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S'Agapò

 
Dal carcere di Lamìa, più lo sguardo è
trattenuto, più si staglia oltre le mura
castigate dal sonno.
La bussola a parete marca i nodi che
separano la prigione dal resto del mondo;
Nesios traccia la sua mutila lettera, sventolando
l'inchiostro come un oboe febbrile innalza
cerchi alle sue note.
Abbraccia i suoi cari, rimasti ad Aleppo a
cercare un'ultima benedizione.
Il secondino non fa più caso alle lacrime
slittate sull'oncia di pane; vuole indietro il
suo piatto, mentre Nesios si apparta da solo
e riga gli ultimi fogli per vessare a fondo
la nottata.
Sophiè dev'essersi sposata, avrà finalmente
creato la sua libreria di Glyfada, le raccolte
di Kavafis ruotate ai primi banchi.
"Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese,
dorate, calde e vivide".
Era di entrambi il poeta preferito; non c'era notte
in cui Nesios non scaldasse i suoi versi sotto il suono
profetico di lei che ripeteva; “S'agapò”*.
Poi avvenne il furto, la vendetta sbagliata che
sfiancò le fiamme rinvenute alle finestre.
Xavier, l'ultimo amico ancorato alla conta inumana
dei giorni, siede ancora con Nesios sullo sgabello
della cella infeltrita, per una scommessa a carte,
o nel ricordo di una passeggiata fra le sponde
del porto.
 
 
* “Ti amo”, in greco.
 

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