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Sinfonia perduta

 
 
 
Gli aghi si erano persi tra gli sterili ornamenti che addobbavano le cortecce, a pochi metri dal terrazzo lastricato. Tu non mi vedevi; ti era impossibile fare entrambe le cose. Segare quel tronco limaccioso e occuparti delle mie scorribande lungo i cunicoli del muro.
Che strano...guardarti sorridente, pur con quel dito mozzato.
Non dicesti niente, soltanto “aspettiamo che viene la zia”, e assediasti la ferita di ghiaccio,
fischiettando come facevi sempre, una normale canzone del tuo tempo.
                                                            ***
 
“ Chi bedda vuci avia/ paria nu gran tinuri/ sciccareddu di lu me cori/ comu ju t'hai a scurdari/”.
Non ho mai capito se avessi posseduto o meno quell'asinello. Certamente la tua voce
rappresentava il dolore sin troppo bene, dato che gli occhi ti si riempivano a sufficienza di lacrime.
« Non ti preoccupare...il dito torna, come l'asinello...» Così continuavi a dare fiato ai tuoi lavori, piallando e riducendo l'eccesso di rami da dietro le vetrate.
«Vedi quanto è bravo lo zio? Quest'oggi che gli prepariamo?» Nicoletta mi faceva assaggiare i peperoni romani, i capperi dissalati, le melanzane alla griglia con quel rivolo di paprika e aceto.
« Dai, prepara tu, la tavola.» Così facevo del mio, per non sembrare un ospite sfaccendato,
raccogliendo i limoni da sopra una pianta che pareva schizzata nel cielo per caso.
«Che bravo! Ti fermi a dormire qui, dalla zia?» mi proponevi, quasi sotto voce, ben sapendo che le ore sarebbero terminate, quando mio padre avrebbe parcheggiato la sua Renault sotto i vegliardi alberi di fico.
                                                            ***
 
« Zio Francesco, un'altra partita?». Giocavi sempre poche mani; gli altri ti convocavano
a gran voce, perché il poker era un patto tra fratelli. Mi ero innamorato di quei tavoli sfalsati, delle sedie regolabili che finivano sempre agganciate alla fucina degli attrezzi.
« Finisco di aggiustare questa, e vengo.» Così, ogni volta che mi sedevo, tu spuntavi dietro di me, raccomandandomi di non scartare mai l'asso, perché è sempre la carta più alta del mazzo.
«Hai visto? Adesso hai un bel tris.» Anche se gli altri se ne accorgevano e si ritiravano ,per me non era importante vincere la mano; perché sapevo che in qualche modo, avevo sempre le spalle coperte.
 
                                                                  ***
 
Oggi riscrivo un'altra storia. Dove non ci sono più né pini, né asini, né carte; dove tu riappari sotto il suono di un trattore lontano, sulla via di una fuga annunciata.
Con quel dito finalmente tornato, come un intarsio a elevare i tuoi gesti mai simulati.
 
(Alla memoria di Francesco.)

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