Scritto da © voceperduta - Dom, 04/01/2015 - 13:19
Alla prima seduta dallo psicologo, Nathan guardò silenziosamente negli occhi suo padre.
Aveva preparato ogni cosa, a sua insaputa; il calendario puntuale dei pomeriggi liberi, date e incontri con il Professor Dagenham, un intero zaino riempito con quelle immagini di deturpazioni.
«Torno a prenderti verso le diciannove, ok?»
Nathan non rispondeva mai. Preferiva assuefarsi sotto la musica possente dei Korn, aspettando che ogni pigra seduta facesse il suo tempo.
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« Quando hai iniziato a torturare animali, Nathan?»
A quella domanda Nathan aveva imparato a non rispondere. La sviava, concedendosi al massimo delle sottili scappatoie verbali.
“Non me lo ricordo”, “Vorrei mi facesse un'altra domanda”, “Devo ancora pensarci”, erano le sue preferite.
« Ti andrebbe di rifare il test di Rorschach?», gli rispondeva a tono il professore Dagenham.
Così, prima che la seduta si perdesse in uno strenuo e improduttivo tentativo di dialogo, Nathan vagabondava con la mente fra gli esili cartoncini che replicavano delle forme più o meno visibili di apparati animali.
« Abbiamo finito?»
« Si; ma vorrei mi aiutassi a capire.»
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« Nathan Beslan, rispondi: le hai scattate tu queste foto?»
La prima volta che l'insegnante di ginnastica lo sorprese sul quadrato di ghiaia, Nathan stava staccando a morsi la coda di uno scoiattolo andino.
« Si...le rivorrei indietro.» Per lui era normale, inveire convulsamente contro liberi animali fermati lì per strada.
«Queste le porterò alla direttrice; accompagnate da un pre-avviso di sospensione.»
Così, per le prime due settimane, Nathan riuscì a nascondere al padre la meta dei suoi viaggi mattutini; la cava di Essinty, luogo dove è più facile incontrare tassi e roditori di ogni genere.
«Be', a scuola com'è andata?»
« Al solito; abbiamo scelto la materia d'intercorso.»
« Bene. Tu quale hai scelto?»
«Zoologia; l'insegnante di scienze mi trova molto portato. »
«Splendido...allora domani per il ricevimento avrò di che vantarmi.»
Fu in quell'occasione che il padre scoperchiò gli altarini messi in posa dal figlio.
L'istinto del genitore gli fece scegliere la via più drastica; niente più uscite pomeridiane, sequestro del video-cellulare, ed il numero dello psicologo infantile più rinomato di Albany; Prof. Jacob Dagenham.
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«Credimi, Mia, questo ragazzino mi manda ai matti.»
«Hai provato a parlare con il padre?»
«Certo; ma lui è il primo ad aspettarsi un aiuto da me.»
Jacob, una mattina, salutò la moglie con una premura più sollecita del solito.
Attraversò Rio Fort, imboccando la lunga strada sull'Hudson.
«Vado a scuola da Nathan», l'avvertì per telefono, superando di slancio uno spartitraffico.
Si ritrovò a qualche metro dall'ingresso alla Patroon's School. Vide Nathan stazionare ai bordi di un'aiuola dal terriccio innevato; ebbe l'istinto di scendere. Ma, come se quel gioco d'istanti mancasse di una decisiva porzione, Jacob notò che il ragazzo guardava ardentemente una donna china verso le scarpe del suo bambino. Decise allora di non affrettare il passo.
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«Parlami di quello che vuoi, Nathan.»
Alla dodicesima seduta, Nathan invertì il tempo.
«Non mi sono mai piaciute le cantine.»
«Le cantine?»
« Già...noi ne abbiamo una poco fuori la pineta.»
Il professor Dagenham trasse fuori un respiro che quasi lo sosteneva.
«E' lì che hai iniziato a dare caccia agli animali?»
Lo sguardo di Nathan si fece al fondo più perplesso.
«No...è troppo freddo per loro; ci andavamo soltanto io, papà...e la mamma.»
Jacob intuì che la scossa era stata definitivamente data.
«Papà e la mamma si chiudevano lì quando litigavano; per non dare assillo a me.»
«Tu li seguivi, non è così?»
Nathan rantolò una risposta un po' spicciata; « Si...qualche volta. Non li interrompevo.»
Il professore a quel punto ritornò su un'immagine un po' sfalsata, presa dall'album da disegno di Nathan; «Hai dipinto tu questa rondine insanguinata?»
« Si, è un rondinino; è stato uno dei miei primi disegni. Poco prima che la mamma se ne andasse.»
Jacob aveva notato come Nathan per la prima volta, si fosse tolte le cuffie dell'i-pod dalle orecchie.
« E' deceduta per un malore?»
« No, se n'è andata...», lo corresse, simulando con due dita il cenno di un grilletto sulla testa.
«Vuoi dire suicidio?»
«Fuoco...», disse il ragazzo, rompendo una promessa che era stato obbligato a mantenere.
« A dire il vero papà stava molto attento, non le dava mai l'occasione di prendere da sé la pistola. La usava solo per minacciarla, quando le botte erano diventate troppe.»
Jacob Dagenham si irrigidì tutto sulla sedia; avrebbe voluto interrompere lì la seduta, e avvertire per tempo il centro sociale vicino.
«Quel rondinino si era intrufolato nella cantina buia; mi ero nascosto dietro una botte, e lui era venuto sul mio ginocchio per aiutarmi. Ma io dalla paura lo strinsi così forte, che lo uccisi.»
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