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L'estranea

  
Per la prima volta ho dubitato di me stesso. Ho sognato di nuovo quel lago gelato; la costringevo ad accompagnarmi, le ripetevo che non doveva avere paura. Doveva solo fidarsi di me. Il ghiaccio dopo poco si scioglieva. Ma lei continuava a sprofondare.
 
                                                              *
 
Ha acceso la luce, lo fa a sbalzi di notte e di giorno. Torna da lavoro e, come se niente fosse, sbatte i suoi tacchi con la furia di chi non vede il suo malessere.
«Tutto bene? Togli le scarpe la prossima volta...», sono le uniche cose che al mattino mi sento di dirle.
Allo studio è la solita routine. Ricorsi di cittadini che si lamentano per una strada troppo buia, o perché un certo locale non ha rispettato i limiti dei decibel.
Anche lei sopporta ogni sera una musica fracassatempie. Allora mi balza in testa quanto sia coraggiosa. La penso, di giorno, mentre conserva quei soldi che si combatte al locale.
Per realizzare un viaggio che finora ha sempre ritardato.
«Ciao, ti va di cenare insieme questa sera?».
«Non posso, mi aspettano al pub...».
«Pensavo avessi il giorno libero».
«La sostituta si è ammalata».
«D'accordo, allora. Fa' piano quando torni».
                                                                  *
 
«Signor giudice, è mai possibile essere multati perché si guida troppo piano? Insomma, ho anche io una certa età. Che poi la motocicletta mica doveva sorpassarmi per forza...sbaglio?».
La gente sa essere molto capricciosa. Non per cattiveria, ma per propri limiti, quello si.
«Signora Serrani, esiste il limite dello zero. In una strada in cui il massimo corrisponde a settanta, anche solo avvicinarvisi può risultare un pericolo».
Io quante volte ho sfiorato lo zero? Con Giorgia intendo. Quante volte sono andato troppo veloce o, stupidamente, mi sono arrestato nel momento stesso in cui era necessario correre?
Anche questa sera è tornata facendo un enorme chiasso. Un vicino l'ha pure richiamata dalla finestra di fronte.
«Non rompere i coglioni!», gli ha urlato. Erano le cinque e mezza. Alle sei, solitamente, crolla in un sonno che sembra durare per sempre.
                                                             *
 
«Parlale, no?».
«Cosa le dico?».
«Chiedile perché si comporta così».
«Non mi risponde, Aurora. Mi evita come un malanno ».
Aurora è entrata nella mia vita silenziosamente. Allo stesso modo se ne andrà, come un'amante distratta che ha perso il suo entusiasmo.
«Guido, domani ho un impegno. Facciamo che ti chiamo io».
 
Rientrando ho notato che la sua auto è ancora ferma al parcheggio. Forse per una volta ha rinunciato agli impegni del pub.
VADO AL LAVORO CON MARA. BATTERIA SCARICA.
Almeno non ha perso l'abitudine ai bigliettini colorati. La cucina ne è piena. Segna le quantità di latte rimasto, appunta ogni telefonata, perfino la più banale.
QUELLI DEL GAS HANNO CHIAMATO PER LA TERZA VOLTA!!
RICORDATI DI TERMINARE IL PUZZLE.
La tessera finale è sulla barca. Il lago così è al completo. Manchiamo solo noi.
                                                             *
 
«Ha finito giudice Rinaldi?».
«Si, Tonia. Ho lasciato sulla scrivania le notifiche degli sfratti. Ci pensi lei per favore».
Domattina sarà una corsa spietata. Intere famiglie verranno a bussare al mio ufficio, strapperanno gli atti dinanzi i miei occhi. A volte mi domando chi è giudice di chi.
L'anniversario del mio matrimonio cade sempre di giovedì. Chissà se Giorgia ha idea di quello che provo a ogni ricorrenza.
«Ho preparato le lasagne. Si, lo so, mamma le faceva diversamente. Assaggia».
Le sue hanno un sapore più vivo, le mangio rilassato e a occhi chiusi.
«Andrai al pub anche stasera?».
« No...veramente pensavo di farti compagnia».
Ha appeso lei il puzzle, alla fine. E' rimasta contenta, vorrebbe che facessi lo stesso con le foto degli album.
«A te farebbe piacere?» le chiedo, dimenticando per un attimo che alcune sono finite bruciate.
«Si, tanto...».
                                                              *
 
Abbiamo terminato la nostra vacanza in Egitto. L'ultima prima che Lelia si ammalasse.Giorgia era così piccola in quelle foto, credo avesse paura dei dromedari.
«E' bello potersi addormentare come tutti gli altri, sai...».
Quelle con l'elastico avevo giurato di non prenderle. Mia moglie non era più lei. La terapia psichiatrica le aveva reso la pelle incolore. In compenso i suoi occhi sprigionavano una fiamma incombente.
«Papà, quando torniamo a prendere la mamma?», mi aveva chiesto il giorno stesso in cui avevo deciso di lasciare mia moglie in un centro specializzato in malattie neurologiche.
«Presto, tesoro. Quando tu raccoglierai abbastanza soldi sul tuo salvadenaio».
Sono passati sei anni e Giorgia non ha ancora smesso di raccoglierli.
 

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