni infida via di fuga del fiume che voleva sfuggirmi.
Uomo di mezza fede, sono nato per non aspettare l'inverno, lasciare la vita per un palmo.
Lasciarla agli altri. Che se la godano in pace.

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